La solitudine di Balotelli (e del suo biografo)

di Max Mauro (*)
Nel corso degli anni Mauro Valeri ha costruito un denso corpus saggistico, a mezza via fra il giornalismo, la storia e la sociologia divulgativa,

che non ha riferimenti nel panorama italiano. Con «La razza in campo» (2005) ha puntato l’attenzione sul problema del razzismo nel calcio e sul ruolo dei giocatori neri per cercare di affrontarlo, per far sì che non venga ignorato. Non era un interesse specioso, il suo, come di chi ha individuato un tema originale e vuole crearsi una sua nicchia, ma il frutto di anni di impegno sul campo.
Sociologo, ha insegnato Sociologia delle relazioni etniche alla Sapienza, Valeri negli anni novanta dello scorso secolo ha diretto l’Osservatorio contro la xenofobia ed è stato promotore dell’Osservatorio sul razzismo e antirazzismo nel calcio italiano. Per diversi anni ha stilato un dettagliato elenco degli episodi di razzismo nel calcio professionistico italiano, spesso trovandosi in solitaria opposizione all’ostentata cautela della Figc sulla questione. Il libro era anche il tentativo di dare visibilità a una storia chiacchierata ma poco nota, magari discussa ma quasi sempre malintesa dai mass media. Nel 2010, con «Che razza di tifo», è ritornato su questi temi, allargando lo sguardo alla presenza nei campionati professionistici italiani di giocatori di origine immigrata, ragazzi nati o cresciuti in Italia da famiglie straniere, le cosiddette seconde generazioni.
Nel 2006 invece aveva dato alle stampe «Black Italians», una rassegna degli sportivi di colore che hanno vestito la maglia azzurra. Anche in questo caso l’obiettivo era puntato su storie trascurate dalla pubblicistica generalista e soprattutto dal dibattito accademico, che in Italia è rumorosamente sordo alle implicazioni socio-culturali dello sport. Attraverso le parole di atleti di diverse generazioni emerge un disarmante ritratto dell’Italia sportiva, dove fatiche e successi “in maglia azzurra” non sono sufficienti agli atleti neri per essere accolti pienamente nell’immaginario nazionale. Il colore della pelle rimane spesso un ostacolo insormontabile a essere percepiti come “italiani”.
Sport, identità razziali e nazionali sono sicuramente al centro delle ricerche di Valeri – che è anche autore di un’affascinante biografia di Leone Jacovacci, campione “mulatto” della boxe italiana nel Ventennio fascista, e di un libro sulle Olimpiadi «fra discriminazioni ed esclusioni» – ma non esauriscono i suoi interessi. In anni recenti ha dato alle stampe anche la biografia di Alessandro Sinigaglia, antifascista afro-italiano ed ebreo ucciso dalle milizie del regime sul finire della guerra.
Visto il suo originale tragitto intellettuale, Valeri non poteva ignorare quello che è il fenomeno sportivo-culturale più discusso degli ultimi anni, Mario Balotelli. A dire il vero, in cuor mio speravo che se ne occupasse, visto il basso livello di molti scritti comparsi attorno alla storia del giocatore bresciano, nato a Palermo da mamma ghanese. E’ curioso, e certamente significativo, che il mondo intellettuale e accademico abbia fino ad ora ignorato questa storia. Per capire l’atteggiamento dominante del mondo degli studi riporto un episodio. Un numero recente della rivista scientifica «Studi Culturali» aveva in copertina Mario Balotelli. All’interno era ospitato il resoconto di una tavola rotonda attorno al tema «razza, genere e classe nell’Italia post-coloniale» e quale migliore simbolo di “Supermario” per rappresentarlo? Purtroppo, nessuno dei contributi inclusi nella raccolta era dedicato allo sport. L’unico sfuggevole accenno all’uomo in copertina era nell’introduzione. I testi si occupavano di argomento più “seri” e forse più “qualificanti” del calcio, fra i quali il cinema horror, la letteratura, i fumetti.
Dunque, Balotelli. Di questi tempi è difficile trovare qualcuno, fra gli appassionati di calcio o meno, che non si senta di profferire opinione su Balotelli. Di solito sono opinioni negative, spesso eccitate, non raramente sovra-eccitate. Balotelli non è semplicemente un calciatore – da molti considerato il più talentuoso della sua generazione, almeno in Italia – ma ancor di più è un fenomeno popolare e mediatico. E’ il primo calciatore della nazionale italiana figlio di immigrati. E’ il calciatore italiano in attività più popolare al mondo. E’ il più famoso nero italiano. Per questi e altri motivi è stato vittima, in Italia, di una lunga serie di insulti razzisti, dentro e fuori gli stadi. Fin dalla sua comparsa nel calcio che conta, i mass media hanno usato la sua storia, il figlio di africani “adottato” da una famiglia bresciana, per alimentare interesse e soprattutto vendere più copie spulciando ogni singolo aspetto della sua vita. Tuttavia, pochi si sono sforzati di andare oltre le apparenze. Il Balotelli calciatore si è presto trasformato in altro, un facile capro espiatorio per tutti i problemi del calcio italiano (basti vedere le reazioni all’uscita dell’Italia dai Mondiali brasiliani), un evento storico a molti indigesto («non esistono neri italiani»).
In «Mario Balotelli. Vincitore nel pallone» (Fazi, 2014), Mauro Valeri affronta queste questioni e altre ancora. Il libro è organizzato per temi, o meglio sette “colpe” che gravano sulle spalle del ragazzo che non festeggia i suoi gol: dalla “colpa di essere figlio di immigrati”, alla “colpa di essere nero”, fino alla “colpa essere un bravo calciatore” infine alla “colpa di essere italiano”. Valeri dipinge un ritratto per certi versi inedito, partendo da un ricorrente falso storico e cercando di fare chiarezza attorno alle parole e ai silenzi del protagonista. Balotelli non è stato “abbandonato” dai genitori naturali, ma affidato temporaneamente a un’altra famiglia su richiesta delle autorità competenti, date le difficoltà incontrate dalla famiglia naturale dopo il trasferimento al nord. Difficoltà legate anche alla delicata gestione di un neonato che, nato con una grave malformazione al colon, aveva trascorso i primi nove mesi della sua esistenza in una stanza di ospedale. Nel giro di un anno, da consensuale, l’affido diventa giudiziale, un passaggio piuttosto rapido, giustificato anche dallo status della famiglia naturale. A questo proposito, Valeri si chiede: «Rientra forse nelle colpe che gli stranieri devono espiare il fatto che i loro figli finiscano in istituto solo perché il genitore o i genitori hanno problemi socio-economici, mentre per i figli degli italiani la scelta dell’istituto è riservata a coloro che hanno genitori pluriproblematici e anche a volte violenti?».
Non è un passaggio insignificante nella vita del calciatore, perché lo porrà, per anni, in una condizione a mezza via tra quella del figlio di immigrati e dell’italiano (pur senza la cittadinanza). Quello di potersi sentire “italiano” diventerà un obiettivo del giovane Barwuah/Balotelli, che all’ottenimento dei diciotto anni coronerà il suo sogno, almeno sulla carta. Per il ruolo presto rivestito da Balotelli come speranza del calcio nazionale questo passaggio assumerà una valenza inaspettata. Il suo caso porta all’attenzione pubblica il limbo giuridico in cui vivono molti giovani di seconda generazione. Nati e cresciuti in Italia ma ammessi a richiedere la cittadinanza solo al compimento dei diciotto anni, e magari – se non sono valenti sportivi – lasciati per anni ancora senza risposta. Con un eufemismo, Valeri ricorda che l’Italia è «un Paese poco interessato alle seconde generazioni». Fin da subito, attraverso il suo sito internet, Balotelli sollecita la revisione della legge di cittadinanza, una delle più restrittive e arcaiche dell’Europa occidentale. Nelle ultime legislature, varie proposte di legge sono passate nelle commissioni parlamentari ma nessuna ha trovato la via del voto in aula.
Non è solo la questione della cittadinanza a rendere Balotelli un “caso”. Lo è, ancora di più, il colore della sua pelle. Nel novembre 2010, durante una partita amichevole dell’Italia, un gruppo di “tifosi” neofascisti espone uno striscione: «NO ALLA NAZIONALE MULTIETNICA». E’ l’inizio di una serie di insulti rivolti esplicitamente a Balotelli che negano l’esistenza di neri italiani e di un’Italia multietnica e multirazziale. A questo proposito, Valeri scrive: «Mario, con la sua sola presenza, sta obbligando l’Italia a scrivere un’importante pagina della propria storia, che non soltanto ridà dignità a chi ne era stato escluso, ma che non potrà essere strappata facilmente».
Purtroppo questo aspetto socio-culturale del fenomeno Balotelli trova poca attenzione da parte di coloro, associazioni, gruppi anti-razzisti e di difesa dei diritti dei migranti, che su simili questioni solitamente fanno sentire la loro voce. Valeri parla in questo senso della «solitudine di Balotelli», del fatto che – pur sottoposto a un fuoco di fila di insulti e attacchi personali, come accaduto durante il campionato 2012-2013 – non trovi ampia solidarietà pubblica. E’ lasciato solo a difendersi. “E’ anche colpa sua”, diranno o penseranno in molti, ricordando quella volta che ha gettato in terra una maglietta o che ha preso una multa in automobile. Per una reazione che ha dello schizofrenico, gli stessi – persone qualunque, commentatori, giornalisti – sono pronti a dimenticare tutto quando protagonisti sono altri giocatori. Un esempio? Francesco Totti, che durante una partita dei campionati europei sputò addosso a un avversario. Chi se lo ricorda? Lo stesso “eroe” degli sportivi romani e italiani ha inseguito Balotelli per mezzo campo prima di appiedarlo da dietro con una carica di aggressività degna di attenzione dei servizi socio-sanitari più che delle autorità sportive. Fosse accaduto in un altro Paese, meno afflitto dal campanilismo sportivo, Totti con quell’azione avrebbe segnato la fine della sua carriera, almeno agli occhi dell’opinione pubblica. Eppure Totti rimane un campione intoccabile. Perché?
Valeri offre una spiegazione – che è anche un’illuminazione – su certe forme di razzismo che caratterizzano l’Italia: «Come per altri Black Italians, anche per Mario vige una regola non scritta: se vince è perché è il simbolo di un’integrazione riuscita, merito soprattutto dell’Italia accogliente, se qualcosa non va è invece solo perché è nero, ovvero è l’esempio concreto, in negativo, di tutti i pregiudizi che si hanno sui neri, miscelati con elementi tratti dalla sua vita, utili a dimostrare che ha problemi psicologici».
In conclusione, Mauro Valeri ha scritto un libro che mancava, un libro necessario per cogliere il “fenomeno” Balotelli e attraverso esso cercare di comprendere l’identità di un Paese che appare impaurito e incattivito come di chi è incapace di vivere nel presente non avendo mai pienamente risolto il rapporto con il suo passato (coloniale, in primis).
(*) Max Mauro è scrittore e docente universitario: nel 2014 ha ricevuto una borsa di ricerca della Fifa per uno studio sui giovani di origine immigrata, il calcio e il senso di appartenenza culturale in Italia. Ricordo che qui in blog trovate altri suoi scritti ma anche post di/su Mauro Valeri (e i libri citati).

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