La sorellanza è nell’aria

 di Natalie Angier

da «The Spirit of Sisterhood Is in the Air and on the Air» per «New York Times» del 23 aprile; traduzione di Maria G. Di Rienzo

I ricercatori hanno di recente raccolto abbondante evidenza del fatto che l’amicizia fra femmine è uno degli attrezzi narrativi preferiti dalla natura. Per animali diversi come gli elefanti africani, i topini da fattoria, le scimmie blu del Kenya e i cavalli selvaggi della Nuova Zelanda, relazioni durevoli e mutualmente benefiche tra femmine sono l’unità base della vita sociale, la forza che non solo lega insieme i singoli nei gruppi esistenti, ma spiega anche come mai molti antenati degli animali odierni decisero di fare branco.

La ricerca ha mostrato che i babbuini femmine con forti legami di sorellanza hanno un livello di stress ormonale più basso, vivono significativamente più a lungo e crescono un maggior numero di cuccioli sino a condurli all’indipendenza rispetto alle loro pari meno socializzate. Allo stesso modo, cavalle selvatiche con amiche “litigano” meno con gli stalloni e i loro puledri sopravvivono più facilmente. Le topine che si scelgono un’amica di nido avranno più cuccioli di quelle costrette a dividere lo spazio con un topino o una topina che a loro non piace. E le elefantesse si mantengono in contatto con le amiche attraverso vocalizzazioni di tono basso dette anche “brontolii”. «E’ come un cellulare per elefanti» spiega lo scienziato Joseph Soltis: «Praticamente si mandano degli sms: Io sono quaggiù, tu dove sei?».

E’ importante avere un’amica del cuore, la compagna ideale? «Avere tre amicizie solide sembra importante per le scimmie» dice la primatologa Joan B. Silk dell’Università di California, Los Angeles: «Con un trio su cui far affidamento si crea quella relazione forte e stabile che aiuta le femmine a maneggiare bene ogni tipo di stress». Alcuni segni d’amicizia tra femmine sono facili da individuare: le leonesse allattano i figli delle amiche; le iene si festeggiano l’un l’altra attraverso elaborati cerimoniali che esprimono fiducia reciproca, fra cui l’esposizione dei genitali al fiuto delle altre; le elefantesse si toccano le proboscidi, condividono il cibo e fanno da sentinelle a turno, giornalmente, per la salvaguardia del gruppo. Il dottor Soltis cita il caso di un’elefantessa che ha salvato il figlioletto vagabondo della sua migliore amica dalla pozza d’acqua profonda in cui era caduto, sollevando il cucciolo, in preda al panico, con la sua proboscide. Poi si è prodotta nei “brontolii” necessari a chiamare la madre: «Ehi, Ortensia, dove sei? Ho ripescato Dumbo. Porta un asciugamano».

Come riportano Robert M. Seyfarth dell’Università di Pennsylvania e la sua collega Dorothy L. Cheney nell’Annual Review of Psychology sulle origini evolutive dell’amicizia, la vita per un babbuino può essere estremamente difficile, in special modo per una femmina. I maschi sono più grossi e fastidiosi. Quelli che conosci possono morderti via un pezzo d’orecchio per fare i boss. Quelli che non conosci possono ucciderti i neonati. I leopardi sono sempre in agguato. Il cibo è scarso. «Devi avere qualcuno su cui contare» chiarisce il dottor Seyfarth: «Un’amica ti dà un elemento di prevedibilità e di sicurezza, e tu puoi usarlo come cuscinetto per arginare tutte le cose su cui non hai controllo. C’è una componente biochimica, in questo».

Un’amica ti calma e ti riporta in equilibrio, prosciuga i picchi di cortisolo che possono indebolire il tuo sistema immunitario e nel far ciò ti allunga la vita: e questo è vero per i babbuini come per gli esseri umani. «Sì, prendere un caffé con le amiche o gli amici è buona cosa» dice il dottor Silk: «E tutti, maschi e femmine, dovremmo farlo spesso».

Sei splendida. Prendi un biscotto. E adesso dimmi a cosa pensi.

Nota della traduttrice: Mi chiedo perché mai i nostrani giornali strombettino a titoloni “ricerche” fasulle come quella del “punto g” – c’è sicuramente; non tutte ce l’hanno; è una ricerca che viene dagli Stati Uniti; no viene dalla Spagna; passami un compasso sterilizzato che tento di misurarmi – o le abominevoli ancor più fasulle “scoperte” in tema di maschi alfa-femmine beta-omosessuali gamma, e non abbiano minimamente notato l’articolo del «New York Times». Scherzo, in realtà lo so. E lo sapete anche voi lettrici e lettori.

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