LA STORIA DI FAUBUS CONTINUA

(Roba del Pabuda…)

In questi giorni di scombussolato interregno alla Casa Bianca, di assalti reazionari al cuore del sistema politico statunitense, di suprematisti cafoni a spasso per Capitol Hill con la bandiera confederata e altri simboli razzisti e, adesso, di nuove richieste di impeachment per il presidente golpista dal ciuffo sempre meno arancione, con i soldati accampati nei saloni lucidi del Congresso americano in attesa d’un presidente presentabile, mi ronzava in testa un vecchio brano jazz.

                            

Forse per la sua carica di ironia abrasiva e rabbiosa, forse per i suoi sprazzi di autentica comicità o i per i momenti di sapiente casino organizzato. Per qualche giorno non riuscivo, però, a recuperare dal mio magazzino mnemonico, stipato e malandato, il titolo del brano ronzante. Finché, ho avuto la classica, rassicurante, “illuminazione”.

Spesso i brani jazz hanno titoli misteriosi. Fables of Faubus è uno di questi. È una sorprendente composizione del contrabbassista e inventore di musiche (scritte, dipinte, scolpite, improvvisate, rimuginate, esplose) Charles Mingus. Finché l’unico indizio è il titolo, anche conoscendo un po’ d’inglese, si rimane abbastanza disorientati.

Di che favole si tratterà mai!? E… ‘sto Faubus chi è? Un personaggio mitologico, una strana creatura della foresta?

Noo… niente di tutto questo. Per il momento, posso solo rivelare che le “favole” sono orrorifiche e il Faubus era un razzistone di prima categoria. Mingus e i suoi compagni lo trattano con sacrosanta rabbia e un’invidiabile ironia. Ben impastate.

Racconta il pianista e musicologo Donatello D’Attoma, nel suo istruttivo (ma tosto) volume Charles Mingus: Composition versus Improvisation, che nelle settimane del 1957 in cui il governatore razzista dell’Arkansas, Orval Faubus, tentava in ogni modo di ostacolare la fine della segregazione nelle scuole (finalmente sancita dalla Corte suprema), arrivando a far schierare la guardia nazionale a presidio della Central High School della capitale del suo stato per impedire l’accesso a scuola a nove ragazzi afroamericani, Charles Mingus e i suoi prodi erano impegnati al famoso Café Bohemia di Jimmy Garofalo, nel cuore del Greenwich Village di N.Y. per una lunga serie di concerti. Da lì «seguivano ogni giorno le notizie provenienti da Little Rock. Nel repertorio avevano da tempo un pezzo senza titolo e, una sera, suonandolo, a Dannie Richmond [il baffuto batterista, ndr] venne l’dea di cantarvi delle parole beffarde contro Faubus».                        

Ci lavorarono su: con un istintivo e – al tempo stesso – erudito rispetto per la tradizione, ma anche con l’anarchica creatività degli innovatori in anticipo sui tempi. Oltre al “comandante” Mingus col suo contrabbasso e i suoi infiniti foglietti d’appunti, ebbero le mani in pasta: il polistrumentista Eric Dolphy (un genio armato – a seconda della necessità o del ghiribizzo – di sax contralto, flauto, ottavino, clarinetto o clarinetto basso), il giovane trombettista Ted Curson e lo spiritoso e indispensabile Richmond dei Tamburi.

Ne venne fuori uno dei lavori di Mingus politicamente più espliciti e intelligentemente arrabbiati.

Il critico Don Heckman l’avrebbe commentato anni dopo, nella sua biografia di Charles Mingus, con le seguenti parole: «un classico motteggiare negro pungente in cui la satira mette a segno un colpo mortale. Faubus ne emerge sotto un’accecante luce di ridicolo come un finto cattivo che nessuno prende sul serio. Questo tipo di commento, colmo di sentimento, mordacemente diretto e duramente satirico, appare troppo raramente nel jazz».

Riascoltando il brano a breve distanza da altri celebri pezzi di Mingus, suona strano, fascinosamente strano. Brian Priestley ci aiuta a scovare dove sta la “stranezza”: «l’alternarsi di un disinvolto tempo di marcia e un regolare swing (che raddoppia per poche battute a ogni chorus) è una caratteristica a dir poco unica». (Brian Priestley, trad. di Luca Conti, in Musica Jazz, maggio 1017).

Mingus – che sapeva come calcare la mano –, quando presentava il pezzo al pubblico, spiegava che «la composizione è dedicata al primo… o secondo, o terzo… eroe americano».

Avrebbe voluto pubblicarla nel fondamentale album Ah! Um del 1959… ma la casa discografica Columbia non permise di incidere i beffardi cori antirazzisti e concesse la pubblicazione solo di una versione esclusivamente strumentale. Mingus dovette abbozzare pur di vedersi produrre (e distribuire) il disco dall’importante major.

Ma recuperò il brano nella sua versione integrale (comprensivo quindi del canto call and response dedicato al razzista Faubus) per inserirlo nell’album Charles Mingus presents Charles Mingus pubblicato con l’etichetta Candid di Nat Hentoff nel 1960. Vi appare col titolo: Original Faubus Fables: un’implicita denuncia della censura operata precedentemente dalla Columbia.

Chi se ne intende davvero ci spiega che il brano – tra censure e nuove versioni – sarebbe «diventato il terreno di elaborazione di alcune delle idee più geniali di Charles Mingus, vero e proprio campo di battaglia creativo tra improvvisazione e composizione». Io, ascoltandolo e riascoltandolo, più ingenuamente, mi sono annotato sul mio “quadernetto del jazz da non dimenticare”:

Il nocciolo esplosivo del brano non è nascosto in qualche prudenziale polpa o confezione sonora: deflagra immediatamente appena si pigia il tasto “play” e rimbomba nelle voci scanzonate e dolenti di Mingus e Richmond che si alternano per levare il grido, lo sfottò, la preghiera.

Il canto riproduce la tradizionale tecnica del call and response: del “botta e risposta”, potremmo dire. Tipica delle work song, fin da quando gli schiavi nei campi di cotone accompagnavano la loro fatica con i canti, ma presente anche nelle celebrazioni liturgiche, negli inni politici, nei giochi e nelle sfide di strada e nelle cantilene infantili.

A riprova delle sue radici antichissime, tale “formato” di canto collettivo è rintracciabile nelle musiche caraibiche delle Indie occidentali: Giamaica, Trinidad & Tobago, Bahamas, Barbados e Belize. Ma anche tra la popolazione nera del Brasile e di altri paesi dell’America meridionale. Insomma, ovunque sia presente la Diaspora africana e la sua discendenza.

È una modalità espressiva che ascoltiamo utilizzata ancora adesso, ciascuno a suo modo, nei sermoni domenicali più coinvolgenti e soul ma anche in molti brani hip hop.

Ho letto da qualche parte che la musica – e soprattutto quella cosa chiamata “jazz” – va ascoltata con tutti i cinque sensi. Io ci provo e, in questo caso, metto in azione l’olfatto e devo dire che annusando Fables of Faubus sento odore d’incenso come durante una marcia funebre, ma anche di dolciumi e di cacca d’elefante come da bambino al circo e addirittura di sudore, tabacco e birra, come in mezzo agli schiamazzi divertiti in un pub o in un’osteria. Ma qualcuno piange e non ne può più, da qualche parte c’è del chewing gum: un virtuoso mastica ed esala un aroma dolciastro, dopo aver ammorbidito la gomma soffia e gonfia una bolla translucida, fino a farla scoppiare: dev’essere quel pallone gonfiato di Faubus che fa la fine prevedibile.

Nel frattempo, il call and response tra Mingus e Richmond va in pezzi, si sgretola: intervengono voci che son d’ottone, di pelli di tamburo percosse, e corde inferocite ma perfezioniste d’un contrabbasso. Nell’atmosfera c’è molto pianto ma anche quello è un suono continuamente deformabile che si distende e s’accorcia all’improvviso come un elastico. Eric Dolphy, con quel sax cosa combina? Piagnucola? Ridacchia? Si strazia? Fa le linguacce?

A un certo punto dalla tromba sembra uscire un “Ragazzi, non esageriamo. Adesso basta!”. Ma se ascolti con attenzione t’accorgerai che sta facendo pure l’occhiolino.

Adesso, scrivendo queste note, sento un secondo ronzio in testa: è quello d’un’altra canzone che ascoltavo entusiasta da ragazzino: cantata da un greco fenomenale, vocalist e frontman d’un gruppo italiano altrettanto fenomenale. Mi sembra di ricordare tutto il testo. Diceva: “il mio mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia ciò che penso della vita… con il suono delle dita si combatte una battaglia che ci porta sulle strade della gente che sa amare”. Il titolo di quel brano degli Area – apparso sull’album Crac! (quello con l’uovo in copertina) – mi viene in mente immediatamente. È facile: Gioia e Rivoluzione.

Tra me e me, senza far rumore, penso subito: “Ma… non c’entra niente!”. Litigo silenziosamente con me stesso: “Non è vero: un po’ c’entra. Forse molto”.                                                   

Ma, a questo punto, chi legge – più che dei miei battibecchi interiori – vorrebbe sapere cosa dicono Mingus & Co. nel loro “botta e risposta”…

Ecco, quindi, qui di seguito il testo e la sua traduzione.

 

FABLES OF FAUBUS:

 

Oh Lord, don’t let them shoot us

Oh Lord, don’t let them stab us

Oh Lord, don’t let them tar and fea­ther us

Oh Lord, no more swa­sti­kas !

Oh Lord, no more Ku Klux Klan!

Name me so­meo­ne ri­di­cu­lous

 

Governor Faubus!
Why is he so sick and ridiculous?
He won’t permit integrated schools

Then he’s a fool! Boo! Nazi fascist supremists!
Boo! Ku Klux Klan (with your Jim Crow plan)*

Name me a handful that’s ridiculous, Dannie Richmond
Faubus, Rockefeller, Eisenhower.
Why are they so sick and ridiculous?

Two, four, six, eight:
They brainwash and teach you hate.
H-E-L-L-O, Hello.

-.-.

LE FAVOLE DI FAUBUS:

Oh Signore, non lasciare che ci sparino

Oh Signore, non lasciare che ci pugnalino

Oh Signore, non lasciare che ci torturino

col catrame e con le piume

Oh Signore, basta svastiche!

Oh Signore, basta col Ku Klux Klan!

Dimmi qualcuno ridicolo

 

Il governatore Faubus!

Perché è così disgustoso e ridicolo?

Non vuole permettere le scuole integrate.

 

Allora è scemo! Boo! suprematisti! nazi! fascisti!

Boo! Ku Klux Klan (col suo piano Jim Crow).

 

Dimmi una manciata di persone ridicole, Dannie Richmond

Faubus, Rockefeller, Eisenhower.

Perché sono così disgustosi e ridicoli?

 

Due, quattro, sei, otto:

Fanno il lavaggio del cervello e t’insegnano a odiare.

C-I-A-O, Ciao.

.-.

UNA NOTA:

* con l’espressione “Jim Crow laws” vengono indicate tutte le leggi statali e gli ordinamenti locali che tra il 1876 e il 1965, specie negli Stati del Sud e di frontiera, introdussero legalmente la segregazione razziale in tutti gli spazi pubblici: scuole e università, luoghi di ritrovo e svago, esercizi commerciali, trasporti pubblici, hotel e ristoranti.
La segregazione razziale nelle scuole fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema nel 1954, con la sentenza “Brown versus Board of Education”, ma le Jim Crow laws furono formalmente abolite solo con il Civil Rights Act nel 1964 e il Voting Rights Act dell’anno successivo. Fortissime furono le resistenze dei segregazionisti, tant’è che il governatore dell’Arkansas poteva permettersi ancora nel 1957, a tre anni dalla sentenza della Corte Suprema, di opporsi al governo federale e di non applicare l’integrazione nelle scuole.

LE IMMAGINI (dall’alto verso il basso):

Nella prima immagine: i/le 9 ragazzi/e di Little Rock esclusi/e dalla Central High School. Dall’alto verso il basso, da sinistra a destra, sono: Gloria Ray, Terrence Roberts, Melba Patillo, Elizabeth Eckford, Ernest Green, Minnijean Brown, Jefferson Thomas, Carlotta Walls e Thelma Mothershed.

Nella seconda immagine è immortalato il governatore dell’ Arkansas Orval Faubus quando si presentò in televisione mostrando il seguente cartello: “Contro l’integrazione razziale in tutte le scuole del distretto scolastico di Little Rock”.

L’ultima foto ritrae una manifestazione contro l’integrazione razziale nelle scuole (e a sostegno di Orval Faubus) di fronte al palazzo del governo dell’Arkansas; fu scattata di John T. Bledsoe, oggi conservata presso la United States Library of Congress ed è ormai di pubblico dominio. Le scritte sui cartelli dicono: “La mescolanza razziale è comunismo”, “Fermiamo la mescolanza razziale, Fermiamo la marcia dell’anticristo”.

.-. .-.

VERSIONI DEL BRANO ASCOLTABILI GRATUITAMENTE IN RETE:

La versione (solo strumentale) presente nell’album Mingus Ah Um (Columbia records):

Charles Mingus-“Fables of Faubus” from “Mingus Ah Um” – YouTube

La versione (integrale) Original Faubus Fables dall’album Charles Mingus presents Charles Mingus (Candid records):

Original Faubus Fables – YouTube

Mingus Big Band dall’album Gunslinging Birds:

Mingus Big Band – Fables of Faubus – YouTube

La versione del Project Trio:

Fables of Faubus by Charles Mingus performed by PROJECT Trio – YouTube

La versione di Quintorigo:

QUINTORIGO play Mingus Fables of Faubus ( live ) – YouTube

La “BOTTEGA” SEGNALA QUESTO TESTO IMPOSSIBILE:  Lettera di Charles Mingus a db. Quanto al tipo che suonava sax contralto, flauto, ottavino, clarinetto o clarinetto basso cfr Eric Dolphy: un geniale gessetto sulla lavagna e Eric: 1) se amate il jazz e…

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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