Storia di una famiglia Mapuche che ha cambiato vita

Da Santiago a Bajo Pellahuen.

di Helodie Fazzalari (*)

Dal pueblo di Galvarino ai campi di Bajo Pellahuen ci si impiega circa 2 ore in “micro”, un bus che passa una sola volta al giorno fermandosi di fronte ad ogni proprietà delle famiglie che abitano nel campo. La micro porta la gente della comunità fino a Galvarino per una cifra di 900 pesos cada uno. Quel giorno però la micro era già passata, e Rodrigo, un uomo di origine mapuche, ci venne a prendere con il suo furgone grigio metallizzato. Avremmo dovuto capire subito, fin dai primi racconti di Rodrigo, che quella sarebbe stata un’esperienza che avrebbe lasciato il segno nel nostro viaggio, facendoci tornare a casa con una prospettiva del tutto stravolta rispetto al mondo mapuche conosciuto fino quel momento. Rodrigo è sempre stato un mapuche di città: ha vissuto a Santiago fin da quando era bambino e mai nessuno gli ha trasmesso il legame con le sue origini indigene. “Mia nonna non mi ha insegnato a parlare mapudungun perché un tempo essere ciò che sono era una vergogna. Nonostante ciò quando ero piccolo ho vissuto per due anni a Bajo Pellauen e me ne innamorai. Tornavo ogni estate con la speranza di poterci vivere un giorno e di poter costruire su questa terra. Crescendo mi sono reso conto di chi ero, di quanto fosse importante conoscere le proprie origini e ho capito che per essere mapuche non basta una discendenza di sangue, ma bisogna metterlo in pratica. E’ per questo che oggi vivo qui, per dare una forma concreta al mio essere mapuche e per attuare realmente la rivendicazione del territorio. E’ importante che un mapuche non soltanto riconosca di essere tale, ma impari anche a conoscersi. Un Mapuche è un essere carismatico, tal volta dotato di uno spirito molto potente e di caratteristiche particolari. Per questa ragione il mapuche deve avere paura solo di se stesso, nel caso in cui non si conosca abbastanza e non sia in grado di gestire certe qualità. E’ importante che il mapuche impari a conoscersi, perché solo così potrà scindere il bene dal male e non danneggiare se stesso”.


Rodrigo ci racconta di come il popolo mapuche sia la realtà indigena più antica del mondo, ma che lo stesso mondo stenta a riconoscerlo. “La popolazione mapuche ha una matrice mista in quanto gli spagnoli conquistadores rapivano le donne indigene e le sfruttavano a scopi sessuali, era una pratica molto diffusa tra i soldati dell’epoca. Viceversa anche i mapuche misero incinte, a loro volta, diverse donne spagnole”. Rodrigo è un attivista, un uomo di prima linea che lotta ogni giorno per il recupero del territorio perduto. Questa lotta si è concretizzata nella costruzione della sua casa e di una ruka che sta per essere terminata. “Ho costruito tutto da solo, o con l’aiuto di qualche membro della comunità. Dietro tutto ciò ho un progetto: vorrei che questo terreno, oltre ad ospitare la mia ruka, potesse diventare un camping, dove ospitare amici e parenti, o gente di passaggio, ma con un massimo di 10 tende. Qui c’è il fiume e sarebbe un luogo perfetto. Vorrei che questo campeggio potesse funzionare ad energia solare, fosse ecosostenibile e che rappresentasse anche un luogo dove poter riscoprire la cultura e le arti mapuche. La ruka sarà un luogo dove sia io che la mia compagna possiamo esercitare le nostre professioni. Io nella mia vita ho praticato diversi mestieri, è importante per la cultura mapuche, che un uomo conosca diverse professioni”. Rodrigo ci spiega che vive a Bajo Pellahuen da 3 anni, con la sua compagna Danitza e il piccolo Millantü, e che proprio il bambino è una delle motivazioni principali per le quali lui e Danitza hanno deciso di venire a vivere al sud. Rodrigo non racconta di più, ma questa ha tutta l’aria di essere una storia incompleta e misteriosamente interessante. Noi però non chiediamo altro per ora, certi che una volta arrivati al campo la nostra curiosità sarà soddisfatta da un racconto senza precedenti.


Dopo un’ora e mezza di strada arriviamo dalla zia di Rodrigo, la signora più anziana della comunità, dove incontriamo anche il Lonko. Nessuno dei due sapeva del nostro arrivo, ma nonostante ciò ci accolgono come i più attesi degli ospiti. Ci fanno accomodare offrendoci da bere e iniziano a raccontarci della loro comunità. Il Lonko è diventato tale da circa 3 anni, il suo ruolo è quello di guidare i membri più giovani della comunità, quello di organizzare i ñgillatue, rituale della massima spiritualità mapuche, e di prendere decisioni importanti per l’intera comunità.

Dopo aver salutato la famiglia risaliamo sul furgoncino alla volta di casa di Rodrigo. Un cancello in legno delimita la sua proprietà, sul fondo sono state costruite due abitazioni: una casa in legno ed una ruka tradizionale. Rodrigo non fa in tempo a mettere un piede fuori dal furgone che un bimbo di circa 3 anni corre insieme ai suoi due cani verso la porta d’ingresso. “papà, papà”, urla di gioia Millantü. Subito il bimbo capisce di avere ospiti e con estremo entusiasmo inizia a girarci in torno, farci domande, toccare i nostri zaini, la macchina fotografica e tutto ciò che è estraneo alla sua quotidianità. Esulta di fronte ad un vasetto del suo yogurt preferito e ride di gusto quando i suoi cani lo inseguono per farsi dare uno dei suoi biscotti dolci. Millantü è gioia, semplicità e contatto con la terra. Scendiamo a fare il bagno al fiume ed è il piccolo ad indicarci la strada, prima di bagnarsi chiede permesso allo spirito del torrente, al suo interno raccoglie tra le mani dell’acqua, la bacia, parla con gli alberi ed ascolta le foglie. Millantü è un bambino speciale e lo si percepisce anche solo dai primi minuti in sua compagnia. Nel risalire verso casa assapora qualche mora selvatica, tratta ogni elemento naturale come se fosse la cosa più sacra al mondo e manifesta un amore incondizionato per la terra sulla quale vive.


Millantü è così speciale che ogni domanda sul suo conto appare scontata e banale, ma la madre scorge nei i nostri occhi la curiosità di sapere qual è la storia che si cela dietro questa realtà a tratti incantata. Danitza è una donna mapuche di quinta generazione, alla quale non è mai stato insegnato nulla di questa cultura e che ha sempre vissuto in città. Comprende immediatamente il nostro desiderio di sapere, ci prepara un buon riso con patate, ci fa accomodare ed inizia a raccontarsi. “Fin da piccola ho sempre avuto dei sogni premonitori, sognavo di bagnarmi nel fiume, di perdermi nel bosco, e una volta ho sognato perfino di volare. Ma la realtà è che non ho mai saputo riconoscere questi sogni. Mi sono sposata a Santiago ed ho avuto 4 figli, quando il mio matrimonio è terminato ho incontrato Rodrigo. Io sono una cantante, mentre Rodrigo è un ballerino, è così che ci siamo conosciuti ed abbiamo scoperto che avevamo un sogno in comune: quello di ritornare alle nostre origini. Quando è arrivato Millantü tutto ha preso forma, è stata come l’Epifania. Fin da subito abbiamo capito che questo bambino avesse delle doti speciali ed è stata la sua nascita a farci prendere la decisione definitiva di trasferirci qui. Il piccolo parla mapudungun molto meglio di noi, sa fare un discorso completo e nessuno glielo ha insegnato. Sa sempre qual è il sentiero giusto da prendere, ci indica la strada e fa in modo di non farci incontrare ostacoli. Noi lo ascoltiamo perché è l’unica cosa che possiamo fare. Qualche settimana fa c’è stato il funerale di una mia zia e noi dovevamo andarci per forza. Quella mattina pioveva a dirotto, Millantü non voleva alzarsi in nessun modo, né tanto meno vestirsi. Abbiamo faticato a farlo salire in macchina. Partiamo e dopo un pò il camioncino si ferma. Rodrigo si è buttato nel fango sotto la pioggia per cercare di farlo ripartire, ma ogni tentativo è stato vano. Millantü non voleva andarci e noi avremmo dovuto ascoltarlo. E’ un bambino particolare: un giorno si sono posati degli uccelli scuri sul tetto della nostra casa e Millantü ha iniziato ad urlargli contro di andare via e di lasciare in pace la sua famiglia. Soprattutto nel periodo del ñgillatue non è raro che degli spiriti negativi si aggirino intorno alla comunità.

Il Machi della comunità (uno sciamano con doti e poteri speciali) e i più saggi, sostengono che Millantü abbia delle caratteristiche particolari che vanno alimentate e curate durante tutto il corso della sua crescita. Un giorno, potrebbe ricoprire un ruolo speciale all’interno della comunità, anche se questo implicherebbe delle responsabilità molto grosse. Però lui deve crescere qui, a contatto con la terra, con la natura e con tutto ciò che lo rende felice. Lui è il motivo principale del perché siamo venuti a vivere a Bajo Pellahuen”. “Per tutta una vita ho messo le esigenze degli altri prima delle mie, facevo di tutto per rendere felice chi mi stava intorno. Quando ho incontrato Rodrigo ho saputo riconoscere la mia strada, ho aperto gli occhi e tutti i sogni che ho fatto per una vita hanno avuto un senso. A Santiago abbiamo lasciato tutto, ogni bene materiale, abbiamo venduto o regalato i mobili e no, non è stata una scelta egoistica, è stato solo un saper riconoscere la mia strada.”


Come ha reagito a tutto questo la tua famiglia, e i tuoi genitori? Mio figlio più piccolo ha sofferto più per la separazione con il padre che per il mio trasferimento. Per il resto sono sempre stata una donna molto indipendente e non mi è mai importato molto del giudizio degli altri. L’unico parere che per me conta è quello di mia nonna, la quale quando le diedi la notizia ci rimase male perché ci saremmo potute vedere molto meno, ma fu felice che avessi trovato la mia strada. D’altronde c’è sempre un prezzo da pagare per la felicità”. Danitza ci racconta di come in questo luogo lei si senta felice e libera e di come abbia finalmente trovato la sua dimensione: “Molta gente potrebbe pensare che io sia pazza. In molti credono che noi siamo poveri, ma io qui mi sento ricchissima e soprattutto sono in pace con la mia terra”. La famiglia è molto attenta all’impatto ambientale, ricicla ogni cosa e non compra mobili o vestiario. Tutto ciò che indossano o è utilizzato come oggetto d’arredo in casa, gli è stato regalato o lo hanno acquistato riciclato. Il progetto della Ruka include uno spazio dove Danitza possa esercitare la sua professione del canto. Inoltre la ragazza sa lavorare la lana e costruire gioielli, è estremamente brava con la tessitura e produce diversi prodotti naturali per la cura del corpo. La Ruka sarà un luogo nel quale Danitza potrà avere lo spazio per comporre le creme medicali, ideare i suoi gioielli, i rimedi e i saponi naturali che utilizza per lavare in casa, in quanto l’acqua che fuoriesce finisce nel fiume ed è importante che questo non venga inquinato con agenti chimici. Nella cultura mapuche la donna ha sempre avuto un ruolo fondamentale: “Un tempo ai bambini si dava prima il cognome della madre, seguito poi da quello del padre. Ed anche nel caso della discendenza, ad esempio per occupare il ruolo del Lonko, si da precedenza al primogenito di genere femminile. La donna mapuche ha diverse responsabilità e fa moltissime cose, ecco perché deve avere il suo spazio all’interno della ruka”, spiega Rodrigo.

Come si coniuga questa vostra attenzione nei confronti dell’ambiente, con le azioni della forestale? “Io non voglio avere alcun problema con la forestale”, spiega Rodrigo. “Qui ci sono spesso molti controlli perché credono siamo noi ad appiccare il fuoco. La realtà è che io presto molta attenzione al mio territorio. Ad esempio in questo momento siamo senza acqua perché stanno facendo dei lavori minerari giù al fiume per l’estrazione dell’oro. Questo per me è inconcepibile. Talvolta il fiume può decidere di regalare una gemma d’oro e di farla fuoriuscire in maniera del tutto naturale. Con quella gemma tu puoi farci qualsiasi cosa: puoi tenerla, regalarla, farci un gioiello o addirittura venderla. Ma tu uomo non hai alcun diritto di estrarre dell’oro dal nostro luogo sacro. E’ come estorcere un qualcosa a questa terra, senza che essa ne sia a conoscenza”.

Come è stato accolto il vostro arrivo dall’intera comunità?

La realtà è che nessuno credeva che alla fine saremmo venuti a vivere qui per davvero. Spesso Rodrigo scendeva a costruire, ma non rimaneva mai troppo a lungo. Quando ci siamo trasferiti in maniera definitiva è stata una sorpresa per tutti, ma la comunità ci ha accolto benissimo e ci siamo integrati fin da subito”, racconta Danitza. “Questa settimana c’è stato il nostro ñgillatue e per me è stato un momento rigenerante del quale avevo proprio bisogno. Tuttavia in quell’occasione sono stata punta da una vespa e sono rimasta a letto con la febbre a 39 per ben 3 giorni. La Machi sostiene che qualcosa sia andato storto durante la cerimonia, ed è probabilmente il fatto di aver lasciato la nostra postazione scoperta per molto tempo”.

Questa storia ha assorbito tutte le nostre energie e ci ha resi vittime come di un incantesimo. Nel mentre il piccolo Millantü ha imparato a suonare uno strumento tradizionale, Rodrigo ha acceso il fuoco intorno al quale continuiamo a chiacchierare bevendo mate, vino e mangiando le sopaipillas fritte sul momento da Danitza. In questi giorni è ospite della famiglia anche il fratello di Danitza, insegnante di sax. La serata si conclude sotto il cielo stellato più bello che abbia mai visto ed intorno al fuoco, dove si alternavano i suoni puliti del corno trutruca, strumento tipico mapuche, di un sassofono e delle più sincere risate del piccolo Millantü. Anche oggi l’Araucanía ci ha fatto un regalo.

(*) Testo e foto: Pressenza

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