La storia si muove

di Mark Adin

La storia si muove, come la natura, in modo cruento, inaspettato e difficilmente arginabile. L’Africa settentrionale brucia. Le poche notizie che filtrano, soprattutto grazie al web, parlano ormai di centinaia di morti. Sulla folla, in Libia, sarebbero stati esplosi persino razzi anticarro.

Sono i popoli più oppressi, schiacciati tra la dittatura in patria e il respingimento dei paesi ricchi, che si ribellano e hanno il coraggio di affrontare il Martirio.

Nessuno se l’abbia a male: di questi tempi, durante i quali tocca far sponda sul Risorgimento, durante i quali sostituiamo al “Viva Verdi” del Nabucco il “Viva Mameli” di San Remo, torna a galla, grondante sangue, la parola Martire, parola oggi migrata verso la cultura islamica e connotata in senso fondamentalista, che nasconde inevitabile un tratto epico. Dal Medio Oriente alla Cecenia all’Afghanistan, una cintura esplosiva stretta intorno alla vita della Terra in ostaggio.

A giudicare dal nostro Inno di Garibaldi – Si scopron le tombe, si levano i morti / i Martiri nostri son tutti risorti – da noi si tratterebbe di risurrezione e non di insurrezione, Martiri zombie.

Chi sono, che significa questa parola? Dall’etimo primigenio di “testimone” oggi se ne stiracchia, per facile estensione, il significato di “eroe”. Parola strattonata e, per certi versi, curiosa. Nella accezione cattolica, guarda un po’, sarebbero catalogati tre tipi di martirio: bianco, verde e rosso. Cosa un po’ surrealista che pone, ancor più a buon diritto, i fratelli Bandiera nel novero di cui sopra.

Sembrerebbe di capire che Martiri siano coloro che, forti di una loro condizione comune, testimonino anche a costo della vita le proprie idee, reclamando giustizia. Definizione, quest’ultima, più convincente.

Centinaia di questi eroi-testimoni sono stati uccisi nelle piazze di Bengasi da macellai venuti dal sud, assoldati da un dittatore che ha piantato le tende a Villa Borghese, infiltrato economicamente le nostre più grandi aziende, regalato il corano a giovani spregiudicate che avevano preso la cosa per il casting di un reality.

Dopo Egitto, Tunisia, Algeria, ora anche la Libia ha il suo bagno di sangue. La Storia batte un colpo.

Ma come? Nessuno dei grandi commentatori, dei politologi, degli studiosi – quelli veri, mica Frattini – ne aveva avuto sentore? Nessuno aveva presagito, nelle assise degli studi internazionali, questa così ampia e sanguinosa rivolta? E la Cia, il Mossad, gli aerei spia, i satelliti, l’orecchione di Echelon, Wiki Leaks, Jason Bourne: si grattavano?

Quale sarà la goccia a far traboccare il vaso non è dunque mai dato sapere in anticipo, ma una cosa è sicura: ci si ribella se la misura è colma. E la rivolta si propaga in un lampo quando l’informazione mantiene i collegamenti, porta notizie, annuncia una vittoria, trasmette la fiducia.  Bisogna correre rischi personali a volte molto grandi, ci si deve mettere in gioco sul serio.

C’è spesso da chiedersi, in Italia, come mai questa goccia non venga, come mai il richiamo non sia raccolto (Maroni ricordava che tra la Tunisia e l’Italia c’è la stessa distanza che passa tra Milano e Bergamo), come sia possibile che Quello sia ancora lì con le sue puttane (intendo quelle di entrambi i sessi, sedute in Parlamento), carico di violenza e di infinita arroganza. Qualcuno, però, proclama che la nostra non sia ancora una dittatura. Meno male, sì. Ma quando notizie come quelle rivelate da Wiki Leaks non passano ai tiggì, quando la menzogna regna sovrana, quando le mie gambe sono minacciate da uno come Lele Mora, quando i parlamentari vengono comprati uno a uno, quando il capo del governo minaccia la magistratura, quando decine di migliaia di lavoratori sono privati delle loro tutele, quando le donne sono offese, quando al governo ci mette i suoi dipendenti, quando certa stampa diventa sicario, quando la scuola prepara gli idioti, come cristo la devo chiamare ‘sta cosa? Democrazia?

Eppure non è solo questo il punto.

Perché si possa innescare una azione di massa, forse ci vuole un incentivo, forse è necessario arrivare alla fame, alla difficoltà vera, allo spasmo. E noi, per fortuna, va’ là che stiamo benino. Abbiamo ancora le nostre macchine sotto al culo, ci compriamo il vestito, andiamo in palestra, facciamo il viaggetto, la sera ce ne stiamo a veder la tivù.

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