La strada accidentata della Spagna verso la regolazione della cannabis

1

 di Joep Oomen (traduzione di Enrico Fletzer)

 Negli ultimi quattro mesi la Suprema Corte Spagnola ha condannato tre associazioni di consumatori di cannabis per presunti reati contro la salute pubblica. Nei suoi giudizi la Corte conclude che la coltivazione e distribuzione organizzata dalle associazioni Ebers e Pannagh (Bilbao) e dalla Three Monkeys (Barcellona) non rientra nel concetto di “non punibilità” della coltivazione collettiva, quale fino ad ora è stata considerata da molti tribunali locali spagnoli come un argomento per assolvere queste e altre associazioni.
Specialmente la sentenza contro Pannagh é un colpo significativo al movimento spagnolo pro-cannabis,quanto è stato precisamente la prima assoluzione di questa associazione, da parte della Corte provinciale della Biscaglia (Paese basco) dell’aprile 2007 che aveva dato il via ai consumatori di cannabis in Spagna che cercavano di sviluppare le loro attività entro una cornice legale. Questo ha portato alla creazione di centinaia di associazioni in tutto il paese ma specialmente in Catalogna e nel Paese basco, dove la cannabis poteva esser coltivata e distribuita i membri sotto gli occhi delle autorità. Tuttavia, la mancanza di una cornice legale per regolare la situazione rimaneva come una spada di Damocle. Pannagh fu vittima di un nuovo intervento della polizia nel novembre 2011 nel corso del quale 75 chili di cannabis, il raccolto annuale per I suoi 300 membri,furono confiscati.Quattro anni dopo la Corte Suprema condannava il presidente di Pannagh, Martin Barriuso e il suo segretario a pene detentive di 1 anno e otto mesi e a multe di 250.000 euro ciascuno.Se questa sentenza non verrà revocata, essa porterà indietro la sicurezza legale dei consumatori di cannabis spagnoli al livello dello scorso secolo.

Nel 2016, la Spagna compierà il suo 50mo anniversario di legislazione proibizionista, che é cominciata con la ratifica del 3 settembre 1966, della Convenzione Unica sulle Droghe Narcotiche delle Nazioni Unite del 1961. Ma a differenza di altri paesi,la Corte Suprema Spagnola aveva già sentenziato nel 1974 che il semplice consumo e possesso di droghe per consumo personale non dovesse esser punito dalla legge penale. Coerentemente con la iniziale decriminalizzazione del consumo e possesso non finalizzato al traffico, la Corte Suprema aveva anche sentenziato che né la cosiddetta coltivazione collettiva né la fornitura di una droga ad un consumatore abituale potesse essere considerato un crimine, quando questo serve a delle finalità compassionevoli,come alleviare l’astinenza.

Nel 2001 gli esperti legali Juan Muñoz e Susana Soto,su richiesta della Commissione Droghe del Governo Regionale della Andalusia,hanno prodotto un rapporto nel quale, dopo aver analizzato in maniera esaustiva la legge sulla cannabis e le altre sostanze illecite, una serie di criteri furono stabiliti che avrebbero reso possibile l’istituzione di stabilimenti nei quali si potesse ricavare della cannabis per scopi ricreativi e terapeutici rispettando al contempo la cornice legale. “Queste iniziative avrebbero uno spazio nel nostro sistema legale se configurate come centri chiusi al pubblico dove I membri potrebbero avere un accesso ristretto alla cannabis.”

Il rapporto di Soto e Muñoz ha prodotto una interpretazione secondo la quale le persone che consumano cannabis possono utilizzare il loro diritto costituzionale di associazione per organizzare il loro approvvigionamento senza dover ricorrere al mercato illegale. L’ associazione affitta uno spazio e coltiva delle piante per i suoi membri,il tutto secondo il loro consumo stimato per evitare un surplus. Le spese generate dall’associazione (affitto,semi, concimi, apparecchiature, viaggi, amministrazione ecc.) sono sommate e divise per il raccolto totale , di modo tale che il contributo che ogni membro deve pagare (calcolato in euro per grammo) copre i costi in proporzione al consumo.

Le associazioni della cannabis non sono concepite per vendere cannabis,per il semplice fatto che non sono proprietarie delle piante ma si occupano semplicemente di quel che rimane la proprietà dei membri. Esse non sono concepite per creare del profitto,ma per fornire un servizio ai propri membri indipendentemente dalla dimensione del raccolto:Quel che conta sono i benefici goduti dai membri: non più incertezza sulla qualità e la possibile adulterazione del prodotto e una fonte affidabile di counseling ed informazione sulla cannabis che aiuta a creare una nuova cultura di consumo di cannabis,come primo passaggio verso una vera normalizzazione.

A causa della assenza di qualunque iniziativa politica volta a creare una cornice legale per regolare il modello, le associazioni create recentemente hanno iniziato presto a fare le loro proprie interpretazioni del codice idi condotta originario sviluppato da Pannagh e da altri pionieri attivisti.

Ai margini del modello di distribuzione no profit, alcune persone non potevano resistere alla tentazione di sostituire la trasparenza e la tracciabilità con delle strategie commerciali per ottenere un vantaggio rapido da quello che era concepito come un nuovo mercato legale della cannabis. In molti casi le associazioni si sono trasformate in club e i membri si sono trasformati in clienti. In città come Barcellona o San Sebastian, i politici locali iniziavano a sviluppare una cornice di regolazione per fare operare i club senza considerare l’approvazione del governo centrale di Madrid. Degli investitori da tutto il mondo arrivavano con l’intenzione di ‘compre un cannabis club’,attratti da pagine web che contenevano messaggi promozionali come:”dall’apertura di una nuova generazione di cannabis club e l’apparizione di un consumatore più esigente, Barcellona ha superato la situazione dei coffee-shop di Amsterdam. Oggigiorno, alcuni dispensari di Barcellona non hanno nulla da invidiare con i dispensari della marijuana medica del Colorado e della California.”

Mentre per i membri di Pannagh,creare un cannabis social club rappresentava un atto di disobbedienza civile inteso a sfidare la legge e a provocare della discussione nella società sul bisogno urgente di cambiamento, per la nuova generazione esso sembrava sempre più diventare un investimento finanziario.Di conseguenza il movimento degli attivisti pro-cannabis spagnoli, un piccolo gruppo di persone che hanno combattuto per oltre 10 anni per ottenere questo notevole progresso, sono stati colpiti da conflitti molto riscaldati sulle strategie da adottare.

Ora la spada di Damocle non è solo caduta su Pannagh. Il giudizio della Corte Suprema , ispirato da una ultima convulsione di una Spagna conservatrice di fermare il processo verso la regolazione della cannabis, si aspetta avere delle drastiche conseguenze sul breve periodo , dal momento che molti dei club legalmente costituiti si pensa possano chiudere per evitare la persecuzione.

Nel frattempo tutti sanno che sul lungo periodo, i poteri centrali di Madrid non possono permettersi di attuare un divieto totale sulla cannabis totalmente impopolare, tra le altre cose a causa della  munizione che può fornire per la richiesta di autonomia regionale. Un passaggio reale in avanti in tutto il paese sotto forma di una nuova legge é inevitabile, per quanto sembra improbabile che questo avvenga presto, dovuto alla situazione politica complicata che si è venuta a creare in Spagna dopo le elezioni politiche del 20 dicembre.

Per questo è importante che venga revocata la sentenza contro Pannagh e che l’associazione riceva tutto il sostegno di cui ha bisogno per implementare tutte le risorse possibili per ottenere giustizia, senza dover fronteggiare un incubo finanziario.

Il caso sarà anche di grande importanza per il dibattito in Europa.Dopo la prima operazione di polizia contro Pannagh nel 2005, l’europarlamentare europeo Giusto Catania fece una richiesta scritta alla Commissione europea:

Se la legislazione spagnola permette che operi una associazione di consumatori di cannabis, e se esiste una possibilità di coltivare legalmente delle piante di cannabis, premesso che sia fatta senza finalità commerciali, come succede che la giustizia spagnola proceda contro una associazione legalmente costituita che coltiva per uso personale? Non è questa una incongruità che mina il principio di sicurezza legale e il diritto di associazione?

La risposta fu molto chiara: *L’Unione europea non ha alcuna competenza sulla regolazione di attività relative al possesso e al consumo. Gli stati membri della Unione Europea sono obbligati dalla legislazione delle Nazioni Unite e dalla legislazione della UE a perseguire ogni cosa che ha a che fare con la distribuzione illecita di droghe illecite. Ma questo obbligo sparisce nel caso di coltivazione per uso personale,dal momento che questo non è coperto dalla Decisione Quadro del Consiglio Europeo. La coltivazione della cannabis per uso personale é definito da leggi nazionali.* Un simile margine esiste nella Convenzione Unica delle Nazioni Unite.

Il governo spagnolo, come tutti gli altri, è per questo motivo competente per la regolazione amministrativa della coltivazione per uso personale o collettiva, determinando il numero di piante che ogni persona può possedere per uso personale, senza violare alcun accordo internazionale.

Nei prossimi giorni ci si attende che Pannagh annunci i suoi progetti di portare il suo caso ad un livello più alto, che potrebbe essere la Corte Costituzionale Spagnola o la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo.Il seguito riguarda tutti quelli che a livello mondiale lottano per una regolazione che elimina la attuale incertezza legale rispetto alla coltivazione di cannabis per il consumo personale. In ogni stato che si dichiara civilizzato, le persone adulte devono essere permesse( sotto certe condizioni come un numero massimo di piante o corrispondenti ad una superficie equivalente per la coltivazione in interno o in esterno) a coltivare ogni tipo di pante per il consumo individuale e per compartire con altri .

Siamo tutti Pannagh!

Di Joep Oomen

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *