La tortura nell’Italia di oggi

La prefazione di Patrizio Gonnella e l’introduzione all’e-book di Antigone (*)

La tortura è un crimine del potere. Esso è commesso da uomini in carne e ossa nel nome di un fine superiore e non dicibile. Antigone, in questo e-book, piuttosto che limitarsi a raccontare solo episodi o inchieste ha scelto un’altra chiave narrativa, che è quella dell’approfondimento, sia giuridico che empirico. La tortura ha un suo tragico e complesso vocabolario che intreccia concetti, fatti e norme. E questo intreccio intendiamo raccontarlo. La tortura è un crimine contro la dignità umana.

Non c’è modo di comprendere la necessità giuridica, politica, sociale, umana di punire chi tortura se non si crede nella primarietà della dignità umana. La dignità umana è il bene giuridico protetto dalle norme penali, laddove esistenti, che incriminano la tortura. La dignità umana è la non degradazione dell’uomo a cosa, la sua irriducibilità a mezzo. La tortura degrada l’uomo a cosa, lo riduce a mezzo. La tortura è sempre finalizzata a strumentalizzare l’uomo in funzione investigativa o punitiva. La dignità umana non è riassumibile nella sola integrità fisica, psichica o psico-fisica. La dignità umana è qualcosa di diverso, di meno tangibile, di più complesso. La dignità umana è il fondamento dei diritti umani, è il criterio di esigibilità, è il diritto ad avere diritti.

L’impegno di Antigone è verso la promozione e protezione della dignità umana di tutti, innocenti o colpevoli, liberi o reclusi. Antigone dal lontano 1998 ha lottato affinché nel codice penale italiano fosse introdotto il delitto di tortura. Ora finalmente c’è. Non ha la conformazione giuridica prevista dall’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite nel 1984, ma pubblici ministeri e giudici lo stanno imputando in giro per l’Italia (da Torino a Santa Maria Capua Vetere, passando per San Gimignano e Monza) nei confronti di pubblici ufficiali, tanto che c’è chi, tra i fan dei torturatori, chiede addirittura l’abrogazione del reato.

Non c’è democrazia senza giustizia e senza il rispetto dei diritti umani di tutti. Il divieto di tortura è al fondamento delle democrazie costituzionali novecentesche. È una conquista che deve essere non solo tradotta in norme, ma anche in pratiche di polizia e giudiziarie. Questo volume vuole contribuire ad elevare il dibattito sottraendolo alle volgarità di chi vorrebbe una patente di impunità per chi svolge funzioni di ordine pubblico, sicurezza o custodia.

INTRODUZIONE

Nel 1989 l’Italia ratificò la Convenzione contro la tortura votata il 10 dicembre 1984 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il testo prevedeva l’obbligo per i Paesi aderenti di inserire nei propri codici penali una norma specifica che consentisse di inquadrare e punire il reato di tortura. Obbligo che l’Italia ha disatteso per quasi trent’anni.

Le proposte di legge volte a riempire questo vuoto non sono mancate; alcune erano promosse da Antigone. Tutte, fino a luglio del 2017, si sono arenate nel percorso parlamentare. Il reato di tortura, dunque, in Italia esiste da poco. Non si può dire lo stesso della tortura. Tortura che senza un reato specifico è sempre stato difficile perseguire. Si è dovuto ricorrere di volta in volta a fattispecie come le lesioni, l’abuso di mezzi di correzione e altro ancora. Ma per questi reati le pene non erano – né potevano essere – proporzionate ai fatti. Né erano adeguati i termini di prescrizione previsti. A luglio del 2017 il Parlamento ha votato una norma che prevede l’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano.

La definizione di tortura riportata all’articolo 613 bis non è quella che troviamo nella Convenzione delle Nazioni Unite, innanzitutto in quanto non prevede che la tortura sia un delitto proprio dei soli pubblici ufficiali. Il Parlamento ha ceduto ancora una volta a pressioni provenienti da mondi vicini alle forze dell’ordine e incapaci di farsi portavoce di visioni non corporative. Alcuni tra gli attori della sicurezza continuano a non comprendere che una legge che punisce la tortura, lungi da intralciare il lavoro investigativo o di repressione della criminalità, contribuisce a distinguere chi ogni giorno tra le forze di polizia porta avanti il proprio lavoro in maniera onesta da chi abusa del potere conferito dalla divisa.

Se la legge attuale è decisamente migliorabile, essa va comunque salutata con favore. Oggi la parola tortura finalmente esiste anche per l’ordinamento italiano. E il diritto vivente, con le imputazioni per tortura che abbiamo avuto a più riprese nei mesi scorsi anche grazie al lavoro di Antigone, ci dimostra che la nuova legge era applicabile. Antigone ha aperto su questo tema un confronto con magistrati, avvocati, esperti, accademici, nonché componenti di organismi di garanzia e controllo. A novembre 2019 sono state organizzate due giornate di studio e riflessione presso il Castello di Santa Severa: gli atti di quelle giornate sono riportati in questo e-book.

In questa pubblicazione si approfondisce il tema della tortura da un punto di vista giuridico ed empirico. Da un lato ci si interroga sulle possibilità applicative della legge attualmente in vigore. Dall’altro si esplorano le situazioni e i luoghi in cui è maggiore il rischio di tortura: il che serve a capire quali sono i principali fattori di rischio e quali gli strumenti di prevenzione più adeguati. Nel primo capitolo si analizza nel dettaglio il testo della legge n.110/2017. Se ne evidenziano i limiti ma anche le inaspettate possibilità interpretative. Al contempo si traccia un bilancio provvisorio delle prime contestazioni del delitto da parte delle Procure italiane. Nel secondo capitolo si ripercorrono alcuni dei processi in cui Antigone è coinvolta e che hanno un rapporto con la tortura. In essi si individuano alcuni elementi ricorrenti, quali la presenza di ostacoli tra la vittima e la denuncia delle violenze, la mancata refertazione delle lesioni da parte dei medici penitenziari o la concentrazione dei casi nelle sezioni di isolamento. Nel terzo capitolo il Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale sottolinea i fattori di rischio legati alla tortura nel contesto penitenziario, gli elementi critici da monitorare con più attenzione e l’importanza della prevenzione della tortura, oltre che del suo perseguimento in sede penale.

Nel quarto capitolo ci si concentra sugli hotspot, in cui molti migranti vengono trattenuti senza alcuna convalida dell’autorità giudiziaria e in assenza di rimedi interni che permettano di denunciare maltrattamenti e condizioni di vita. Tutto ciò in contrasto con la sentenza Khlaifia contro Italia del 2016 con cui la Gran Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato il nostro Paese. Il quinto capitolo, di stampo sociologico, approfondisce l’iter con cui la legge è stata introdotta. Così facendo mette in luce il rapporto tra le retoriche dispiegatesi nell’ambito del diritto, il contesto delle relazioni tra gli attori sociali e professionali coinvolti e i conflitti e gli interessi in gioco. Nel sesto capitolo si esplorano gli effetti dell’isolamento penitenziario e le ragioni per cui può essere dannoso per l’essere umano. Si auspica un suo ripensamento, al fine di minimizzarne l’utilizzo e di applicarlo in modo che non sia mai violativo della dignità della persona. Nel settimo capitolo si presentano i risultati di una ricerca empirica sullo stato dei diritti durante la fase della custodia pre-cautelare, cioè dal momento dall’arresto a quello dell’udienza di convalida. Fase in cui sono numerosi gli ostacoli che impediscono a chi è arrestato di beneficiare pienamente di diritti quali l’assistenza legale, la traduzione o l’informazione. Il che da un lato espone le persone arrestate a maggiori rischi di essere vittime di violenza, e dall’altro intralcia l’emersione di questi episodi in sede giudiziaria.

Nell’ottavo e ultimo capitolo sono presentati i risultati di un’altra ricerca, volta a indagare se e come le cosiddette “direttive vittime” dell’Unione Europea-Direttive dell’Unione Europea in materia di tutela delle vittime di reato siano andate a rafforzare le tutele di quei detenuti che restano vittime di violenza all’interno degli istituti penitenziari. Si tratta di garanzie potenzialmente di grande rilievo per le vittime considerate “vulnerabili”, introdotte in modo particolare dalla direttiva più recente, la n. 29 del 2012. Vulnerabilità che tuttavia non vede esplicitamente ricompresi nel testo della legge italiana di recepimento della direttiva le persone private della libertà.

(*) ripreso da Comune-info dove viene presentato così: «È molto probabile che tra i lettori di Comune non ci sia nessuno che, nel sentir di parlare di pratica della tortura in Italia, salti esterrefatto dalla sedia. Molti, tuttavia, soprattutto fra i più giovani, non ricorderanno che – dalla ratifica italiana (1989) della Convenzione votata cinque anni prima dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – ci sono voluti quasi trent’anni perché il Parlamento riuscisse a partorire, esattamente tre anni fa, una legge (pur lacunosa). In questo momento, ci sono otto procedimenti aperti per presunti episodi di tortura che vedono implicati agenti della polizia penitenziaria italiana. Quella legge non si voleva fare perché non si riteneva che in un Paese “civile” ci fosse bisogno di un reato di tortura, perché non si voleva punire chi abusa del potere conferito da una divisa e – forse soprattutto – proprio perché la tortura è un crimine del potere contro la dignità umana, un crimine che degrada le persone a cose da utilizzare per ottenere un fine ritenuto superiore a quella dignità. Lo scrive, in modo semplice quanto chiaro e rigoroso, Patrizio Gonnella nella prefazione all’utilissimo eBook che Antigone ha pubblicato sul suo sito raccogliendo le riflessioni di due giornate di studio realizzate nel novembre scorso. Potete scaricarlo interamente, ne vale davvero la pena e non solo dal punto di vista giuridico ed empirico, che resta però l’asse portante di un’analisi approfondita che si interroga sull’applicazione della legge in vigore e aiuta molto a capire i principali fattori di rischio e gli strumenti di prevenzione più adeguati.

 

Redazione
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