La transizione è un’altra cosa

del coordinamento ravennate «Per il Clima – Fuori dal Fossile»

Questa volta non lo dice un collettivo ambientalista, e neppure un gruppo di scienziati che qualcuno avrebbe ancora il coraggio di descrivere come “di parte”. Lo dice quell’istituzione che dovrebbe essere la più riconosciuta a livello internazionale, e che poi rimane quasi sempre inascoltata: l’ ONU.

A pochi giorni dal G20, e dalla COP 26 di Glasgow, si evidenzia come Greta avesse ragione quando accusava (alla PreCop26 di Milano) il bla bla bla dei governi sul clima.

L’Unep – il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente – ha prodotto in questi giorni un documento che sintetizza l’inazione sul fronte della tanto declamata de-carbonizzazione. Si tratta del «Production Gap Report» ed è realizzato in collaborazione con una quarantina di ricercatori del massimo livello scientifico. Vi si legge che la produzione globale di carbone, petrolio e gas deve iniziare a diminuire immediatamente e bruscamente per essere coerente con la limitazione del riscaldamento a lungo termine a 1,5°C. Ma a tutt’oggi i governi continuano a pianificare e sostenere livelli di produzione di combustibili terribilmente elevati e addirittura previsti in aumento nei prossimi anni. Cioè, mentre si parla di transizione, e con la “scusa” che il cambiamento ha bisogno di tempi e di gradualità, si va nel senso esattamente opposto a quello che bisognerebbe percorrere.

Quindici grandi Paesi produttori (Australia, Brasile, Canada, Cina, Germania, Kazakhstan, India, Indonesia, Messico, Norvegia, Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti) continuano a fornire un significativo sostegno politico alla produzione di combustibili fossili. E questa sta diventando un’altra scusa, per i Paesi più “piccoli”, per non fare nulla e anzi teorizzare che se le maggiori potenze energetiche non decidono l’inversione di tendenza, anche “noi” abbiamo il diritto di continuare a riprodurre il vecchio modello, anzi rafforzarlo ed espanderlo.

Il rapporto delle Nazioni Unite evidenzia come i governi stiano pianificando di produrre entro nel 2030 il 110% in più di combustibili fossili rispetto a quanto sarebbe coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C e il 45% in più di quanto sarebbe compatibile con una limitazione del riscaldamento a 2°C, quota già da molti considerata eccessiva se non si vuole superare il punto di non ritorno. Il divario di produzione è estremamente ampio per il carbone (i piani di produzione dei governi porterebbero alla spaventosa quota del 240% in più) ma anche il petrolio aumenterebbe del 57% e il gas del 71%. In pratica quel 2030 – anno fondamentale indicato in maniera condivisa come tappa di riferimento nella sostanziale riduzione – vedrebbe le emissioni addirittura aumentare consistentemente. Anzi, per quanto riguarda il gas, i governi stanno complessivamente pianificando di aumentarne la produzione fino addirittura al 2040.

Sono discorsi che sentiamo anche in Italia e nei nostri territori. Il metano sarebbe, secondo molta parte del mondo politico ed economico, lo strumento della transizione: discorso che poteva essere valido quarant’anni orsono ma che oggi – soprattutto alla luce delle acquisizioni scientifiche più accreditate sulla sua azione climalterante (decine di volte superiore a quella della stessa anidride carbonica) – dovrebbe mutarsi in una chiara e irreversibile scelta in favore delle energie rinnovabili, della produzione diffusa, del risparmio energetico. Scelta che, naturalmente, dovrebbe innanzi tutto concretizzarsi nel contrasto a qualsiasi ampliamento delle attività estrattive e a qualsiasi investimento ulteriore nelle diverse strutture destinate a incrementare la “politica del gas”.

Fra pochissimi giorni si inaugura a Ravenna l’ impianto di GNL (gas naturale liquefatto) e dobbiamo prendere atto con amarezza che tutte le valutazioni, fornite dal mondo ambientalista e dal grosso della comunità scientifica, sono state ignorate. Pretendiamo almeno che si eviti di presentare questo impianto come uno strumento della transizione, e – al contrario – si parli onestamente di esso come elemento del modello da superare.

Siamo perfettamente consapevoli che le grandi scelte non si prenderanno a livello locale, ma altrettanto convinti che prese di posizione chiare e inequivocabili da parte di istituzioni, forze politiche, imprese e società civile, possano avere una significativa influenza.

Inger Andersen – direttore esecutivo di Unep – sottolinea che il Production Gap Report «mette in luce il percorso che i governi devono prendere per allineare la loro fornitura di combustibili fossili con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi». La decarbonizzazione, e con essa l’avvio della giusta transizione, deve essere una cosa seria.

LE IMMAGINI – scelte dalla “bottega” – SONO DI GIULIANO SPAGNUL

 

Redazione
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