La UE sanzioni le decisioni illegittime della Turchia

Intervento di Simonetta Crisci per conto del Giuristi Democratici e del Legal Team Italia, presentato nel corso della seduta del Parlamento EU (Commissione Rapporto Annuale Stato delle Relazioni EU/Turchia-Curdi) a Bruxelles il 5-6 febbraio 2020

Le Associazioni italiane dei Giuristi Democratici e Legal Team Italia salutano con amicizia tutte e tutti i presenti a questo 16° incontro della Commissione che, come ogni anno, dal 2004,ha convocato questo incontro per riferire sul suo importante lavoro di monitoraggio sui rapporti tra governo turco e popolo curdo, con particolare attenzione ai progressi di democrazia in Turchia, per raggiungere una compatibilità con i parametri europei e permetterne l’entrata nella UE.

Il 2019 è stato un anno in cui, purtroppo, in Turchia il cammino della democrazia non è avanzato, ma ha segnato tappe di peggioramento del rispetto dei diritti civili e umani , che hanno portato ad un aggravamento delle condizioni di vita, sia economiche che politiche dei cittadini turchi e quelli curdi. La crisi economica, derivante, anche, dai numerosi acquisti di armi per supportare la guerra continua contro le popolazioni curde e quelle esistenti nei territori della Siria del Nord (turkmanni, assiri, arabi ecc…) attaccate con bombardamenti e uso di gas (anche chimici), con l’invasione di Afrin del 2018 e quella iniziata il 9 ottobre 2019 nel Nord-est, ancora in atto, nonostante fosse finita l’emergenza “ISIS”, proprio per l’impegno di quelle popolazioni che, insieme all’apporto delle milizie curde (YPG, YPJ) e la coalizione internazionale (di cui, peraltro, la Turchia è parte) avevano espugnato gli insediamenti dei terroristi jihadisti sotto qualunque nome si fossero presentati.

L’intervento deciso dalla Turchia, denominato ironicamente e crudelmente “Sorgente di Pace”, contro l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est (Rojava) e le Forze Democratiche Siriane (SDF) è stato operato in violazione di tutte le norme internazionali di inviolabilità dei confini e di sovranità degli Stati; ha prodotto la continuazione di una guerra che già investiva gli attori nella ricostruzione della Pace e della convivenza tra popoli: l’autonomia del governo del Rojava, nel nord-est della Siria aveva già dato segnali di una nascente nuova democrazia nel Paese. L’insediamento di truppe d’attacco turche e i bombardamenti contro obbiettivi civili hanno prodotto centinaia di morti di cittadini non belligeranti, come è avvenuto nel bombardamento del 15 ottobre 2019, sull’autostrada di Ras Al Ain, che ha colpito un convoglio di civili su cui viaggiavano numerosi giornalisti, uccidendone due.

Per non parlare delle preoccupazioni di rinascita dello Stato Islamico per la perdita di controllo delle prigioni dove sono ristretti i prigionieri, in misura di circa 25.000, tra cui donne, bambini e adolescenti, che ancora sono radicati nel pensiero islamico “Daesh”.

La crisi politica, sul fronte interno, nei rapporti con la popolazione turca e curda di opposizione al governo, ha visto l’arresto in massa degli oppositori alla politica dittatoriale dell’AKP e dei suoi alleati, e l’offensiva contro i curdi e le amministrazioni regolarmente elette nelle città e nelle provincie dei territori del Kurdistan, con il commissariamento dei Comuni, l’arresto dei Sindaci (Salahettin Demirtas, presidente del partito filo curdo dell’HDP e sindaco della città di Diyarbakir, in carcere da anni, insieme alla co-sindaca…) e dei maggiori rappresentanti dei territori, sostituiti con l’insediamento di prefetti governativi.

Sul fronte dei diritti, l’arresto di migliaia di oppositori politici, dai magistrati agli avvocati difensori dei diritti umani, dai giornalisti, con chiusura delle testate in disaccordo con il Governo, agli studenti, agli artisti, accusati a vario titolo di sostenere formazioni terroristiche (come il Partito dei Lavoratori Curdo, PKK) senza considerazione alcuna del rispetto dei diritti umani, riempiendo le carceri della Turchia con oltre 50.000 detenuti, per lo più politici – dopo averle svuotate con un’amnistia del 2018 – con condizioni di detenzione pessime, che hanno prodotto solitudine, disagi e sofferenze, denunciate con lo sciopero della fame dell’anno scorso, supportato da centinaia di detenuti su indicazioni della rappresentante dell’HDP incarcerata, Leyla Guven. E’ di pochi giorni fa, la morte della detenuta Nurcan Bakir, 47 anni, suicida nel carcere di Burhainy a Balikesir dove era stata deportata dal carcere di Gebze dopo lo sciopero della fame; detenuta da 28 anni, dall’età di 19 anni.

Le nostre Associazioni, da anni, seguono le sorti giudiziarie degli avvocati che in Turchia lottano per l’affermazione dei diritti umani e civili delle popolazioni presenti in Turchia: presenziamo numerosi ai processi intentati nei loro confronti, nei Tribunali di Istanbul, di Izmir, di Diyarbakir e di altre località del Paese: partecipiamo con la nostra presenza ed entriamo, quando possibile, anche nei luoghi di detenzione, portando solidarietà e conforto alle famiglie e partecipando ai convegni che i Consigli degli Ordini degli avvocati organizzano in Turchia, al fine di attirare l’attenzione degli organismi internazionali sugli eventi che limitano i diritti di partecipazione dei cittadini turchi e curdi alla vita politica della Turchia e sulle pratiche che possano espandere i diritti che potrebbero portare il Paese all’inserimento nella Comunità Europea.

Il lavoro degli avvocati e giuristi italiani ha coinvolto, in questi anni, numerose Associazioni della nostra categoria, quali le Camere penali e i Consigli dell’Ordine Forense, che hanno organizzato numerosi incontri di giuristi sul problema della Giustizia in Turchia; abbiamo organizzato incontri di solidarietà con gli avvocati arrestati, Curdi e Turchi, inviando numerosi membri delle nostre associazioni e di altre, ai processi, subendo anche espulsioni di nostri membri dal territorio turco, molte impugnate, ma senza esito, presso i Tribunali turchi, e in procinto di essere vagliate dalla Corte di Strasburgo, che già, in varie occasioni, ha inflitto condanne alla Turchia per l’esercizio improprio delle detenzioni e dei processi (ha deciso sulla scarcerazione di Salahettin Demirtas, considerando illegittima la sua detenzione, riarrestato, immediatamente dopo, da altro Tribunale turco).

Per questi motivi, ed altri qui non illustrati, non è ragionevolmente prevedibile un percorso di adattamento della Turchia ai criteri europei di democrazia. Se l’Unione Europea non sanziona le condotte di cui sopra non si potrà risolvere la questione kurda.

L’Unione europea ha continuato a vendere armi alla Turchia, a condurre una politica di emergenza sul problema senza porre le basi per la sua risoluzione, l’intervento sulla mancanza di democrazia è stato solo formale, teso a non scontentare la Turchia, così come la mancanza di sanzioni concrete, anche commerciali, non predisponendo un progetto per il riconoscimento dei diritti del popolo curdo, che pure sono semplici: l’autogoverno della loro regione, con l’applicazione dei criteri democratici già sperimentati in Rojava, l’uso delle loro risorse e il poter parlare e studiare nella loro lingua madre. Così come previsto come diritto in tutti i Paesi dell’Unione Europea.

La UE dovrebbe sanzionare con determinazione i comportamenti e le decisioni illegittime del governo turco; dovrebbe utilizzare strumenti diplomatici ed economici di cui ha la disponibilità e la cui efficacia induca il governo turco al ritiro del programma di gestione dittatoriale dei cittadini del proprio Paese e di quelli che vivono nei territori esteri vicini e sovrani, oggi invasi in violazione di tutte le norme internazionali di rispetto delle autonomie degli Stati stabilite dall’ONU e dalle altre Istituzioni che regolano la convivenza fra Stati per il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie.

Auguriamo un lavoro proficuo alla Commissione e confermiamo la nostra solidarietà ai popoli turco e curdo per una rinascita democratica delle proprie istituzioni che li accompagni in una futura alleanza, concreta e reale, con la UE.

LE IMMAGINI – scelte dalla “bottega” – sono di Zehra Dogan, artista e giornalista curda che, per un disegno e una lettera, ha passato 2 anni e 9 mesi nelle prigioni turche. Fanno parte della bellissima mostra “Avremo anche giorni migliori. Opere dalle carceri turche” visibile al museo di Santa Giulia a Brescia fino al 1 marzo. Il catalogo, curato da Elettra Stamboulis, è stato pubblicato da Skira.

 

Redazione
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