La verità su quello che indossi

Fino al 30 giugno a Milano una installazione di MANI TESE

Arriva a Milano “THE FASHION EXPERIENCE – La verità su quello che indossi”, l’installazione multimediale a ingresso libero promossa da Mani Tese, che racconterà ai visitatori, attraverso un percorso ad alto impatto emotivo, le conseguenze sociali e ambientali legate alla filiera produttiva dell’abbigliamento.

L’installazione, aperta a tutti, sarà visitabile dalle ore 10 alle 22 a Milano – in piazza XXIV Maggio – dal 21 al 30 giugno 2019.

I volontari e le volontarie di Mani Tese accompagneranno il pubblico all’interno di una struttura che si snoderà in tre differenti ambienti alla scoperta del mondo nascosto che spesso si cela dietro a un nostro paio di jeans o a una nostra maglietta.

L’inaugurazione è prevista il 21 giugno alle ore 11 alla presenza di Cristina Tajani, Ass. Politiche del lavoro, Attività produttive, Commercio e Risorse umane del Comune di Milano, partner dell’evento.

Le conseguenze della Fast Fashion

L’industria dell’abbigliamento ha avuto una crescita vertiginosa a livello mondiale negli ultimi 15 anni. La produzione di capi di abbigliamento è quasi raddoppiata, mentre la durata media del ciclo di vita dei prodotti ha conosciuto un declino inversamente proporzionale. Si stima infatti che l’utilizzo medio di vestiti e accessori sia diminuito del 36% nel periodo 2000 – 2015, con i capi più economici che vengono indossati solo 7 o 8 volte prima di essere scartati. Fra le cause di tutto ciò, vi è sicuramente l’esplosione del fenomeno della fast fashion, caratterizzato da un’offerta ogni anno sempre più frequente di nuove collezioni di vestiti e accessori a prezzi ridotti.

All’aumentare del volume di produzione e di consumo sono aumentati anche gli enormi impatti di cui questa filiera è responsabile – dichiara Giosuè De Salvo, Responsabile Advocacy, Campagne ed Educazione di Mani Tesetanto dal punto di vista ambientale che da quello sociale. L’installazione “THE FASHION EXPERIENCE” punta a diffondere la consapevolezza e sensibilizzare rispetto al rovescio della medaglia del modello della fast fashion”.

L’impatto ambientale e sociale

Durante l’installazione sarà possibile sperimentare la pressione che l’industria del tessile esercita sull’ambiente. THE FASHION EXPERIENCE rivela che, in media, per produrre un singolo paio di jeans – capo scelto per la sua ampia diffusione nella popolazione di ogni età e provenienza –  è necessario impiegare 3.800 litri d’acqua, 12 m2 di terreno e 18,3 kWh di energia elettrica, a fronte di un’emissione di 33,4 kg di CO2 equivalente durante l’intero ciclo di vita del prodotto. Tali impatti assumono una dimensione impressionante se rapportati su scala globale: ogni anno, infatti, in tutto il mondo vengono prodotti 3 miliardi e mezzo di jeans, vale a dire 6.650 al minuto, 3.325 ogni 30 secondi, per soddisfare una domanda d’acquisto di 2 miliardi di capi all’anno.

Sul versante degli impatti sociali, si stima che la filiera rappresenti la seconda industria maggiormente esposta al rischio di forme di schiavitù moderna, in particolare di donne e minori. Si stima che in tutto il mondo siano 152 milioni i bambini costretti a lavorare, 73 milioni di questi alle prese con lavori pericolosi. Nell’industria dell’abbigliamento i casi di sfruttamento riguardano tutta la filiera, dalla raccolta nei campi di cotone fino al confezionamento nei laboratori artigianali e nelle grandi fabbriche. I bambini possono lavorare fino a 12 ore al giorno, nella speranza di guadagnare, una volta che saranno adulti, uno stipendio medio che non supera i 200 dollari al mese.

La consapevolezza dei consumatori

“Nell’ultimo decennio la consapevolezza di questa insostenibilità ha portato allo sviluppo di alcune innovazioni sui processi produttivi – continua De Salvoin un’ottica prevalentemente di circolarità, di risparmio delle risorse e di estensione del ciclo di vita del prodotto. Occorre però incidere in maniera più rapida e significativa sulle basi stesse del modello di business, in particolare su consumo e produzione eccessivi attraverso un cambiamento sistemico.” 

L’installazione THE FASHION EXPERIENCE intende contribuire ad apportare questo cambiamento attivando in primis i consumatori sensibilizzando sui rischi del business as usual e promuovendo modelli positivi d’impresa. Anche gli operatori del settore abbigliamento, calzature ed accessori avranno l’opportunità di scoprire le esperienze più innovative e sentirsi motivati ad agire loro stessi il cambiamento necessario a coniugare la reddittività con il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente.

THE FASHION EXPERIENCE è un’iniziativa co-organizzata con il Comune di Milano e rientra nell’ambito del progetto “New Business 4 Good. Educare, informare e collaborare per un nuovo modo di fare impresa” promosso da Mani Tese in collaborazione con altri partner e cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Per informazioni: www.manitese.it/fashionexperience.

Redazione
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2 commenti

  • Daniele Barbieri

    DA LEGGERE ANCHE QUESTO: https://comune-info.net/la-moda-rumena
    Nel nuovop rapporto della campagna “ABITI PULITI” si racconta che nel settore dell’abbigliamento in Romania chi lavora prende solo il 14 per cento di un salario che potrebbe essere definito almeno “dignitoso”. Le principali destinazioni di esportazione dell’abbigliamento “Made in Romania” sono l’Italia, il Regno Unito, la Spagna, la Francia, la Germania e il Belgio. I marchi rilevati durante le indagini spaziano da discount e aziende di fast fashion a marchi del lusso di alta gamma, tra cui Armani, Aldi, Asos, Benetton, C&A, Dolce & Gabbana, Esprit, H&M, Hugo Boss, Louis Vuitton, Levi Strauss, Next, Marks & Spencer, Primark e Zara (Inditex)…

  • Problema enorme di difficile se non impossibile soluzione. Molto difficile indurre i consumatori a non usare indumenti prodotti in Cina, India , Romania, ecc. a costi bassissimi e sulla pelle di milioni di bambini e donne. Basta guardare un corteo di giovani che manifestano nelle piazze per qualche buona ragione e si vede che tutti indossano jeans o altri indumenti fabbbricati a prezzo di enorme ingiustisia sociale. Come convincere i nostri giovani a rinunciare a quei indumenti? E quale alternativa esiste?

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