La vita di una strega raccontata da Raffaele Taddeo
Christiana de Caldas Brito intervista l’autore
Raffaele Taddeo è autore di numerosi saggi sulla letteratura della migrazione in Italia e un intenditore di poetiche di altri mondi. Per me Raffaele è soprattutto un costruttore di pace e un difensore dei diseredati.
Ho appena finito di leggere La strega di Lezzeno, che segnala l’entrata di Taddeo nel campo della narrativa. In modo raffinato, Taddeo crea Maria Cristina, figura femminile che vive nel Cinquecento, a Lezzeno, sul lago di Como.
Maria Cristina conduce una vita normale, ma per una serie di motivi evidenziati con lucidità dall’autore, viene accusata di stregoneria e condannata a morte dall’Inquisizione. Nel romanzo, un moderno studioso va in vacanza a Lezzeno e, per caso, in una cantina abbandonata, trova il vecchio manoscritto di Maria Cristina. È attraverso l’autobiografia che la strega racconta la sua storia che è lontana da noi nel tempo ma vicina più di quanto si possa pensare perché parla di oscurantismo, persecuzioni, fanatismo religioso.
A Raffaele ho chiesto di approfondire con me alcune tematiche presenti nel suo romanzo. Senza accorgermene, avevo preparato un’intervista che ora vi propongo sotto forma di domande e risposte.
La strega di Lezzeno si presenta con tutte le caratteristiche di un romanzo storico. Vorrei che tu raccontassi di quale periodo si tratta e perché l’hai scelto.
«Il mio amico Remo Cacciatori dice che è un romanzo storico “a bassa densità”, perché i personaggi non sono storici, salvo il Medeghino. Tuttavia è un romanzo che vuol essere verosimile. Il periodo in cui si collocano le vicende raccontate è quello del 1500. Siamo al 1530, quando i processi alle streghe erano appena iniziati e continuarono per tutto il 1500. La caccia alle streghe non fu solo un fatto legato al cattolicesimo ma a tutta la cristianità. Questo aspetto mi ha fatto sempre pensare che la caccia alle streghe fosse in realtà una persecuzione contro la femminilità che in quel tempo aveva mostrato qualche elemento di emersione. Si assistette quasi a una campagna politico-sociale che tendeva a incutere terrore al genere femminile, perché rimanesse sottomessa al potere maschile. Poi quel periodo è stato molto turbolento. Da una parte abbiamo la Chiesa che nelle sue autorità ne combina di cotte e di crude: si pensi al papa Alessandro VI oppure a Giulio II. Dall’altra abbiamo Lutero che tenta di liberare i cristiani dalla cappa del potere della Chiesa specialmente dall’arroganza del clero di poter essere l’unico interprete delle sacre scritture. Contemporaneamente abbiamo figure di umanisti che colpiscono per il loro pensiero lucido e moderato come quello di Erasmo da Rotterdam. Il 1500 è un periodo di grandi splendori culturali e artistici, ma anche un secolo in cui si consuma una lotta feroce per la libertà religiosa che poi vuol dire per la libertà personale. Se l’Occidente vanta il valore della libertà, di stampa, del singolo, questo lo si deve alle lotte di quel tempo. La scelta di questo periodo è dato sia da elementi storici che mi hanno sempre attratto sia dal fatto di aver sentito che alcuni paesi del lago di Como sono famosi perché furono infestati da streghe. Alcuni aspetti del romanzo sono poi stati determinati dall’attività di volontariato che faccio e dalla convinzione che la civiltà occidentale si misura dalla capacità di accoglienza che ha. La mancanza di accoglienza rende un Paese non solo incivile ma barbaro. L’altro giorno pensavo che dire che non si è razzisti e poi affermare che si deve pensare prima agli italiani è quanto di più razzistico e contradittorio ci possa essere».
Vorrei sapere se effettivamente intorno all’anno 1530 è esistita a Lezzeno, sul lago di Como, una strega di nome Maria Cristina.
«No, il nome Maria Cristina e l’esistenza di una strega sono invenzione, come invenzione è la scoperta di un manoscritto»
Mentre scrivevi, l’essere vicino alla tua protagonista che vive un momento così doloroso, ingiusto e umiliante ti ha provocato emozioni?
«La creazione del personaggio strega ha comportato più che emozioni: la ricerca di una coerenza storica e di una verosimiglianza maggiore possibile. Io non avevo scoperto un personaggio storico. Ho inventato un personaggio verosimile ma proprio perché verosimile non mi ha portato a commuovermi. La fatica maggiore è stata mettere nella sua bocca, parole, espressioni, che non fossero del tutto anacronistiche rispetto all’essere una contadina di quei tempi. Se commozione ho avuto è quando ho dovuto inventare la difficoltà di vita di Maria Cristina con il secondo marito Ignazio. E’ lontano dal mio carattere rendere infelice una persona o maltrattarla o usarle violenza. Non sono un santo, ma mi ripugna il fatto che si possa usare una donna per le proprie ubbie».
Flaubert, parlando del suo più famoso personaggio, ha detto: “Madame Bovary c’est moi!” Tu diresti “Maria Cristina sono io!”?
«Non lo direi. Se ho voluto creare un personaggio che in qualche modo mi assomigliasse, questo è l’avvocato, messer Luca. Con lui ho rifatto ragionamenti sulla inesistenza delle streghe, sulla libertà di interpretazione delle sacre scritture e sulla possibile non esistenza di Dio. Nel romanzo non si arriva mai a negare Dio, fatto che in qualche modo rispecchia la mia convinzione da molto tempo: cioè io voglio essere un ateo nel senso etimologico della parola (a-teos, cioè senza Dio) non perché si è certi che Dio non esista ma perché compito dell’uomo è agire “etsi Deus non daretur” ovvero come se Dio non esistesse. La salvezza dell’umanità sta proprio in questo: nella consapevolezza che solo essendo a-tei, è possibile far progredire l’uomo nella sua umanità. Ogni credenza religiosa, ogni teismo ha prodotto guerra, odio, inciviltà. Con messer Luca ho rifatto i ragionamenti che dovevano salvare me e liberarmi ancor più da una dipendenza religiosa. Ma c’è un altro elemento per cui mi era impossibile immedesimarmi in Maria Cristina. Lei salva messer Luca, come tutte le principali figure femminili del romanzo salvano, restituiscono dignità (se non vita) all’uomo. Io non mi sento di salvare, mi sento salvato; e dal femminile».
Qual è stato il momento più difficile da narrare?
«Forse a questa domanda ho risposto prima. Direi che le qualità di Maria Cristina bambina e poi giovanetta mi hanno sempre posto dubbi perché rischiavano di essere poco verosimili. La sua scrittura è stata la più difficile perché ogni riga era su un crinale che poteva portare a squalificare l’invenzione stessa. L’altro aspetto che mi ha fatto penare è far sì che i sogni avessero la parvenza della verosimiglianza onirica; non semplice perché poi la dimensione allegorica spesso è determinata proprio dai sogni nei quali si dice quello che i personaggi non possono dire per non farli diventare non personaggi».
Come tanti romanzi popolari italiani, «La strega di Lezzeno» è ambientata sulle rive di un lago. Come ci sono storie di mare, di pianura e di montagna, si può parlare di “romanzi di lago”?. Il clima lacustre può influire su una narrazione?
«Ogni ambiente influenza il comportamento delle persone, il loro rapportarsi agli altri. Io penso che questo accada anche a uno scrittore nel momento in cui colloca una sua storia, pur se inventata, in un ambiente. La sua immaginazione, la creazione dei personaggi tiene sempre presente il luogo in cui avvengono le azioni dei personaggi. Penso che gli stessi temperamenti dei personaggi assumono la caratteristica dell’ambiente. Un esempio. Andrea Vitali. Penso che se dovesse scrivere qualche storia la cui location fosse diversa da quella del lago di Como anche la sua scrittura diverrebbe altra. Ricordo che Vitali, oltre ai noti romanzi editi da Mondadori e ora Garzanti, ha anche scritto racconti per la collana “I Vitali” edita da Cinquesensi e qui la tonalità è quasi del tutto diversa dai suoi libri più noti».
Dimmi una ragione per la quale i giovani dovrebbero leggere «La strega di Lezzeno».
«Penso che il romanzo abbia un senso in relazione alla ricerca della libertà, alla dimensione del mantenimento della propria dignità in qualunque occasione e circostanza, alla capacità di saper amare anche a costo della propria vita. Oggi l’amore sta assumendo il ritmo della temporalità e della strumentazione materiale per cui una persona la si “usa e getta” a seconda dei nostri alterni sentimenti; ma questo non è l’amore, che invece comporta anche sofferenza e continua mediazione fra le esigenze dell’altro e le proprie. Anzi un amore autentico necessita della cosiddetta “metanoia”, cioè il mutamento anche delle proprie direzioni di vita, caso mai sognate quando non era presente nella nostra vita alcuna altra persona, ma poi ridirezionate e reimpostate anche a 180 gradi quando si incontra un’altra persona che si dice di amare e ci prende con l’amore. Non ultimo il romanzo fa presente che gli elementi xenofobi e razzistici sono nascosti dentro di noi e bisogna fare un grande lavoro di pulizia all’interno per combatterli perché l’umanità sarà più grande quando riuscirà a sconfiggerle, almeno in parte».
Dunque più di una ragione perché il libro vada letto anche da giovani. Di comune accordo decidiamo di concludere l’intervista rivolgendoci al futuro. Nel ringraziare Raffaele gli chiedo di salutare sua moglie Teresa, persona che molto stimo, ma anche i nipoti: dopo tutto, il libro è stato dedicato a loro. Ecco il futuro che nuovamente sbircia sulla nostra intervista.
Raffaele Taddeo
La strega di Lezzeno
Edizione Ensemble, 2018.
160 pagine, 12 euro
Il libro è acquistabile anche presso Amazon e IBS