La vita è bella fuori dalla psicosi globale
«come se ogni anno, ogni luglio che arriva, sempre di più…».
di Gianluca Ricciato
Una cosa che ho imparato per sempre il 20 luglio del 2001 è che il nuovo modo di stare all’interno dei problemi della mia epoca mi chiedeva di non chiudermi più in ghetti, in recinti, in cosche, in sette, in partiti, in chiese laiche, in monadi autoreferenziali.
Ce lo dicevano tutte le persone belle, anche quelle che venivano dalle chiese come Don Gallo l’eretico o quelle che erano morte pochi anni prima come Alex Langer. Ce lo dicevano Emiliano Zapata e Vandana Shiva.
Quanto più anarchiche, libertarie, anticapitaliste e indigeribili alla massa sarebbero state le nostre idee e le nostre pratiche, quanto più lontane dalla narrazione psicotica mediatica quotidiana che avrebbe lavato la narrazione mediatica del giorno prima in un asfissiante presente continuo eterno, in un finto qui e ora decontestualizzato dalla realtà, tanto più avremmo dovuto resistere all’istinto di ritirarci sull’Aventino del ghetto estremista fuori dalla realtà.
Era questa la portata realmente e felicemente eversiva del movimento dei movimenti.
Ma con un’altra necessaria postilla: non era la lotta armata la soluzione. Non per motivi ideologici: la lotta armata ce l’avrebbero fatta e ce l’hanno fatta, da Seattle in poi, quindi comunque occorreva difendersi come hanno fatto quelli che sono stati bloccati in via Tolemaide e come ha fatto Carlo. Ma tanto comunque le forze in gioco erano e sono incredibilmente impari.
La portata eversiva era che non era più come avevano detto fino a quel momento molti marxisti: o voti e cambi dall’interno, o prendi le armi. Questa vulgata binaria perdente, già messa in discussione da altre filosofie antagoniste al sistema come la nonviolenza e il femminismo anni ’60-‘70, era finita. Perché con la globalizzazione capitalista era finita la democrazia, ed era rimasto il suo simulacro. Labour e Tories, Dem e Rep dei vari paesi occidentali avevano già venduto ai privati la sanità, i mezzi pubblici, l’acqua e l’aria che respiravamo. Quindi votare era una fiction, il bipolarismo che avevano inventato era una partita a calcio dove vincevano solo loro e i loro padroni, gli amministratori delegati delle major che incontravano negli incontri globali pubblici o clandestini (G8, WTO, crociere extralusso nel Mediterraneo, etc).
Tutta la loro narrazione esistenziale era ed è una fiction che ipnotizza le masse: occorreva creare mondi possibili, e quello abbiamo cercato di fare da allora resistendo all’ipnosi, in modo ogni giorno più faticoso. Inventare altri modi di respirare, di bere, di mangiare, di sentire, di amare, di lavorare, di produrre, di consumare, di abitare, di relazionarsi, di pensare, di vivere.
E contattare, contagiare, contaminare l’umanità senza fare propaganda e proselitismo, cioè senza i metodi della politica novecentesca. Cambiare radicalmente le esistenze, trovare o andarsi a prendere gli spazi per farlo, in città o in campagna, nel cemento o nella selvaggeria, reali e virtuali.
Anche nel cemento sì, fin quando necessario, ma con la consapevolezza che quella grande sbornia della vita urbana è anch’essa ormai sul viale del tramonto, travolta dall’orrore scintillante degli oggetti e dei vestiti venduti dalle multinazionali agli schiavi sottoproletari dei ghetti urbani in decomposizione.
Anche nel web certo, con il mediattivismo e la guerriglia mediatica, perché è necessario liberare spazi anche qui, ma con la consapevolezza che occorrerà riprendersi la realtà dallo sdoppiamento e dal bipolarismo antropologico a cui ci ha costretti la “religione della tecnoscienza”.
È accaduto invece, e questa è la cosa peggiore, che le monadi autoreferenziali si sono moltiplicate.
In questi vent’anni, ma soprattutto negli ultimi dieci, sono aumentati i gruppuscoli che parlano tra di loro, con una lingua loro, con priorità loro, che non contano e non cambiano nulla, oppure iniziano a contare e avere visibilità quando al capitale conviene, cioè quando vengono presi e strumentalizzati per la narrazione psicotica quotidiana che mette le persone contro le persone.
Si era detto, ce l’avevano detto tutte le persone belle di cui sopra, di non colpevolizzare la gente, di non creare catastrofismo, di non diventare i militonti virtuali del terzo millennio, di non imporre idee e modi di parlare alla gente con l’autoritarismo. I risultati mi sembra siano alla portata di chiunque li voglia vedere: la narrazione globale diventa sempre più violenta, ma il tecnonazismo del terzo millennio ti può chiudere in casa per mesi, impoverirti all’estremo e farti mangiare la sua merda globale mentre sventola l’arcobaleno, si finge ecofriendly e gayfriendly, si finge addirittura antisistema e antiautoritario. Può farti credere che ama la natura mentre ti disbosca interi territori per vendere milioni di pannelli fotovoltaici inutili. Ti può far credere di amare la tua salute mentre ti intossica di prodotti farmaceutici imposti su scala globale.
Ma è solo l’ennesimo distacco delle parole dalle cose della civiltà occidentale: non è una novità. E fior di compagni, artisti, intellettuali e “migliori menti” ci cascano, o fingono di cascarci per non perdere il dividendo capitalista che il sistema ha destinato loro, le briciole economiche, le briciole di una sicurezza sempre minore ma a cui devono restare aggrappati pena gli attacchi di panico. Perché tengono famiglia, oppure non la tengono più ma continuano ad avere paura. E i gruppuscoli autoreferenziali e inutili con la bandiera arcobaleno e gli ennesimi inutili slogan scontati sul multiculturalismo sono gli psicofarmaci migliori. Che poi alla fine alle elezioni verranno risucchiati nella necessaria alleanza bipolare, votando e sostenendo i nostri aguzzini. Quelli però con la faccia amica.
La portata dell’altro mondo possibile è anche questa, non solo l’uscita dal neoliberismo o dal capitalismo, ma la metamorfosi radicale di un modo di stare al mondo oppressivo per sé stessi e opprimente per il mondo.
Ed è per questo che non sarà facile, ma ci stiamo già dentro anche se gli ologrammi della vecchia vita che si finge ancora orientata al progresso tecnologico e al rinnovamento economico si riproducono nella vita virtuale ogni giorno.
Ma è come se ogni anno, ogni luglio che arriva, sempre di più, invece di allontanare la memoria di quei giorni tremendi e fondamentali, non faccia che avvicinare l’ovvia verità di un cambio di rotta necessario. Anche rispetto alle vite di merda che questo sistema ci sta imponendo.
Perché sì, la vita è bella fuori dalla psicosi globale.
Molto, molto interessante. Grazie all’autore perchè induce a riflettere al di là degli schemi che tutti abbiamo. E riflettere è anche doloroso. E si ha paura di non poter tornare indietro, alla purezza, e neanche di poter andare avanti, alla speranza.
Grazie delle belle parole Bianca.
Gianluca