La voce del Guatemala che lotta

Intervista a Sonia Gutiérrez Raguay

di Alessio Arena (*)

La voce del Guatemala che lotta: intervista a Sonia Gutiérrez Raguay

Che la regione centroamericana sia una delle più piagate al mondo dall’ingiustizia, dalla miseria, dallo sfruttamento e dalla negazione sistematica della dignità e dei diritti degli esseri umani e dei popoli, è cosa nota. Il Guatemala ne è un esempio. Teatro negli anni ’50 di uno dei primi esperimenti progressisti latinoamericani, ben presto represso con un cruento colpo di Stato organizzato e ispirato dagli Stati Uniti, il paese è stato retto per decenni da feroci giunte militari. La ferita dello spaventoso genocidio da queste perpetrato ai danni della popolazione, e in particolare dei popoli indigeni, resta indelebile e non rimarginata nella coscienza collettiva. Il ritorno alla democrazia formale non ha né messo fine alla violenza, né migliorato le condizioni materiali di vita della popolazione. Il nome della Premio Nobel per la Pace guatemalteca Rigoberta Menchú è diventato in tutto il mondo simbolo delle lotte dei popoli indigeni per la giustizia sociale, la dignità e il riconoscimento.

Il conflitto sociale nel Guatemala di oggi, pur nella difficoltà che incontra ad esprimersi e a dispetto della repressione di stato e dei numerosi omicidi di dirigenti delle organizzazioni popolari, assume una grande complessità di sfaccettature e investe tutte le aree geografiche e i contesti. La stessa Rigoberta Menchú è stata tra i fondatori del Movimento politico Winaq, il cui nome fa riferimento al concetto di essere umano integrale nelle lingue indigene. Questa forza politica lotta per la creazione di una società democratica e socialista, umana e con giustizia e opportunità per tutte e tutti.

Nell’ambito dell’avvio delle relazioni bilaterali tra Fronte Popolare e il Movimento Winaq, di cui siamo onorati, abbiamo intervistato la compagna Sonia Gutiérrez Raguay, segretaria generale del Movimento e deputata al Congresso della Repubblica del Guatemala. Un confronto intenso e di grande valore tra due esperienze distanti geograficamente e nate in contesti assai differenti, ma animate dalle medesime aspirazioni e dallo stesso, acuto senso dell’imprescindibilità della costruzione di un nuovo internazionalismo per la conquista di un mondo nuovo.

[D] Sin dalla deposizione del Presidente Jacobo Árbenz, il Guatemala è stato tra i paesi più duramente colpiti dalle politiche imperialiste praticate dagli Stati Uniti in America centrale, finalizzate a garantire il massimo sfruttamento delle vostre risorse naturali da parte delle grandi multinazionali. Qual è la situazione sociale del paese oggi, dopo decenni di queste politiche?

[R] Il Guatemala, dal 1954 a oggi, ha attraversato due periodi più o meno distinti. Il primo, fino al 1985, con governi militari, il secondo, che dura tuttora, denominato era democratica, con governi civili.

Nel primo periodo, ogni espressione di malcontento sociale o democratico è stata brutalmente repressa. Negli anni ’80 l’esercito, sotto la protezione dell’oligarchia e degli Stati Uniti, ha brutalmente massacrato la popolazione. Probabilmente è stato commesso il più grande genocidio nella storia non solo di questo Paese, ma di tutta l’America Latina. Ogni espressione di lotta sociale e popolare è stata messa a tacere dalla forza delle armi. Il popolo ha pagato un alto prezzo sociale e umano, con più di 200.000 vittime tra torturati, massacrati e desaparecidos.

Con l’inizio del secondo periodo, si pose fine alle dittature militari e al conflitto armato interno con la firma dell’ Acuerdo de Paz Firme y Duradera (Accordo di pace stabile e duratura) nel 1996. Durante questo periodo, la repressione e le violazioni dei diritti umani fondamentali sono diminuite in modo significativo. Inoltre ciò ha significato l’opportunità di ricostruire la lotta popolare e rendere visibile la continuità delle istanze sociali, politiche e culturali grazie agli effetti della presenza di un attore assai visibile nella resistenza e contro le politiche neoliberiste, che ironicamente hanno cominciato ad accentuarsi in concomitanza con la firma della pace: il movimento indigeno.

Con l’indebolimento dello Stato, prodotto dei processi neoliberisti, nel contesto dell’aumento sostenuto della popolazione, i governi che si sono succeduti hanno aumentato i privilegi per i settori dominanti, diminuendo allo stesso tempo la loro già limitata capacità di rispondere alle crescenti richieste di una società sempre più diversificata e complessa.

Come risultato delle politiche neoliberiste, il Guatemala ha vissuto un rapido processo di smantellamento e indebolimento di molte politiche sociali, con la conseguente, crescente incapacità di affrontare i problemi del paese, soprattutto quelli di natura strutturale. Come risultato di ciò, persistono indici storici di povertà e di povertà estrema, che vanno dal 50 al 60 per cento della popolazione del paese, l’analfabetismo e la malnutrizione cronica rimangono una realtà per il 60 per cento dei bambini, l’insicurezza alimentare e altri problemi derivanti dall’esclusione, dall’emarginazione e dal razzismo sono in aumento.

Anche in ambito sociale ed economico, sebbene il Guatemala abbia mantenuto la stabilità macroeconomica, negli ultimi anni il Paese ha subito un deterioramento molto grave. I tassi di povertà e di povertà estrema sono aumentati e il cosiddetto sviluppo umano non è riuscito ad accrescere i suoi vergognosi indicatori. L’esclusione sociale è continuata e ha espulso centinaia di migliaia di guatemaltechi dal paese, che alla fine, ironia della sorte, hanno così contribuito in modo significativo a mantenere stabili gli indicatori macroeconomici.

Va notato che la situazione sociale, fino a oggi, continua ad essere marcatamente grave nei territori abitati dalle popolazioni indigene. Tuttavia è in questi territori che è emerso un movimento che ha segnato la resistenza alle politiche neoliberiste e che ha portato da un lato all’acquisizione di visibilità da parte di un attore sociale e politico relativamente nuovo, e dall’altro alla repressione dello Stato e dei poteri economici nei confronti di quell’attore.

Insomma, a più di sei decenni dalla controrivoluzione del 1954, la situazione sociale, nonostante la firma dell’accordo di pace, non è cambiata in modo significativo per la maggioranza dei guatemaltechi. Inoltre, le cause che hanno dato origine al conflitto armato interno sono ancora latenti.

[D] All’inizio di quest’anno si è insediato il nuovo governo del presidente Alejandro Giammattei, espressione della destra più ferocemente neoliberista in campo economico e più reazionaria sul terreno democratico e dei diritti civili. Su quali forze sociali si fonda questo governo? Quali sono gli obiettivi che si fissa nella sua azione?

[R] Il Guatemala ha iniziato il 2020 con un nuovo governo. Questo governo è caratterizzato da una posizione profondamente neoliberista con caratteristiche autoritarie, sotto la guida di un esponente politico sopravvissuto a tre fallimenti elettorali e una vittoria che è il risultato di una situazione segnata dal disincanto e dalla mancanza di credibilità dei dirigenti e dei partiti politici.

Il nuovo governo, più che di un risultato legittimo, è una conseguenza del voto antipolitico a cui è stato indotto un elettorato urbano, conservatore ma dominante nella classe media, soprattutto nell’ormai tradizionale secondo turno delle elezioni.

Il partito che ha vinto le elezioni è il prodotto del riciclaggio di politici provenienti da quella che nel nostro Paese viene chiamata la “vecchia politica”: politici che si sono spostati da partiti in via di estinzione o da partiti che sono scomparsi perché considerati apparati di corruzione e di manipolazione, che tuttavia rispondono agli interessi dei settori economici e criminali dominanti.

L’interlocutore evidente del nuovo governo è il padronato. Il gabinetto del governo riflette una stretta relazione con questo settore. I ministeri chiave, come l’economia, gli affari esteri, l’energia e le miniere, la finanza, l’istruzione e le comunicazioni, sono nelle mani non solo di persone vicine al settore imprenditoriale, ma anche di dirigenti emersi in passato da quel settore.

Le politiche governative tendono a rafforzare quel settore, privilegiando gli investimenti economici per il profitto e limitando gli investimenti sociali. C’è un disinteresse per la politica sociale e coloro che la rivendicano vengono costantemente minacciati. Le prime settimane del “nuovo governo” sono state segnate dal ricorso allo stato d’assedio e dal dispiegamento di militari e polizia nelle zone teatro di conflitto.

[D] L’emergenza coronavirus ha colpito anche il Guatemala. Quali misure di contenimento sono state assunte nel vostro paese e quali ne sono stati i risultati?

[R] Il nuovo governo si è trovato prematuramente alle prese con la pandemia da coronavirus. Senza dubbio, come in tutti i paesi della regione, i primi allarmi relativi alla pandemia sono stati lanciati alla fine di gennaio e sono diventati più insistenti a febbraio. In Guatemala, il primo caso d’infezione è stato individuato il 13 marzo. Questo caso ha fatto scattare l’allarme e si è cominciato a parlare più seriamente della questione. I primi provvedimenti sono stati assunti il 15 marzo, con la dichiarazione dello stato di calamità, e sono stati resi più drastici una settimana dopo con la dichiarazione del coprifuoco.

Finora la percezione generale è che le misure di confinamento e di distanziamento sociale siano state prese per tempo. Tuttavia, in considerazione della loro natura drastica, esse appaiono compiacenti, nell’ambito delle attività economiche, perché il governo ha dato priorità alle esigenze delle imprese rispetto alla protezione della popolazione.

In termini di salute, al 21 giugno c’erano più di 13.500 contagiati, 500 morti e migliaia di persone in quarantena. Risulta evidente che siano dati sottostimati. Non ci sono informazioni affidabili per quanto riguarda il numero effettivo di contagiati e le misure di contenimento e mitigazione vengono attuate con negligenza. Il picco dei contagi non è ancora stato raggiunto. Nelle ultime settimane è stato segnalato il maggior numero di infezioni, gli ospedali sono già saturi e il personale medico ha paura perché, nonostante lo stanziamento di risorse finanziarie, non sono ancora state consegnate scorte e attrezzature per la sua protezione. Ci sono comuni e comunità in quarantena, quindi se ne desume che il virus sia già presente in molti territori del paese.

A nostro avviso, a causa della vulnerabilità della popolazione in termini di salute, l’impatto sulla popolazione esclusa, in particolare sulle popolazioni indigene, è un serio rischio, non solo per la mancanza di accesso ai servizi medici, ma anche per l’insicurezza alimentare che sta ora aumentando e si sta diffondendo in altri settori della popolazione.

In questo momento si prevede un’ulteriore diffusione della pandemia e le misure adottate vengono seriamente messe in discussione, poiché è altrettanto chiaro che all’economia sia stata accordata priorità rispetto alla salute. Allo stesso modo, è evidente l’incapacità del governo di adottare misure sistematiche e il carattere improvvisato delle sue iniziative.

[D] Il coronavirus ha dato il via in tutto il mondo a una nuova fase di crisi economica che si preparava da tempo. Quali sono gli effetti già visibili della crisi nel vostro paese? Quali le fasce sociali più colpite?

[R] Dal punto di vista economico, l’impatto maggiore di questa crisi è sui lavoratori sia nel settore legale che soprattutto in quello sommerso. Molte persone stanno perdendo il lavoro a causa del fermo delle aziende che sono state costrette a chiudere, alcune a causa delle misure antipandemiche, altre perché hanno approfittato della situazione per liberarsi degli obblighi datoriali nei confronti dei loro dipendenti.

Malgrado i palliativi, la fame e la disoccupazione incombono. Non solo ci aspettiamo che queste misure palliative risultino insufficienti, ma esse non sono ancora state attuate a causa dell’incapacità, dell’inadeguatezza e delle carenze dei dirigenti pubblici, la maggior parte dei quali si sono appena insediati a causa del cambio di governo, e soprattutto a causa della politica neoliberista. Le politiche neoliberiste hanno ridotto lo Stato al minimo e hanno trascurato e smantellato il sistema sanitario. Per molto tempo siamo andati avanti con sistemi sanitari collassati.

Attraverso la decretazione d’urgenza all’esecutivo sono state fornite, come mai prima d’ora, le risorse di bilancio per affrontare la crisi sanitaria ed economica, anche se ciò significa debito esterno ed interno con le conseguenze a medio e lungo termine che ciò comporta.

Il settore delle imprese sta approfittando della situazione per ottenere benefici politici “rendendo visibile il sostegno economico al governo” e influenzando le misure economiche a suo favore. La macroeconomia non soffrirà acutamente la recessione economica, contrariamente ai gravi effetti avvertiti nella microeconomia. Nel frattempo, la fame è aumentata sia nelle aree urbane che in quelle rurali e ci aspettiamo che aumentino l’insicurezza alimentare e i tassi di malnutrizione.

[D] Come prevedete che evolverà il conflitto sociale in Guatemala nel prossimo futuro? Quali obiettivi di lotta immediata si pone il Movimento Winaq?
[R] Il Guatemala, in virtù dei suoi problemi strutturali irrisolti, vive in un conflitto sociale permanente. La lotta per l’accesso alla terra che deriva da una sua distribuzione abusiva e disuguale è fonte di conflitti permanenti. Continua l’esproprio delle terre delle comunità indigene e contadine con l’obiettivo di creare monocolture e di sfruttare le risorse naturali, l’acqua, i minerali e le foreste. In contrasto con queste politiche, negli ultimi anni si è rafforzato il movimento di resistenza, con la conseguente criminalizzazione dei leader indigeni e sociali che finiscono in prigione e vengono spesso assassinati. I lavoratori organizzati della città stanno vivendo una battuta d’arresto nelle lotte per i loro diritti, motivo per cui in questo momento non si mobilitano facilmente: una situazione esacerbata dalle limitazioni della libertà di movimento che derivano dalle misure stabilite per il contenimento della pandemia.

I diritti umani, individuali e collettivi, nel quadro di queste lotte, alle quali si aggiungono gli effetti della pandemia, sono stati penalizzati. I più toccati sono il diritto alla libera espressione del pensiero, l’accesso all’informazione, i diritti del lavoro, il diritto alla salute e all’alimentazione. I settori della popolazione che più soffrono sono le donne, i bambini e i giovani, gli adulti anziani, le persone con disabilità, i giornalisti, gli operatori sanitari e le popolazioni indigene.

In ambito sociale, si stanno creando maggiori condizioni d’ingovernabilità a causa dell’aggravarsi della crisi socioeconomica e della mancanza di risposta da parte del governo. La popolazione è sempre più disperata, tuttavia non si intravedono ancora le condizioni per movimenti che tendano a mettere seriamente in discussione il sistema, mentre c’è la tendenza e la volontà di stabilire alleanze in ambito politico e sociale sia tra i partiti politici che tra i movimenti sociali per minimizzare gli effetti della crisi, che si sta facendo sempre più grave.

Nell’immediato, il Movimento politico Winaq si è posto l’obiettivo di difendere con vigore i diritti della popolazione più vulnerabile attraverso gli spazi istituzionali di cui dispone, il più importante dei quali è il Parlamento. In virtù del nostro status, seppure come gruppo di minoranza, abbiamo costruito ponti con altri partiti di sinistra e progressisti. Questi partiti sono riusciti ad articolare un’agenda di base con l’obiettivo di proteggere i diritti dei settori maggioritari della popolazione: lavoratori, contadini, donne, disabili e popolazioni indigene.

Nell’immediato, Winaq ritiene che sia fondamentale promuovere, nel momento di riflusso che i movimenti sociali della campagna e della città stanno attraversando, il loro coordinamento non solo per l’azione sociale ma anche per l’azione politica. In funzione di questo obiettivo, Winaq ha incaricato le sue organizzazioni di base e la sua dirigenza di stimolare dialogo e dibattito a diversi livelli. Il punto di partenza è affrontare con forza la crisi economica, sociale e politica, caratteristica del sistema, che la pandemia ha reso più acuta. Questa condizione contribuirà senza dubbio ad una migliore preparazione alla lotta politica.

[D] In America Latina, la crisi del coronavirus irrompe in una fase duramente segnata dalle gravi conseguenze della nuova ondata reazionaria e golpista che ha rovesciato molti governi progressisti della regione. L’attacco contro Cuba e Venezuela da parte dell’imperialismo e delle sue proiezioni internazionali (Organizzazione degli Stati Americani, Gruppo di Lima e altre ancora) si fa sempre più violento. Quali prospettive vedete per la sinistra latino-americana e per il progetto d’integrazione progressista e antimperialista dei vostri paesi?

[R] Certamente gli sforzi dell’imperialismo per indebolire i governi progressisti della regione non sono stati vani. Come sempre, esso si è avvalso delle oligarchie creole profondamente conservatrici e dei suoi apparati ideologici nazionali e transnazionali.

Le forze di sinistra e progressiste dell’America Latina, che per quasi due decenni hanno dominato la politica della regione e hanno detenuto il potere politico in diversi paesi, formando un blocco contro-egemonico, sono diventate un vero e proprio contrappeso politico ed economico all’imperialismo. Il sentimento di unità latino-americana si è rafforzato e, politicamente, iniziative come l’Unione delle nazioni sudamericane (UNASUR), l’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), e più tardi la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici (CELAC), si sono rafforzate come un chiaro contrappeso all’Organizzazione degli Stati Americani. Queste iniziative non mirano solo a difendere la sovranità e l’autodeterminazione, ma anche l’indipendenza economica, soprattutto dagli Stati Uniti.

Di fronte al pericolo imminente che queste iniziative prendano maggiore forza nel contrasto all’egemonia degli Stati Uniti, questi ultimi, insieme ai loro alleati, sono riusciti finora a indebolire il blocco e ad abbassare la prospettiva delle iniziative di integrazione. Di conseguenza in Brasile, Ecuador, Bolivia, Paraguay e altri Paesi che avevano governi progressisti, la destra più recalcitrante ha ripreso il potere e continuano gli attacchi, comprese minacce di invasione, contro Cuba e Venezuela.

La situazione attuale è segnata dal ridimensionamento della sinistra latino-americana, ma essa dispone di strumenti politici, internazionalisti e solidali che animano il dibattito e la ricerca del rafforzamento e della progettualità della sinistra e delle forze democratiche progressiste. Uno di questi è il Forum di San Paolo, di cui il nostro partito è membro attivo.

In questo momento è fondamentale, nella prospettiva della sinistra, la mobilitazione latino-americana per fermare gli attacchi contro Cuba e i tentativi d’invasione del Venezuela. Senza dubbio, la ripresa dei processi d’integrazione, per il momento, passa attraverso un ritorno al potere della sinistra e delle forze democratiche. Le fondamenta sono state gettate e il modo in cui la pandemia ha finito per mettere a nudo l’imperialismo e le politiche neoliberiste non potrà che contribuire.

[D] Quali sono i tratti fondamentali del progetto di trasformazione della società guatemalteca avanzato dal Movimento Winaq? Quali le sue ispirazioni ideologiche?

[R] Il modello statale stabilito in Guatemala non ha risolto i grandi mali storici del paese. Li riproduce, li approfondisce e li perpetua. È stato istituito un sistema per definizione escludente, razzista e patriarcale. Lo Stato è stato lasciato alla mercé dei settori economici e politici tradizionali ed emergenti per il saccheggio e l’appropriazione dei beni pubblici. L’attuale struttura dello Stato privilegia la classe economica e politica tradizionale ed emergente. Essa costringe la maggior parte della popolazione in condizioni di povertà.

Le ricorrenti crisi politiche impongono cambiamenti strutturali, cioè la trasformazione dello Stato nella sua forma e nelle sue finalità.

Winaq si concepisce come quel partito che, per la prima volta nella storia del Guatemala, fonda il suo progetto ideologico, la sua filosofia, sulla cultura millenaria del Guatemala oggi rivitalizzata dalla conoscenza del pensiero critico autenticamente emancipatore, e ritiene possibile e necessario costruire un mondo e un paese nuovi. Come progetto politico in sé, è espressione di uomini e donne maya, ladino-meticci, garifuna e xinka (i quattro popoli riconosciuti sul territorio nazionale) la cui missione è quella di trasformare una realtà ingiusta, razzista, povera di opportunità e perversa in una società equa, piena di opportunità, senza esclusione o emarginazione. Ci consideriamo parte integrante dei movimenti indigeni e sociali. Proponiamo la fondazione di un nuovo Stato e di una nuova società nazionale e internazionale. Assumiamo come causa fondamentale la difesa degli interessi, delle aspirazioni, della dignità e della sovranità nazionale, il rispetto del diritto all’autodeterminazione dei popoli e il rifiuto categorico dell’aggressione straniera contro il nostro paese e contro i paesi fratelli.

L’idea guida di Winaq è la ricerca delle condizioni per offrire a tutti in Guatemala una vita piena, attraverso la costruzione di uno Stato pluralista. Ciò sarà possibile solo dando luogo a trasformazioni politiche e a un nuovo modello economico che cambino le strutture di dominazione e di sfruttamento, interne ed esterne, e sradichino i rapporti di forza e di discriminazione tra classi sociali e popoli. Si rende necessaria la costruzione di nuovi rapporti tra gli uomini, le donne e la collettività basati sul rispetto, l’equilibrio, la complementarietà e il riconoscimento della donna come titolare di diritti. Allo stesso modo, perseguiamo lo sviluppo di buone relazioni nel sistema internazionale: in questo senso, consideriamo fondamentale la riorganizzazione dell’ONU e delle altre istituzioni internazionali per strutturare un sistema democratico multipolare al servizio dell’umanità.

[D] Com’è concretamente strutturata l’azione del vostro Movimento nella società guatemalteca?

[R] Winaq è un partito i cui militanti sono per il 95% cittadini di origine indigena e in gran parte donne. Ha partecipato a tre tornate elettorali e sin dalla sua apparizione sulla scena politica ha conquistato una rappresentanza parlamentare nel Congresso della Repubblica, sebbene come forza di minoranza, sviluppando una prassi politica diversa da quella abituale, in coerenza con i suoi principi.

Winaq non è un progetto politico indigenista che tuteli solo le esigenze delle popolazioni indigene del Guatemala, ma è un progetto di e per la nazione multiculturale nel suo insieme. La differenza consiste nel fatto che Winaq concepisce la nazione, la società e le soluzioni alternative che propone, a partire dal punto di vista di quelli che stanno in basso, in armonia con le lotte mondiali dei popoli indigeni e delle organizzazioni, società e movimenti critici a favore della pace, dell’uguaglianza, della diversità e fratellanza umana, nell’ambito di una nuova solidarietà internazionalista.

Come conseguenza della sua origine, il partito affronta le difficoltà imposte da una società in cui persiste il razzismo strutturale e i pregiudizi imposti dalle forze conservatrici. Tuttavia nelle elezioni del 2019 i migliori risultati li abbiamo ottenuti tra l’elettorato urbano concentrato nelle principali città del paese, dove la simpatia nei nostri confronti è cresciuta di pari passo con il nostro radicamento. Ci impegniamo a intercettare le istanze della classe media che s’impoverisce e di settori di lavoratori dell’industria, casalinghe, della diversità sessuale e degli studenti, concentrando i nostri maggiori sforzi nel rapporto con i settori esclusi della città e della classe media e con le esigenze della popolazione rurale, contadina e indigena esclusa dalle politiche delle istituzioni dello Stato e sottoposta a pressioni per l’espropriazione di territori e risorse naturali.

Attualmente contiamo 25.000 iscritti e siamo organizzati in 14 dei 22 distretti elettorali, compresa la capitale del paese. In Parlamento siamo rappresentati da 4 deputati che hanno una forte visibilità nazionale.

[D] Il Movimento Winaq è stato fondato nel 2009 con l’apporto fondamentale della Premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchú, conosciuta in tutto il mondo per la sua battaglia in difesa dei diritti dei popoli indigeni. Come si pone la questione delle comunità originarie, e più in generale quella del razzismo, nel Guatemala di oggi?

Innanzitutto, noi riconosciamo la leadership di Rigoberta Menchú Tum come donna, donna indigena, vincitrice del Premio Nobel per la pace e personalità politica. Il suo ruolo nella fondazione del partito è stato decisivo per poter contare su questo strumento politico per i popoli.

Le comunità indigene del paese scontano una grave esclusione a livello sociale, culturale, economico e politico. Lo Stato del Guatemala è stato istituito in una prospettiva monoculturale, tipica del pensiero coloniale radicato tra i cosiddetti creoli e in una popolazione meticcia vittima di un lavoro ideologico sistematico condotto dal potere economico concentrato nelle famiglie creole.

Gli indigeni continuano a essere visti come cittadini di seconda classe. Non godono dei servizi essenziali nei loro territori, quindi i loro diritti umani non sono garantiti. I tassi di povertà, povertà estrema e problemi sociali come analfabetismo, malnutrizione, mortalità materna e infantile e insicurezza alimentare sono più marcati rispetto ad altri settori della popolazione. I loro diritti specifici, nonostante siano riconosciuti, non sono rispettati.

Le comunità indigene continuano a subire pressioni per l’espropriazione delle loro terre e l’espulsione dai loro territori, finalizzate al furto legale e illegale di quelle risorse naturali che esse salvaguardano e gestiscono in modo sostenibile. Le miniere a cielo aperto e l’industria idroelettrica, principalmente nelle mani del capitale transazionale, oltre all’industria agroalimentare a cui lo Stato concede privilegi, sono i principali responsabili delle violazioni dei loro diritti.

Il razzismo, nel nostro paese, è un fenomeno radicato e strutturale che si riflette non solo nella sfera della società ma anche nella sfera d’azione dell’apparato statale. I suoi effetti sono economici, sociali, culturali e politici. La rappresentanza indigena nelle istituzioni statali e governative è scarsa. Nelle Corti di giustizia essi non sono rappresentati, come pure nel governo viene loro accordata poca o nessuna rappresentanza e in Parlamento, nonostante essi rappresentino la maggioranza della popolazione, contano appena su meno del 12% dei rappresentanti.

[D] Come ritenete che debba organizzarsi, e con quali obiettivi, la solidarietà internazionalista tra il vostro Movimento, e più in generale tra i movimenti che lottano per la trasformazione della società nella vostra regione geografica, e noi che lottiamo per la stessa causa nei paesi imperialisti?

Un’idea guida del nostro movimento sono le buone relazioni nel sistema mondiale. Crediamo nella necessità di un nuovo ordine mondiale basato sulle aspirazioni dei popoli e non sulla prospettiva del dominio imperialista. Crediamo nella fratellanza umana, in una nuova solidarietà internazionalista.

La nostra relazione deve svilupparsi sulla base della fratellanza e del profondo rispetto per le nostre somiglianze e differenze. Le nostre realtà e il nostro contesto sono diversi, tuttavia viviamo sistemi di esclusione, alcuni paesi di più, altri di meno. I paesi “sviluppati” oggi, con la pandemia, hanno rivelato la loro precarietà, il loro disprezzo per la vita umana. Abbiamo storie diverse e diverse costruzioni sociali, culturali e politiche, eppure cerchiamo comprensione e giustizia.

In Europa, quella con Fronte Popolare in Italia è la prima relazione seria che instauriamo. Gli obiettivi, per come la vediamo noi, seppure con tutta la modestia devono essere d’importanza trascendente. Innanzitutto creare legami di solidarietà e rappresentare appieno, dai nostri ambiti di azione nazionali e internazionali, l’importanza di una lotta comune per la giustizia sociale, l’equità, la fratellanza e buone relazioni, sia in seno ai nostri rispettivi popoli che tra i popoli e le nazioni. Dobbiamo operare per diventate ponti di relazione, sia tra i nostri rispettivi paesi sia con organizzazioni e movimenti di altri con i quali abbiamo rapporti e definire un’agenda per lo scambio teorico e l’esperienza attuale sui paradigmi che, secondo nostre concezioni, devono modellare società e Stati diversi da quelli attuali.

(*) L’articolo originale è stato pubblicato sul sito web La Città Futura

Redazione
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