“labambina”… senza nome di Mariella Mehr

Mariella Mehr, Labambina , Effigie ed., Milano (settembre 2006), pp 156, 16 euro

Una delle più resistenti leggende (paesane e metropolitane) parla di un’organizzazione mondiale per rapire i bambini che fa capo agli “zingari”, ai nomadi. Se poi 998 casi che arrivano alla cronaca smentiscono, un caso resta dubbio e solo un altro potrebbe essere un rapimento …. comunque la forza del pregiudizio fa sì che la memoria cancelli i 998 e conservi gli altri due.

Se invece che alle “voci” ci si affidasse ai documenti storici non si faticherebbe molto a scoprire che in vari luoghi e in varie epoche accadde esattamente il contrario: i bravi cittadini sedentari (o le loro rappresentanze istituzionali) sottrassero – spesso accampando quelle buone intenzioni che, come si sa, lastricano l’inferno – i figli dei cattivi nomadi per affidarli a famiglie o a istituzioni che erano più carcerarie che filantropiche.

Un vicenda simile riguarda anche la Svizzera. Nel 1926 una società filantropica ottenne di occuparsi degli Jenische, una popolazione che come origini ha ben poco a che fare con rom o sinti ma che adottò il loro stile di vita nomade. Così in Svizzera “i figli della strada” vennero tolti ai genitori, rinchiusi negli istituti o affidati a famiglie contadine. I cognomi vennero cambiati, si disse loro che i genitori erano morti, molte ragazze furono anche sterilizzate. Come ricorda Mirella Karpati nella introduzione a «Steinzeit» (1995, Guaraldi-Aiep) di Mariella Mehr – una delle vittime di questa “sedentarizzazione” – nel 1950 la Svizzera si fece gran vanto di aver «beneficiato» così 500 bambini «su una popolazione di circa 20 mila persone». Nel 1973 si chiuse definitivamente questa pagina buia, ma solo nel 1986 «Alfons Egli, presidente della confederazione elvetica, chiese scusa pubblicamente».

La tragedia degli Jenische in Svizzera costituisce una delle due chiavi di lettura, appunto quella storica, di uno straordinario libro, sempre di Mariella Mehr che finalmente (cioè dopo 11 anni) è tradotto in italiano da Effigie che ha in catalogo anche «Notizie dall’esilio», antologia poetica della Mehr. Nonostante l’autrice sia assai nota e da anni viva in Toscana, a un anno dall’uscita ben poche sono le recensioni. Eppure rari sono i libri capaci di tale forza e di una scrittura adeguata alla sfida che propongono a chi legge. Questa è la seconda chiave di lettura possibile: si può ignorare tutto degli Jenische e buttarsi nel gorgo di un libro che ti prende al laccio fin dalla prima riga. Questa: «Non ha nome, Labambina. Viene chiamata Labambina».

Una protagonista senza nome dunque. Ma anche senza voce: non parla.  Senza stupore e senza sentimenti; in Paese spiegano: «è caduta dal carro del diavolo». Senza casa: ha un tetto sulle spalle ma resta «l’intrusa». Senza senso perché il mondo non l’accetta e può essere presa a cinghiate ignorandone i perché. Senza sogni o tregua nel vivere: «perché nel suo mondo sognare significava dimenticare per un istante che bisognava guardarsi alle spalle, sempre e ovunque perché sempre e ovunque c’è un pericolo che ci minaccia». E ancora senza tempo, senza regali (neppure una bambola di pezza), senza pietà, senza luce (per nessuna ragione lei può accenderla)… Senza storia.

E’ uno di quei libri che “fa male” ma che allo stesso tempo è difficile interrompere. Un mondo disperato. Ci sono «alberi che accarezzano» e c’è una persona che sembra/è diversa dall’inferno in cui vive: dunque si accende qualche luce di speranza ma è solo per poco. Perché il villaggio si svela un incubo non solo per «Labambina» ma per tutti i suoi abitanti, soprattutto le donne, vittime di una ignoranza che si fa scudo d’un dio crudele.

Chi vuole scrivere non deve solo trovare – o inventare – storie ma anche, a volte, forzare i linguaggi perché possa essere detto ciò che prima era indicibile o che era stato censurato all’origine (cioè nella testa delle persone). Questo è uno dei rarissimi libri che lo sa fare. Se faticate a trovarlo (è nota la difficoltà dei piccoli editori nel trovare canali) ordinatelo a effigiedizioni@effigie.com. Vale aggiungere che a libro chiuso si avverte la sensazione – assai curiosa – che prestare il libro, consigliarlo non basti; si vorrebbe avere magicamente in tasca 1600 euro in più… per regalarlo subito a 100 amiche e amici; o magari ad alcuni fra gli sciagurati, anche giornalisti, che attribuiscono ai nomadi tutti i mali del mondo.  [Daniele Barbieri]

Mariella Mehr, «Labambina» , Effigie ed., Milano (settembre 2006), pp 156, 16 euri

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