“Ladro di cultura”. La storia di Filippo Bernardini, sotto processo a New York

redazione Diogene*


Foto di Darwin Vegher su Unsplash

Filippo Bernardini si è dichiarato colpevole davanti a un tribunale di New York in un caso di frode in cui il governo Usa ha affermato che aveva rubato più di mille manoscritti. L’uomo però, arrestato dall’Fbi l’anno scorso, ha offerto una spiegazione venerdì scorso con una lettera indirizzata al giudice federale che dovrà decidere sul suo caso.

Ripercorriamo la vicenda. Bernardini è stato individuato dopo che si era scatenata nell’industria editoriale una vera e propria caccia al “ladro di manoscritti” che da qualche tempo riusciva a procurarsi prima ancora che uscissero sul mercato i testi di autori importanti.

In realtà più che rubare i testi inediti glieli avevano inviati gli autori stessi, grazie alla truffa ideata da Bernardini, che si era finto con vari stratagemmi un addetto ai lavori. Tra gli autori truffati più famosi troviamo Margaret Atwood, Ethan Hawke e Sally Rooney.

Questa “frode” è andata avanti cinque anni. A rendere strana la vicenda è l’assenza di un fine di lucro e l’impossibilità di trarre profitto da questi furti. Venerdì scorso Bernardini con una lettera ha finalmente offerto la sua spiegazione.

Bernardini ha scritto di aver rubato i libri perché voleva leggerli. Ha impersonato individui specifici usando nomi di dominio falsi come “penguinrandornhouse.com” invece di “penguinrandomhouse.com”, con “rn” al posto della “m”.

In questo modo ha scoperto che se chiedeva nel modo giusto, poteva ottenere i libri che voleva. Ha detto che è diventato “un’ossessione, un comportamento compulsivo” e che voleva sentirsi ancora parte dell’industria.

Bernardini ha 30 anni, è cittadino italiano e viveva a Londra da molti anni. Quando è stato arrestato a New York l’anno scorso, all’aeroporto John F. Kennedy, lavorava come coordinatore dei diritti per Simon & Schuster UK.

Secondo Bernardini tutto è nato quando la casa editrice per cui lavorava si è rifiutata di assumerlo definitivamente e lui ha cominciato via email a mandare in giro domande di assunzione. Poi ha iniziato a impersonare professionisti dell’editoria.

“Mentre lavoravo, ho visto manoscritti condivisi tra editori, agenti e talent scout letterari, quindi, mi sono chiesto: perché non posso anche leggere questi manoscritti?. All’inizio è iniziata come una sfida; Non ho mai creduto che sarebbe valsa la pena di commettere questi crimini in modo così prolifico come ho fatto, mi sono lasciato trasportare “.

Adesso però rischia una condanna fino a due anni circa di prigione. Ma i suoi avvocati hanno presentato numerose lettere di solidarietà verso Bernardini scritte oltre che da parenti e amici anche da ex colleghi dell’industria culturale.

In sui difesa anche uno dei “truffati”, Jesse Ball, che ha spiegato al tribunale che sarebbe stato difficile per chiunque pubblicare i suoi romanzi sotto un altro nome, e che le uniche difficoltà procurate dal furto di Bernardini erano dovute alla confusione nelle comunicazioni con il suo editore.

L’appello di Ball alla Corte federale potrà forse essere la chiave della difesa di Bernardini. Lo scrittore si è appellato alla clemenza del giudice perchè “E’ stata veramente una cosa banale, una cosa frivola. Mandare un uomo in prigione per questo sarebbe un modo per prendere un crimine senza vittime e creare una vittima nella persona dell’imputato”.

Il caso di Filippo Bernardini solleva molte questioni etiche e culturali. Il desiderio di conoscenza e la passione per la cultura possono spingere alcune persone a infrangere la legge per accedere a opere inedite e nuove conoscenze, anche se la tutela della proprietà intellettuale è un diritto sacrosanto.

Il processo a Bernardini quindi da una parte è un monito contro il furto di copyright per chi ritiene di non dover pagare gli autori ma dall’altra deve anche essere visto come un’occasione per riflettere sui limiti della proprietà intellettuale al diritto alla conoscenza.

*diogeneonline.info 

Filippo Bernardini

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