L’Afghanistan di Bashir Sakhawarz

di Valentina Acava Mmaka

La prima volta che ho incontrato Bashir Sakhawarz era il 2005, in occasione di un convegno svoltosi a Ferrara sulle Letterature Migranti. Nel contesto del Festival c’era la rappresentazione di una performance dal titolo «And the city spoke» che vedeva protagonisti scrittori e artisti migranti e in esilio fra cui gli amici Tahar Lamri (Algeria), Soheila Ghodstinat (Iran), Simon Mol (Ghana/Cameroun) e anche Bashir Sakhawarz (Afghanistan). Nel corso del tempo io e Bashir non abbiamo mai smesso di dialogare, anche a grandi distanze attraverso i mezzi che oggi offre la tecnologia. Ho avuto l’occasione di tradurre un suo scritto originale per la rivista «STILOS», sul post 11/9 e poi intervistarlo in diverse occasioni e più recentemente ho avuto il privilegio di leggere e discutere le diverse stesure del suo primo romanzo scritto in lingua inglese, ora in uscita in Asia con il titolo «Maargir- The Snake Charmer».

Sicuramente Bashir è uno scrittore di talento, già nel 2005 ebbi l’opportunità di leggere alcune sue poesie e racconti in inglese, tessuti di ironia e forti di una passione per la verità che spesso la Storia cela dietro la trappola del pensiero lineare, o dietro la sua presunta obiettività. Con questo suo romanzo ha sradicato completamente la facile versione semplicistica che l’Occidente ha dell’Afghanistan, quella propinata da autori come Khaled Hosseini che hanno trasformato il dramma afghano in un bestseller degno della tradizione americana. Nelle numerose conversazioni telefoniche intercontinentali mi chiedeva spesso in che misura questo suo romanzo raccontava un Afghanistan “sconosciuto”, quasi a volersi sincerare di non essere affiancato a nomi che nel grande catalogo della letteratura erano stati erroneamente inseriti più per un fattore di vendite che per la qualità insita dell’autore e della sua opera. Sotto questo punto di vista il suo Afghanistan era al sicuro da qualunque etichetta. L’Afghanistan di Bashir è un corpo vitale segnato da amori, passioni politiche, sofferenze, perdite ma anche da un senso di verità profonda che sta dietro la complessità delle scelte umane di fronte ai drammi della Storia e al fatto di come essa non possa essere letta senza tenere in considerazione le storie personali.

Bashir nasce a Kabul, fugge dal suo Paese appena ventenne e va in esilio in Gran Bretagna dove compie studi di ingegneria. Ha vissuto in diversi Paesi del mondo, lavorando per conto di diverse ong e nonostante la sua formazione professionale scientifica, Bashir nasce poeta e storyeeller. Inizia la sua attività letteraria giovanissimo, all’età di diciassette anni scrivendo poesie ispirate al grande Rumi. Ha all’attivo numerose opere in farsi e in inglese: il «Saggio su Mualana Jaladin Balkhi (Rumi)»; le raccolte di poesie «Sabzineh Sharqi» e «Pileh Tanhaiee». E’ anche traduttore in farsi delle poesie di Octavio Paz e autore di uno studio sulla vita e sull’opera del poeta persiano Ghalib.

Oggi il mondo intero conosce i Mujahidin e i Talebani, i gruppi islamici in azione in Afghanistan, ma nel 1974 quando Bashir Sakhawarz aveva solo 14 anni ed era studente delle scuole superiori, c’era solo un partito islamico chiamato Ikhwan ul Muslimin, ovvero Fratellanza Musulmana. In quell’anno era un gruppo piuttosto piccolo. Il più grande partito politico era un partito di ispirazione maoista sebbene ce ne fossero altri due di sinistra che seguivano la linea comunista imposta dal Cremlino in Unione Sovietica. I seguaci dei modelli comunisti cinese e sovietico ricevevano istruzioni direttamente dalla Cina e dall’Urss, cosa che non avveniva per i membri dell’Ikhwan ul Muslimin poiché il movimento dei loro leader in Egitto era costantemente monitorato dalla polizia segreta. Si trattava di un gruppo di opposizione contro il governo egiziano. I loro leader in Afghanistan erano stati addestrati dall’Ikhwan ul Muslimin direttamente in Egitto, quando erano studenti all’università Al Azhar. Al loro rientro in Afghanistan erano sufficientemente preparati da poter guidare il loro gruppo autonomamente e se ricevettero appoggio dall’Egitto fu solo clandestinamente. Uno di questi studenti si chiamava Musa Shafiq, che più tardi assunse la carica di primo ministro sotto Mohammed Zahir Shah, l’ultimo re dell’Afghanistan, mentre altri leader importanti come Burhanuddin Rabbani, Abdul Rasul Sayyaf e Golbudin Hekmatyar divennero noti al mondo intero quando cominciarono a guidare la Jihad contro l’invasione sovietica in Afghanistan.

Prima di diventare un importante leader del partito islamico chiamato Hizb-e-Islami (Il partito dell’Islam) Goulbudin Hekmatyar lasciò un segno, diventando il capo di una politica fondata sul terrore, diffusa e istituzionalizzata in tutto il Paese che uccise migliaia di innocenti. La prima vittima di Golbudin Hekmatyar fu uno studente universitario chiamato Saidal, un attivo maoista. Saidal perse la moglie durante una protesta studentesca cui aderì la maggioranza degli studenti. Un giorno un gruppo di uomini, capeggiati da Hekmatyar, armati di coltelli attaccarono Saidal che fu pugnalato a morte. La morte del giovane fu una tragedia per il suo partito e ancor di più per sua madre che era rimasta sola al mondo, già prima senza un marito e ora senza l’unico figlio. Hekmatyar fu portato in prigione ma il governo corrotto dichiarò che non c’erano prove sufficienti per una condanna e così venne liberato.

Incoraggiato dall’esito della mancata condanna, Hekmatyar concentrò la sua attenzione sulle studentesse del Paese. Benché il leader avesse una preparazione universitaria, si oppose fortemente all’idea che le donne potessero studiare all’università. Quando si rese conto che la gente in Afghanistan non ascoltava i suoi discorsi che incitavano la messa al bando dell’istruzione superiore per le donne, studiò un nuovo piano che era certo avrebbe riscosso l’attenzione che si aspettava dalla gente. Una mattina presto, un gruppo di studentesse era diretto all’università quando un giovane uomo si avvicinò loro tenendo una bottiglia in mano di cui gettò il contenuto sul volto delle ragazze. La bottiglia conteneva acido. Le studentesse presentarono ustioni gravissime sul volto restando sfigurate. Ancora una volta Hekmatyar riuscì a farla franca poiché nessuno poté testimoniare contro di lui su quanto era accaduto.

Dopo il collasso della monarchia e dopo che l’Afghanistan era diventato una repubblica, tutti i partiti politici furono messi al bando anche se durante questo periodol’Ikhwan ul Muslimin continuava la sua azione clandestinamente abbracciando la lotta armata contro il governo. In qualche modo, il gruppo riuscì a reclutare giovani uomini che rafforzarono l’ideologia del partito mentre gli altri partiti si indebolivano schiacciati dalla loro messa al bando.

Nel 1978 il partito comunista, con l’aiuto dell’Unione Sovietica, aveva messo radici in Afghanistan e nel 1979 l’Urss invase il Paese. L’invasione portò successo a Hekmatyar e agli altri leader e membri dell’ Ikhwan ul Muslimin che immigrarono in Pakistan ricevendo soldi e armi da ogni parte del mondo. Fu in Pakistan che i leader dell’ Ikhwan ul Muslimin acquisirono potere. Formarono un governo afghano in esilio, un governo che aveva molti leader, ciascuno a capo del proprio partito indipendente. Questi partiti si arricchirono ottenendo sostegno finanziario dai Paesi che si opposero all’invasione dell’Afghanistan e con il denaro ricevuto acquistarono armi sofisticate. Il denaro e le armi attrassero molti rifugiati che vivevano allora in Pakistan in condizioni di estrema difficoltà spingendoli a unirsi ai partiti islamici che diventarono tanto forti e potenti che i sovietici si resero presto conto quanto ostacolarli sarebbe stato impossibile. Il governo parallelo in Pakistan raggruppava diversi partiti, ognuno aveva un suo esercito e un suo corpo di polizia composto da giovani afghani che combattevano l’Urss. La loro polizia, che non faceva capo a nessuna legge, terrorizzava i rifugiati. Molti uomini innocenti vennero catturati per la strada e mandati in prigione. I seguaci dell’Ikhawan ul Muslimin da ora in poi vennero chiamati Mujahidin: disponevano di loro prigioni nelle cui atroci e buie segrete migliaia di innocenti sono stati torturati e hanno perso la vita. Spesso le vittime venivano accusate di essere spie per conto del governo comunista afghano, anche se la maggior parte era innocente. Si trattava in gran parte di uomini ordinari, che non avevano avuto altra scelta che lavorare per il governo afghano prima di diventare rifugiati: perlopiù professori, insegnanti, commentatori radiofonici, impiegati. Molti giovani cercarono di restare defilati, in disparte, aspettando un’occasione per fuggire il terrore dei Mujahidin, ad esempio andare in Occidente. Ma furono in pochi a farcela.

Quando i seguaci dell’Ikhwan ul Muslimin rientrarono in Afghanistan, dopo la caduta del regime comunista, il mondo assistette attonito al terrore. Assetati di potere, i leader del partito cominciarono a combattersi l’un l’altro e in questo nuovo stato di cose furono quegli stessi innocenti afghani che soffrirono sotto il comunismo e non ebbero al possibilità di lasciare il Paese. Da allora migliaia di civili persero la vita.

Dall’Ikhwan ul Muslimin nacque una fazione di uomini che si facevano chiamare Talebani, i quali combatterono i Mujahidin promettendo di portare pace e ristabilire ordine nel Paese. All’inizio la gente era felice perché la pace in effetti arrivò ma non durò a lungo perché tutti si resero presto conto che i Talebani erano una forza oscura che condannava ogni forma di civilizzazione e prosperità.

La lotta dell’Ikhwan ul Muslimin sarebbe continuata anche cambiando nome, Mujahidn e Talebani.

Oggi il terrore continua. L’idea del martirio è il pensiero dominante nella mente dei loro seguaci: se verranno uccisi diventeranno martiri e se uccideranno, diventeranno ghazi, ovvero guerrieri dell’Islam. In entrambi i casi, il paradiso li attende perché questa vita è troppo corta e priva di senso.

Bashir Sakhawarz, alla soglia dei cinquant’anni, nel suo primo romanzo in lingua inglese «Maargir. The Snake Charmer» descrive l’Afghanistan nel periodo di ascesa al potere del partito Ikhwan ul Muslimin, quando lo scrittore era poco più di un adolescente, svelando la complessità di un Paese senza pace.

Il romanzo «Maargir. The Snake Charmer» (edito da Lead Start) per il momento avrà un’ampia diffusione in Asia, anche se l’auspicio è quello di vederlo in traduzione italiana.

Redazione
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Un commento

  • Cristina Cattafesta

    Caro Daniele, grazie per questo post!
    Bashir Sakhawarz è un poeta molto amato da RAWA (Revolutionary Association Women of Afghanistan), al punto che RAWA gli ha dedicato una intera sezione nel suo sito: http://www.rawa.org/bashir.htm
    Come regalo per te, ti mando la traduzione della poesia che si trova sul sito di Rawa e che pubblicheremo sul nostro sito Osservatorio Afghanistan insieme all’articolo che recensisce l’ultimo libro di questo grande e lucido scrittore/poeta afghano:

    Attraverso lo spessore della distanza,
    Attraverso le pareti delle montagne,
    Attraverso la profondità degli oceani,
    Ieri sera ti ho toccato
    Ho toccato il tuo dolore
    Ed è diventato il mio.

    Non c’è alcun senso nel sorriso dei bambini
    I fiori crescono, ma sono fiori?
    I bambini sorridono, ma stanno davvero sorridendo?
    Senza i tuoi bambini
    Senza il tuo giardino
    I fiori e i sorrisi non cresceranno
    Senza la tua mano,
    La vita mi offre solo il vuoto

    Quando sono partito
    Lei sussurrò “prenditi cura di te”
    E tu, ti sei presa cura di te stessa?
    Hai difeso il tuo sogno?
    Non hai visto distruggersi le speranze?
    Non hai schivato il disastro?
    Le catastrofi sono nell’aria
    Crescono nel tuo giardino
    Cadono dagli alberi.

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