Lana Bastašić: «Afferra il coniglio»

recensione di Božidar Stanišić (*)

Dall’aletta della copertina dell’edizione italiana del libro “Uhvati zeca” [Afferra il coniglio] di Lana Bastašić (Zagabria, 1986) un ritratto fotografico dell’autrice sorride al lettore. Credo che la scrittrice abbia buoni motivi per sorridere. Il premio dell’Unione europea per la letteratura, rivolto ai giovani scrittori, apre le porte delle case editrici del Vecchio continente come un grimaldello. Il romanzo d’esordio di Lana Bastašić, pubblicato prima a Belgrado (Contrast, 2018; Booka, 2020 – “edizione revisionata”) e poi a Sarajevo (Buybook, 2019), ha ricevuto recensioni molto positive in tutta la regione ed è stato selezionato tra i finalisti del premio NIN per il miglior romanzo serbo e del premio Meša Selimović per il miglior romanzo scritto in Bosnia Erzegovina, Serbia, Croazia e Montenegro. Detto questo, sottolineo che una recensione seria rappresenta ormai un’eccezione nella regione. I brevi commenti scritti ad hoc1, da un lato, e le lunghe descrizioni dei libri, dall’altro, che danno l’impressione di essere stati pagati dagli stessi editori sono invece diventati la regola.

Afferra il coniglio

Le protagoniste del romanzo sono due amiche, Lejla e Sara, che è anche la narratrice. Allo scoppio della guerra in Bosnia Erzegovina erano bambine, vivevano a Banja Luka dove, una volta finito il conflitto, iniziarono a studiare letteratura. Il fratello di Lejla, Armin, era scomparso durante la guerra. Una volta conclusi gli studi, Sara partì per Dublino, dove vive ancora con Michael (non vuole avere figli). Lejla invece vive a Mostar con suo marito Edo. Dopo dodici anni di silenzio, un giorno Sara riceve una telefonata da Lejla (questo, a quanto pare, è ancora oggi un ottimo cliché per mettere in moto la trama, e il lettore, appena nel romanzo suona il telefono, drizza subito le orecchie, e lo stesso vale anche per i film). Il motivo della chiamata? Armin non è morto, vive a Vienna. Naturalmente, Sara accetta di venire a Mostar. Com’è stato il loro incontro dopo tanti anni? Come se si fossero viste per l’ultima volta il giorno prima.

Le due amiche partono in auto per Vienna, dove dovrebbero incontrare Armin. La strada, come sappiamo, è lunga, per cui si fermano a Jajce, dalla signora Knežević, un’amica di Lejla. La signora le accoglie con la sirnica [specialità locale a base di pasta sfoglia ripiena di formaggio] e le invita a passare la notte a casa sua, dando per certa l’affermazione di Lejla secondo cui Sara sarebbe di origini irlandesi. E già che ha fatto venire le sue protagoniste a Jajce, Lana Bastašić le porta anche a visitare il Museo dell’AVNOJ. Lì Lejla attaccherà una gomma da masticare su una poltrona di Tito…

Vado avanti così? Non dovrei forse dire qualcosa di più su questo romanzo che ha vinto un premio europeo, invece di portarvi in questo modo fino a Vienna dove le due amiche verranno a sapere… Che cosa? Eh, lo dovrete scoprire da soli, e non vi aiuterò nemmeno a capire il significato di quel coniglio.

Romanzo come pseudo-impegno

Questa lunga storia dell’amicizia tra Sara e Lejla si snoda su due piani temporali distinti che l’autrice ha cercato di intrecciare il più possibile. Ci è riuscita perfettamente, e questo aspetto – insieme al capitolo in cui l’autrice racconta, da una prospettiva personale, l’infanzia durante la guerra e il periodo post-bellico trascorso a Banja Luka – dà un certo valore al romanzo. Durante la guerra, Lejla e la sua famiglia, di nazionalità bosgnacca, furono persino costretti a cambiare cognome, essendo stati sottoposti a costanti pressioni da parte degli estremisti serbi. Così i Begić divennero Berić, Lejla divenne Lela e Armin divenne Marko. Queste pagine sono tra le più convincenti del libro, e non solo perché l’autrice vi ha espresso una chiara posizione morale.

Che dire del resto di questo romanzo che pretende di essere un’opera di prosa dedicata al tema della ricerca dell’identità? Tutti gli altri aspetti del libro – dall’insistere sul tema dell’amicizia femminile al tentativo di stigmatizzare Josip Broz Tito, passando per una propensione misantropica a etichettare le persone, i dialoghi spesso poco convincenti e troppo lunghi e un tentativo artificioso, quindi poco convincente sul piano semantico, di confrontarsi con il celebre acquerello di Dürer “Leprotto” (1502) – rispecchiano una tendenza molto in voga tra i giovani scrittori della regione: scrivi di te stesso, sii interessante ad ogni costo!

Non sono un oppositore del femminismo (chissà come sarebbe andata se non ci fosse stato il femminismo!) e quindi non ho nulla contro i temi femministi nell’arte e nemmeno contro le critiche oggettive nei confronti di Tito. Tuttavia, per quanto Lana Bastašić si sia sforzata di attribuire un significato metaforico a quella gomma da masticare, resta il fatto che il viaggio delle due amiche, protagoniste del romanzo, è anche un viaggio attraverso la Bosnia di oggi. Quanti lettori si chiederanno perché le protagoniste non hanno attaccato almeno una gomma da masticare ai ritratti dei feudatari che oggi governano la Bosnia? Hanno avuto l’occasione di farlo a Mostar, a Jajce e anche a Banja Luka.

Auspicando che il suo romanzo potesse essere tradotto in diverse lingue europee, l’autrice ha aggiunto questa “prelibatezza” tanto cara a quei ciechi sostenitori della destra in Europa! Come se oggi Tito morto fosse tanto importante; come se non fosse più importante il fatto che vari aspetti della sicurezza sociale e della solidarietà stanno scomparendo, lentamente ma inesorabilmente, dal Vecchio continente! Un viaggiatore contemporaneo dovrebbe essere in grado di percepire molti fenomeni più vivi e più problematici di un personaggio morto come Tito. Una memoria selettiva e una percezione selettiva dell’attuale realtà dei fatti aggiungono un’ulteriore dimensione negativa allo pseudo-impegno sociale dell’autrice.

Fra i grandi scrittori del passato ve n’erano anche alcuni misantropi, dichiarati o celati, i quali però esprimevano la loro misantropia – che a volte nasceva come frutto del malcontento nei confronti della società in cui vivevano – attraverso l’arte. Quindi, non erano tendenziosi… L’autrice del romanzo “Afferra il coniglio”, viaggiando in autobus da Zagabria verso Mostar, descrive i suoi compagni di viaggio in modo superficiale, caratterizzandoli con troppa leggerezza: “gufi e oche”; un uomo dorme tranquillo, mentre fino a pochi minuti fa leggeva il romanzo “Mansarda” di Danilo Kiš; alcune donne hanno i capelli sporchi… Ricordando una spiaggia, che da giovane aveva visitato con Lejla, la narratrice pensa di sapere tutto degli altri; tutte le donne si comportavano in modo “isterico” nei confronti dei bambini, mentre i loro mariti avevano gli occhi fissi sul “culo tondo” di Sara… Lana Bastašić scrive tutto questo col desiderio di piacere alla sua generazione? Una generazione “perduta”, come afferma l’autrice stessa all’inizio del romanzo. Così non ci dobbiamo scervellare per capire di quale generazione si tratta… Forse dovremmo invece darci un buffetto sulla testa e chiederci dove sta andando oggi la letteratura, non solo quella della regione?

Siamo troppo critici se affermiamo che oggi le principali “correnti” letterarie sono l’editorismo (tendenza focalizzata sulla promozione e sulla vendita dei libri) e l’ambizionismo (con questo termine intendo la brama di prestigio e di superiorità)?

La leggerezza, i buchi

Ed è qui che emerge, con tutta evidenza, la questione della leggerezza dello scrivere, che riguarda anche i buchi nel testo e nel suo significato. Una questione che fa sorgere un altro interrogativo che, solo apparentemente, non c’entra nulla con il romanzo di Lana Bastašić. La biografia di uno scrittore è spesso rilevante per l’analisi stilistica e semantica delle sue opere. Lana Bastašić ha fondato una scuola di scrittura creativa a Barcellona. Ho contato fino a dieci, quindi non mi dilungherò su queste scuole che esistono in tutto il mondo (e nemmeno sulla Scuola Holden in Italia che gode di una fama esagerata), né tanto meno mi dilungherò su quante illusioni stiano seminando riguardo alla possibilità di formare scrittori “in loco”, né su quanti studenti riescano a trarre veri benefici da questi corsi. Mi limito invece a sollevare una questione che mi sembra logica: come possiamo insegnare la scrittura agli altri se con le nostre opere non abbiamo dimostrato le nostre capacità letterarie? Nel romanzo di Lana Bastašić ci sono alcuni dettagli inseriti in modo forzato all’interno della trama (Lejla si prostituisce quando ne ha voglia – è forse l’espressione di una libertà femminile che riveste grande importanza per l’autrice?), né brevi frammenti che non servono a nulla (così, ad esempio, scopriamo tutto sul preservativo di Michael e sugli assorbenti di Lejla; scopriamo anche quanti caffè Lejla ha bevuto e quante brioche ha mangiato a Zagabria, aspettando l’autobus per Mostar) e alcuni tentativi falliti, sul piano stilistico, di realizzare una descrizione romanzesca che si è trasformata in un futile reportage di viaggio, sulle zone attraversate dalle due amiche…

Questo vi sembra un buon modo per realizzare un’opera d’arte artisticamente riuscita e, in più, vincere un premio?

Un favore che fa più male che bene ai giovani scrittori

Ogni volta che si apre un dibattito sui premi letterari (non solo nella regione) è come se si aprisse il vaso di Pandora da cui strisciano fuori l’invidia e la mancanza di giudizio critico. Personalmente non sono a conoscenza di alcun serio dibattito sul senso dei premi letterari (e artistici in generale) nella regione e sulla libertà di cui un autore gode grazie al fatto di aver vinto un premio, più o meno “cospicuo”, che gli consente di lavorare tranquillamente su nuovi progetti.

Alcuni miei amici che ancora vivono e che sono semplicemente stanchi di quella fiera della vanità – caratterizzata dal desiderio di prestigio, da vari trucchi a cui ricorrono le giurie e dalla tendenza a favoreggiare gli scrittori cari alle grandi case editrici – affermano con rassegnazione che i concorsi letterari in realtà riflettono la situazione sociale e politica della regione. Quindi, non siamo lontani nemmeno dalla corruzione. Anzi. Il premio NIN 2019 ha sollevato un gran polverone ma, per fortuna, ha sollevato anche la domanda sulla situazione nei cosiddetti ambienti letterari in Serbia.

Il romanzo d’esordio di Lana Bastašić è stato selezionato tra i finalisti del premio NIN 2018 e del premio Meša Selimović 2018. Dei cinque libri usciti nel mio Paese d’origine, la Bosnia Erzegovina, proposti per il premio Meša Selimović 2018, quattro sono stati pubblicati della casa editrice sarajevese Buybook. “Afferra il coniglio” è stato l’unico libro in lizza pubblicato da un altro editore, ma già nel 2019 è uscita una nuova edizione, pubblicata proprio dall’editore Buybook. Non ho letto altri libri finalisti del Premio dell’UE per la letteratura 2020, ma mi chiedo: come sono questi libri se a vincere il premio è stato un romanzo mediocre come quello di Lana Bastašić?

Sulla quarta di copertina dell’edizione italiana del romanzo “Afferra il coniglio” c’è scritto: «Vincitore European Union Prize for Literature 2020», e poi sotto: «Non c’è dubbio che Bastašić sarà una protagonista rilevante della scena letteraria balcanica». Lo sostiene il portale Vox Feminae (ancora una volta il termine “Balcani” viene usato come un comodo sacco in cui racchiudere tutti gli ex-jugoslavi, i turchi, i greci, i bulgari, gli albanesi… Perché mai dovremmo sforzarci? Può darsi che la letteratura balcanica non esista, ma il sacco chiamato “Balcani” è comodo – serve al suo scopo!). C’è qualcuno a Vox Feminae – l’editore italiano poteva anche aggiungere che si tratta di una rivista online di Zagabria- che conosce molto bene “la letteratura balcanica”? Se da qualche parte nel mondo esiste una cattedra di letteratura balcanica, per favore fatemi sapere! Sono proprio curioso di sapere se l’editore Nutrimenti, che è naturalmente responsabile della veste grafica del libro2, sia a conoscenza del fatto che, per quanto riguarda i veri protagonisti della “letteratura balcanica” – per non allargare troppo il discorso, mi limito alla letteratura serba contemporanea – , nemmeno una sola opera di Vidosav Stevanović è stata tradotta in italiano. Sa che solo quest’anno, finalmente, un libro di Radoslav Petković sarà disponibile anche in edizione italiana e che il romanzo “Tesla” di Vladimir Pištalo non è ancora stato tradotto in italiano? Sa quanto tempo è dovuto passare affinché uscissero le prime traduzioni italiane dei romanzi di Dragan Velikić? Per non parlare di David Albahari, uno dei più grandi e autentici scrittori provenienti dall’ex Jugoslavia, di cui in Italia si sa molto poco, essendoci poche traduzioni delle sue opere…

È evidente che i recensori italiani del libro “Afferra il coniglio”, probabilmente seguendo l’esempio di quelli della regione, hanno sottolineato il legame tra la scrittura di Lana Bastašić e la tecnica narrativa usata dall’autore del libro “Alice nel paese delle meraviglie”, e non mancano neppure i paragoni con la prosa di Elena Ferrante… Su quest’ultimo punto ritengo che abbiano ragione: la prosa di Elena Ferrante respinge i lettori che conoscono le opere letterarie senza le quali è impossibile immaginare la letteratura, e attira quelli che, probabilmente incantati dalla scritta “bestseller” riportata sulla copertina, credono che ogni parola stampata sia letteratura.

Un atteggiamento acritico nei confronti di un libro fa più male che bene ai giovani scrittori, compresa Lana Bastašić.

Post scriptum

Armando Gnisci (1946-2019), per anni professore alla Sapienza, è stato uno dei pochi interessanti studiosi di letteratura comparata in Italia e in Europa. Deluso dalla situazione e dalle relazioni interpersonali che si erano venute a creare all’interno dell’università, nel 2010 Gnisci aveva deciso di andare in pensione anticipata. In una delle poche interviste rilasciate in quell’occasione, Gnisci si era espresso anche sullo stato di salute della letteratura italiana contemporanea, e in particolare sui cosiddetti scrittori più letti. Senza risparmiare nemmeno Roberto Saviano. Stando alle parole di Gnisci, l’autore di “Gomorra” crede di aver capito il mondo, per cui cerca di spiegarlo agli altri, e viene celebrato solo perché vive una vita da recluso, sotto scorta. Non se la sono passata meglio nemmeno Paolo Giordano, Margaret Mazzantini e Alessandro Baricco. Secondo Gnisci, il libro di Giordano “La solitudine dei numeri primi”, che ha venduto milioni di copie, è un libro inutile, deprimente; Mazzantini non conosce bene la lingua italiana, non sa narrare e scrive romanzi troppo grossi, mentre “Emmaus” di Baricco è talmente noioso che il professor Gnisci era riuscito a malapena ad arrivare alla terza pagina.

Quando Gnisci critica la letteratura italiana contemporanea, senza peli sulla lingua, si rivolge implicitamente ai giovani scrittori. Naturalmente, a quelli modesti e consapevoli della strada intrapresa. Durante una delle nostre conversazioni, avvenuta molto tempo fa ad Ancona, dissi ad Armando che il tempo è un galantuomo, uguale per tutti, compresi gli scrittori: su una mano porta il suo orologio impietoso, mentre nell’altra mano tiene una scopa. Armando mi guardò con un sorriso silenzioso.

( 1) Trovo particolarmente ridicolo il commento di Mirjana Krtinić (pubblicato sul quotidiano belgradese Danas, il 21 maggio 2020): «Il libro è stato selezionato tra i finalisti del premio NIN 2018 e sono in molti a pensare che sia un’ingiustizia che non l’abbia vinto, per cui sicuramente verrà incluso in quelle classifiche dei libri rimasti senza premio, che non vengono stilate dalla giuria, bensì dalla storia della letteratura…».

( 2) La scorrevole traduzione di Elisa Copetti è impoverita dall’assenza di note a piè di pagina. Tutti gli italiani sanno chi sono, tra gli altri autori citati, Petar Kočić e Đorđe Balašević? Tutti sanno cosa sono starogradske pjesme [un genere musicale nato a cavallo tra XIX e XX secolo nelle aree urbane dell’ex Jugoslavia e della Bulgaria dalla fusione di musica tradizionale locale e la popular music occidentale che in quel periodo iniziò a diffondersi in tutta Europa]?

(*) da https://www.balcanicaucaso.org

 

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