L’archeologia delle tragedie

foucault

di Riccardo Dal Ferro

“Agire come se i tuoi più lontani discendenti fossero i tuoi vicini di casa”
Questa è la massima che ereditiamo da Günther Anders, questa è la massima con la quale dobbiamo fare i conti quando ci troviamo di fronte alle immani tragedie del nostro tempo. Ma la cosa è più complessa di come appare.
Seguire la massima di Anders infatti ha un significato molto più profondo di quanto sembra.
Ricordiamo come Foucault intendeva la filosofia? Per lui, fare filosofia significava essere archeologi del sapere. Significa non chiedersi quale sia la Verità (come se questa fosse un monolite granitico e inossidabile), ma vuol dire ricostruire pezzo per pezzo le stratificazioni perdute nel tessuto della storia. Scavando con le mani e con la mente, con l’intelligenza e la fatica, andando a ritrovare “dispositivi” di sapere e di potere utili a comprendere il presente per agire sul futuro.
Se mettiamo insieme la massima di Anders e il metodo foucaultiano, ci troviamo di fronte a un abisso: il presente è sempre “spalmato” su una fetta di pane immensa, che va dal lontano passato e arriva al lontano futuro. Questo vuol dire che, riprendendo le fila della ricerca di Foucauld, “il sistema carcerario francese odierno (quello degli anni 70, ndr) trova le sue radici nel sistema di sorveglianza e punizione post-medievale”. Oppure, “ciò che noi chiamiamo sessualità è in realtà il risultato dell’intrecciarsi di una molteplicità di comportamenti e dispositivi di sapere che hanno avuto origine duecento anni fa”.
Che cosa vuol dire questo? Principalmente due cose.
La prima è che la tragedia accaduta qualche giorno fa nel Mediterraneo è frutto di processi molto più lunghi e difficili da riconoscere, che affondano molto probabilmente le loro radici nel colonialismo occidentale di inizio Ottocento (ma chissà quali altri “dispositivi di sapere” vengono a intrecciarsi fino a risultare in un fenomeno così insopportabile): perciò, la demagogia prende sempre la forma del politico di turno che vuole agire hic et nunc, per esempio punendo gli scafisti, che poi saranno sostituiti da altri scafisti e poi ancora da altri; oppure, “fermandoli a casa loro”, senza tenere presente che la loro casa è diventata un luogo talmente complicato da spingerli ad andarsene (e se lo è diventata è a causa di interessi tutti occidentali).
La seconda conseguenza di un tale atteggiamento è ancora più difficile da accettare e fare nostra: non possiamo accontentarci dell’illusione di poter agire sul presente, dobbiamo scatenare processi che vedranno il proprio compimento ben più in là delle nostre piccole vite. “Agire come se i tuoi discendenti fossero i tuoi vicini di casa” vuol dire abbandonare la chimera del voler risolvere oggi processi che hanno avuto origine 200 anni fa attraverso l’immane intrecciarsi e stratificarsi di eventi grandi, piccoli, molte volte invisibili e incomprensibili. Oggi dobbiamo agire per evitare che queste tragedie non si ripetano mai più! Non che queste tragedie non si ripetano per le prossime due settimane! E la demagogia politica che raccatta consensi non può permettersi un simile discorso perché, ovviamente, è più facile dare l’illusione dell’immediatezza invece di mostrare l’abisso del futuro.
Io dico che dobbiamo agire non più in modo da debellare temporaneamente questi eventi nefasti. Dico che dobbiamo agire in modo da sradicare oggi le tragedie di domani, sentendo sulle nostre spalle la responsabilità di mettere in piedi processi razionali volti a piantare le radici di quello che un giorno sarà un mondo più equo.
“Agire come se i tuoi discendenti fossero vicini di casa, scavando alla ricerca dei frammenti di un passato da non ripetere”, direbbe Günther Foucault, oppure Michel Anders. In questo modo, il tempo prende un connotato tutto diverso, molto più concreto, ma soprattutto diventa un alleato, non più un nemico.
La forza del nostro sapere sta proprio qui: mentre gli altri tamponano e raffazzonano, noi mettiamoci a pensare ai processi a cui dobbiamo dare vita da qui a 100 anni nel futuro. Forse, in questo modo, non saremo ricordati come eroi ma avremo fatto qualche cosa di concreto per migliorare questo povero mondo.

Riccardo DAL FERRO

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