«L’ariete» : un flusso di coscienza a Teheran

Monica Macchi sul romanzo di Mehdi Asadzadeh (*)

Tradurre è un modo defilato e caparbio

per far sbiadire i confini che ci separano dagli altri

e riossigenare l’aria con le loro storie ed i loro pensieri.– Giacomo Longhi

L'ariete - Mehdi Asadzadeh
L’ariete – Mehdi Asadzadeh

Edito da Ponte 33 (casa editrice fondata nel 2010 da Felicetta Ferraro e Bianca Maria Filippini, specializzata in letteratura persiana contemporanea, il cui nome è un omaggio al ponte di Isfahan e alle sue trentatré arcate, da sempre luogo privilegiato di letture e incontri culturali) è ora disponibile in italiano Huch-L’ariete, miglior libro del 2015 secondo la rivista Tajrobe.

Che può inventarsi Hamed, un ventenne di Teheran senza il becco di un tuman che sta facendo il servizio militare e non riesce a dimenticare Samira, la sua ex?

Soprattutto come può salvarla dal destino di finirerinchiusa nei centri commerciali a fare incetta di stivaletti e maschere per i capelli” a cui la condannerà il matrimonio con tal Mehrdad, che nel frattempo le regala “mazzi di fiori grandi come maracas”?

(In realtà scopriamo ben presto che la ragazza non ha alcun bisogno di essere salvata da un destino che ha scelto con caparbietà e anzi “Samira era il centro del mondo e Hamed il suo satellite”: ma proprio il flusso di coscienza dello sguardo maschile rappresenta uno dei punti di forza di questo libro che scardina molti stereotipi sulle donne iraniane sottomesse e chiuse in casa).

Hamed decide per una sorpresa eclatante da recapitare proprio il giorno del matrimonio… ma deve recuperare tanti soldi, troppi, e noi lo seguiamo per ventiquattr’ore in una Teheran che assurge al ruolo di co-protagonista.

Dal parco Saei al Teatro Molavi dove tra nuvole di oppio si susseguono spettacoli improbabili organizzati da studenti alternativi, dal cimitero di Behesht-e-Zahra fino al mattatoio di Kholazil,una piscina incrostata di fango e un milione di polli e galline spelacchiate che bazzicavano in mezzo al ciarpame”, conosciamo una strepitosa galleria di personaggi ritratti chi con affetto venato di nostalgia come il barbiere Homayun che “senza un briciolo di vergogna continua a fare la riga al centro che andava di moda trent’anni fa” e chi con un’ironia feroce come la fauna umana che bazzica i coffe shop apostrofata con un lapidario “la vanità del nescafè”.

Una Teheran che, pur meno distopica, somiglia molto al Cairo di “Vita: istruzioni per l’uso” di Ahmed Naji dove giovani frustrati subiscono regole vetuste e incomprensibili che condizionano e distruggono ogni tipo di relazioni.

Mehdi Asadzadeh
Mehdi Asadzadeh

L’autore, Mehdi Asadzadeh, è anche autore di cinema e teatro e le pagine che raccontano che il padre per alienarsi dal resto del mondo passa intere mattinate davanti alle scazzottate di Bruce Lee  e Jet Li ma come suprema beffa muore “tra un mare di gusci di semini tostati sul pavimento” mentre scorrono le immagini de “La sfida” e Hamed se lo immaginasvegliarsi in un posto completamente bianco e passare qualche minuto a guardarsi intorno per cercare Al Pacino” sono un gioiellino (anche) per i cinefili.

Infine due note di attenzione: la prima è per la copertina disegnata a mano da Iman Raad, grafico iraniano e la seconda è per la splendida traduzione di Giacomo Longhi di un testo non facile da rendere, modellato sull’oralità ed infarcito di slang giovanile, espressioni gergali e triviali, riferimenti culturali (come il cibo o le feste religiose) che vengono poi puntualizzati in un glossario finale.

(*) ripreso da oubliettemagazine.com

 

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