L’arte del teatro di Pascal Rambert con Paolo Musio…

ovvero confidenze di un attore al suo cane

di Susanna Sinigaglia

 

Entra tenendo al guinzaglio un levriero dal pelo lungo1 e si accomoda sulla sedia che lo aspetta sul palco, unico oggetto di scena insieme al giaciglio dove fa accoccolare il cane, che lo asseconda docilmente; l’allestimento scenico è dunque costituito da quello spoglio del Teatro della Triennale, con il retropalco dalla forma arrotondata che ricorda l’abside di una chiesa medievale.

L’inizio del suo monologo è mordace, una riflessione sarcastica sulle varie tipologie di personaggi che si pretendono attori con tutti i luoghi comuni che accompagnano le loro affermazioni sulla propria insopprimibile vocazione (io, il teatro, ce l’ho nel sangue; ecc). Passa al tritacarne ogni relazione si produca in ambito teatrale: fra il regista e gli attori, fra l’attore anziano e l’attore giovane… Suscita ilarità fra il pubblico, che evidentemente riconosce nelle sue caratterizzazioni graffianti situazioni esemplari, ma anche e soprattutto per le espressioni che attraversano il muso del cane in reazione alle sue parole: in un primo tempo si mostra vagamente incuriosito da quel che dice l’attore tenendo eretta la parte anteriore del busto e drizzando le orecchie, ma questo tiepido interesse si trasforma inesorabilmente, come nella sequenza di tesserine animate, in assoluto distacco.

È buffo che parlando di chi è mediocre nella sua professione lo si definisca “un cane” e che in particolare il termine si riferisca spesso a chi fa l’attore. Si potrebbe perciò pensare che il cane rappresenti una specie di alter ego, una presenza che inevitabilmente demolisce – appunto – l’ego a volte davvero smisurato dell’attore. E infatti il cane dopo un certo tempo decide d’ignorare le elucubrazioni, che a tratti diventano invettive, del suo amico-padrone e si sdraia voltandosi verso il retropalco, disinteressandosi sia di lui sia del pubblico.

Così l’attore, privato anche dell’ascolto del cane, resta da solo a inseguire il vortice dei suoi pensieri; si sente tradito, amareggiato perché non trova più nel teatro la passione con cui dovrebbe rapire il pubblico facendogli dimenticare che “la vita è noiosa”; perché il teatro dovrebbe portare commozione e godimento, “strapparti le lacrime”. Qui tuttavia il nostro protagonista non può trattenersi da una battuta pungente sull’attore che gode a provocare il pianto nel pubblico; perché più il pubblico piange, più il suo ego si gonfia ed esalta di fronte alla propria bravura.

Ed è precisamente questo compiacimento di sé uno dei fattori che concorrono a uccidere la poesia, e perciò l’arte del teatro.

L’art du théâtre réclame que l’on jouisse.

Il faut jouir. Il faut faire jouir.

La vie est assommante.

Il faut fairesortir les larmes.

 

L’art du théâtre se transmet dans le sang.

Prends-moi mon sang. Avale mon sang.

Rentre-toi mon sang dans toi.

Refile le sang que je t’ai donné à un autre.

http://www.triennale.org/teatro/pascal-rambert-larte-del-teatro/

http://www.emiliaromagnateatro.com/spettacoli/larte-del-teatro/

 

1 Da una piccola ricerca su Google ho dedotto che fosse un levriero russo.

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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