Las Guerreras

di Maria G. Di Rienzo

Le cifre messicane sono qua: 11 sindaci assassinati lo scorso anno; circa 40.000 persone uccise in scontri relativi alla guerra fra “cartelli” della droga dal 2006 ad oggi (il 90% della cocaina diretta agli Usa passa per il Messico); 5.000 donne e ragazze assassinate a Ciudad Juarez in dieci anni.

Da quest’ultima città si continua a scappare ed il 60% di quelli che vi abitano ancora lo fanno perché sono così poveri da non potersi permettere uno spostamento. Più di 10.000 fra esercizi ed attività economiche hanno chiuso i battenti a Ciudad Juarez da quando la “guerra della droga” è scoppiata quattro anni fa ed ha instaurato quel circolo vizioso che chiudendo ogni altra opportunità spinge le persone ad arruolarsi nei cartelli del traffico.

In quella che una volta era la zona turistica di Ciudad Juarez le mura degli alberghi e dei ristoranti abbandonati si sbriciolano e l’area pullula di poliziotti federali pesantemente armati e con le facce coperte: 50.000 fra soldati e agenti delle forze dell’ordine sono coinvolti nella campagna militare contro i cartelli della droga lanciata, a partire dal 2006, dal presidente messicano Felipe Calderon. La violenza è da allora aumentata in maniera esponenziale, seminando ovunque paura e miseria.

Alcune donne hanno deciso di affrontare la questione e di tentare di risolverla a modo loro. Il motivo, spiega Lorenia Granados, vigile urbano di 42 anni, è che “Abbiamo visto e sperimentato così tanto dolore. Siamo stanche della sofferenza.” Perciò sono nate Las Guerreras (Le Guerriere), un gruppo di donne che girano per la città in sella a grandi motociclette rosa, fornendo assistenza alle famiglie ferite e impoverite dalla violenza. Sono insegnanti, casalinghe, commercianti. Vestite di porpora sgargiante, con la sigla “Las Guerreras” dipinta sui mezzi, sciamano per le strade fra gli applausi e i cori d’incoraggiamento di uomini e donne, di anziani e bambini.

All’inizio di questo mese (giugno 2011) hanno consegnato una carrozzella ad un bimbo disabile di 7 anni che vive in una delle zone più pericolose della città, un posto in cui le sparatorie sono quotidiane. Daniel, il piccolo in questione, non può camminare a causa della mancanza di ossigeno di cui ha sofferto quando era ancora nel ventre di sua madre. La mamma di Daniel è morta nel 2008, colpita alla testa da un proiettile vagante mentre due gang si combattevano all’esterno di un negozio; nel 2009 suo zio, un sacerdote, è stato assassinato davanti alla propria abitazione in pieno giorno; l’anno scorso è toccato a sua nonna: crivellata di pallottole mentre tornava a casa dopo aver fatto la spesa. “Come per la maggior parte delle morti violente in questa città non abbiamo la più pallida idea del perché sono accadute.”, spiega Reveles Dominguez, la zia di Daniel, “I miei parenti non sono coinvolti nei cartelli della droga, siamo gente normale che tenta di condurre un’esistenza normale.” Da tre anni a questa parte la famiglia, di cui fanno parte 6 bimbi traumatizzati dagli eventi, è terrorizzata all’idea di uscire di casa; a causa delle sparatorie ricorrenti gli adulti hanno dovuto chiudere il piccolo negozio che possedevano e ciò li ha lasciati senza introito alcuno.

Ecco perché di una cosa semplice come il dono della carrozzella Reveles Dominguez dice: “Queste donne hanno cambiato la nostra vita.” Non solo perché Daniel, che precedentemente si muoveva solo grazie all’essere trasportato dagli altri, guadagna autonomia e partecipazione, ma perché tutti loro, grazie al gesto delle “guerriere”, hanno guadagnato speranza. Ora pensano e dicono che Ciudad Juarez deve ricostruire se stessa, cambiare, ricominciare.

Anche Lorenia Granados ne è convinta: “Mi auguro che sempre più donne si aggiungano a noi. Potremmo essere anche poca cosa, ma il nostro sogno è di ispirare le persone ad aiutarsi le une con le altre, e di portare speranza alla nostra gente che ha sofferto troppo”.


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