Cidoc, lasciavano volare l’immaginazione

di Aldo Zanchetta (*)

Non fatico a immaginare che il CIDOC, che nel decennio fra il 1966 e il 1976 fu luogo di incontri di culture e di dialogo extra-ordinario, sia per i lettori una sigla priva di significato e il nome di Illich assai meno famoso di quanto lo fu allora. Il CIDOC ebbe la sua sede in un vecchio albergo di Cuernavaca, il Chulavista, nello Stato di Morelos, in Messico, recentemente acquistato dalla UAEM, l’Università Autonoma dello Stato di Morelos. La struttura, rinnovata, é stata inaugurata il 30 agosto appena trascorso, con un seminario di 4 giorni in corso mentre scrivo, dedicato a rivisitare proprio il pensiero e l’azione di Ivan Illich. Decine di vecchi amici e di nuovi estimatori si sono dati convegno per dibattere sul lemma dell’incontro: “In qual genere di tempo stiamo vivendo? Attualità di Ivan Illich durante mezzo secolo” (In what kind of time do we live? Actuality of Ivan Illich through half a century).
Ultimo ad essere stato introdotto nella vasta cerchia dei suoi amici, pochissimi mesi prima della sua morte nel 2002, assente all’evento, lascio scorrere alcuni ricordi.

Un personaggio extra-vagante
Racconta Samar Farage che una volta Ivan Illich, parlando ad amici, si descrisse così: “Io sono un … un … uno ‘zaunreiter‘ in tedesco, che è una vecchia definizione di stregone. Con una gamba io mi appoggio sul terreno a me domestico della tradizione della filosofia cattolica nella quale più di due dozzine di generazioni hanno devotamente coltivato un giardino i cui alberi sono stati accuratamente innestati sui germogli greci e romani. L’altra gamba, quella che dondola all’esterno, è appesantita dal fango rappreso e profumata dalle erbe esotiche che ho calpestato”.

Dall’Africa all’Asia aveva battuto molte piste, ma la sua scelta principale era stata e rimase l’America Latina. Nel dicembre 1960 la percorse per alcuni mesi a piedi e in autostop, da Santiago del Cile a Caracas. Si racconta che, attraversando le Ande boliviane, avesse rimediato una polmonite e una forte insolazione e fosse stato accolto e curato in una casa di contadini.
La sua cultura era vastissima e dotta ma sempre filtrata attraverso l’esperienza concreta, come nel caso della visione che maturò dell’America Latina, extra-vagando fra le sue genti. Era l’epoca dei Peace Corps e della kennediana Alleanza per il Progresso, ma anche dei religiosi della Fidei Donum di Pio XII, riconfermata da Giovanni XXIII, gli uni miranti a scongiurare l’avanzata del comunismo dopo il successo della rivoluzione cubana, gli altri a rafforzare il cattolicesimo “romano” nel subcontinente. L’America latina, senza intrusioni esterne, avrebbe potuto costruire la propria strada in modo autonomo e originale: questa la convinzione maturata nel corso del lungo viaggio. Soprattutto avrebbe potuto emanciparsi senza passare attraverso la mitologia e la devastazione dello sviluppo. In polemica con McNamara, lo sconfitto del Vietnam, cui l’ONU aveva affidato la “missione” dello “sviluppo” mondiale, Illich scrisse: “Quando il terzo mondo perverrà ad essere un grande mercato di prodotti di consumo (quelli che più elegantemente vengono chiamati ‘beni economici’) e delle tecnologie che i ricchi delle nazioni occidentali hanno inventato per proprio uso, la contraddizione su cui è basata la legge della domanda e dell’offerta apparirà sempre più chiaramente. Non sono le automobili che porteranno i poveri nell’ epoca degli aerei a reazione, le scuole non apriranno loro le porte dell’educazione, i frigoriferi non offriranno loro cibi più sani.” Così, rientrato dal viaggio, decise di stabilirsi a Cuernavaca, in Messico, dove dapprima creò il CIF, Centro di Formazione Interculturale, trasformato successivamente in CIDOC, Centro di Documentazione Interculturale.

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Una esperta subacquea e una intrepida navigatrice
Se cercate sul web notizie su Valentina Borremans, troverete ben poco. In un testo di una trentina di righe, in inglese, della biografa di Illich, Martina Kaller-Dietrich, si legge a conferma: “Non è possibile trovare molte informazioni su Valentina Borremans. Nata in Belgio (di origine franco-belga, nda), Borremans operò come amministratrice e direttrice editoriale del CIDOC. Diplomata in una scuola religiosa belga all’età di 18 anni, era esperta di immersione subacquea a grandi profondità ma non in gestione di scuole di lingue né di contabilità.” Secondo una notizia raccolta da alcuni amici di Illich, Valentina sarebbe arrivata in Messico traversando in solitaria l’Atlantico in barca a vela. In un secondo documento, meno stringato del precedente, si legge che, “esperta subacquea di grande profondità”, sarebbe andata in Messico “per dirigere una piccola biblioteca di ricerche sul cambiamento sociale in America latina”.

Nello stesso documento si legge di un suo libro del 1979, con prefazione di Illich,Guide to Convivial Tools (Guida agli strumenti conviviali), nel quale recensisce “in molti casi con brevi annotazioni, 858 libri e articoli su “strumenti comuni orientati alla convivialità e ai suoi nemici”. E’ certo che Valentina una volta giunta in Messico si occupò di una originale ricerca, in un numero imprecisato di diocesi latinoamericane, imperniata sulle relazioni che i vescovi devono redigere in occasione delle loro visite quinquennali ad ogni parrocchia del territorio sotto la loro giurisdizione religiosa, spesso smisurato e inospitale. Quale materiale più genuino per ricostruire un quadro della religiosità reale nel subcontinente? Ne derivarono più di 50mila schede e un numero elevato di “santini”, altra espressione dal basso sul tipo di devozione realmente esistente. Questo materiale costituì il primo nucleo della biblioteca del CIDOC.

Un luogo dove lasciar volare l’immaginazione
IL CIDOC, fra il 1966 e il 1976, divenne punto di incontro di numerosi esponenti della intellettualità critica mondiale e di militanti sociali alla ricerca di alternative al tipo di società allora esistente. Fra le migliaia di frequentatori di ogni paese (oltre 28.000 secondo un dato) alcuni nomi: Paulo Freire, Erich Fromm, Paul Goodman, Herbert Marcuse, Jean Pierre Dupuy, Lee Hoinacki, Gerhart Ladner, Susan Sontag, Franco Basaglia, Helder Camara, Everett W. Reimer , Francisco Julião (strappato grazie a Illich, non è chiaro come, alle prigioni della dittatura brasiliana), Boaventura de Souza Santos, Jean Robert, Everett Reiner, Gustavo Esteva, Grimaldo Rengifo (poi co-fondatore del PRATEC in Perù), Sylvia Marcos, Arturo Escobar… Una rosa eccezionale di filosofi, sociologi, psicologi, psichiatri, educatori, teologi, operatori sociali… appartenenti a varie scuole di pensiero. Del CIDOC Illich diceva: “In questo luogo lasciamo volare l’immaginazione. Qui nessuno ci paga per pensare, e così pensiamo liberamente.”
Il CIDOC si autofinanziò con le attività della parallela Scuola di lingue dove Illich “intercettava” centinaia di volontari dei Peace Corps o della Fidei Donum, per far apprendere loro lo spagnolo ma soprattutto per convincerli a tornare alle loro case con una migliore coscienza autocritica. Con molti riuscì, altri proseguirono verso il sud ma almeno con una più solida conoscenza delle culture e delle situazioni sociali in cui avrebbero operato.

Da velista e subacquea a manager multiforme
Un centro di incontri della portata del CIDOC necessitava, per il suo tumultuoso avvicendarsi di persone e di iniziative, di una macchina organizzativa gestita con adeguate capacità. E’ ciò che Valentina fece. Il Cidoc aveva anche una propria stamperia. “Le sue pubblicazioni furono un grande successo editoriale. I Cuadernosdel Cidoc erano «volumetti rilegati all’interno del Centro stesso, stampati con una velocità e un’autonomia inaudite per la tecnica editoriale dell’epoca. In questi Quaderni vennero pubblicate le prime edizioni in spagnolo di testi classici della pedagogia del XX secolo, come ‘La scuola è morta’ di Everett Reimer (1973) e ‘Descolarizzare la società’ di Illich, insieme a importanti contributi di eminenti pedagoghi come Freire […] Venne creata una biblioteca che sarebbe arrivata ad annoverare 7000 volumi, oggi intatta e microfilmata nella sede del Colegio de México, nel Distretto Federale. […] Grazie a Valentina Borremans, bibliotecaria e instancabile editrice di tutto il materiale che fosse riproducibile, si arrivò a contare, nei momenti più fecondi, fino a 500 pubblicazioni all’anno. […] Il CIDOC diventò la maggior casa editrice messicana in termini di titoli pubblicati annualmente”.

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Ocotepec
Dopo 10 anni di attività Illich, assieme ai collaboratori, decise la chiusura del CIDOC, per una concomitanza di ragioni: il suo successo che rischiava di trasformarlo in una “istituzione”, cosa alla quale Illich era allergico, le crescenti difficoltà economiche del paese, in piena inflazione. Ma non furono estranei anche episodi oscuri che attentarono alla vita di Illich. Il suo operato non era sfuggito alla CIA, e Illich temette anche per la vita dei suoi collaboratori. Decisa la chiusura Illich “colse l’occasione per tenere ai collaboratori un corso accelerato in economia finanziaria internazionale. L’edificio che ospitava il CIDOC venne venduto e (il ricavato assieme ai fondi di riserva dell’istituto distribuiti). I collaboratori ottennero la loro liquidazione e Illich investì il suo ricavato in una casa nel villaggio vicino, a Ocotepec. Si trasferì là anche la sua fidata amministratrice, Valentina Borremans, con una selezione di materiali cartacei, i resti dell’avventura. Prima della chiusura definitiva vennero invitati ancora una volta tutti gli amici ‘per un’ultima danza al Cidoc’ e fu sicuramente ‘la più bella festa’ dalla sua creazione” come scrisse Illich a un amico. “Ocotepec divenne per lui un rifugio contro gli assalti di giornalisti avidi di notizie ai quali evitava accuratamente di far conoscere il suo nascondiglio. […] Ad Ocotepec nessuno lo chiamava ‘lo straniero’, e ancor meno ‘el gringo’. Era don Ivan. Nel barrio de los Ramos tutti lo conoscevano anche come ‘lo scrittore’. Negli anni in cui aveva condiviso le sorti dei paesani, molti uomini gli avevano reso l’onore di sceglierlo come padrino. Conosceva ogni vicino, partecipava a feste e celebrazioni nella chiesetta del barrio. Intavolava conversazioni con uomini e donne di ogni età. […] Con i suoi amici del barrio, questo storico era soprattutto uno stupendo narratore. Era capace di intrecciare senza la minima pedanteria avvenimenti recenti del villaggio con modi di vedere propri di altre età…”. I suoi anni dopo quel momento vennero divisi in un semestre in giro fra prestigiose università di vari paesi dove veniva invitato come visiting professor e sei mesi nel villaggio.

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La conclusione del simposio tenuto a Cuernavaca nei giorni scorsi. Foto tratta da adnmorelos

Un omaggio a Valentina
E’ a Ocotepec che Brunella ed io avevamo conosciuto Valentina, in un giorno imprecisato di un anno incerto nella memoria, il 2004 o 2005. Sembra, a detta del nostro accompagnatore, Jean Robert, che le avessimo ispirato simpatia. Da allora però solo qualche contatto via mail. Nel febbraio scorso Valentina ci scrisse che sperava di rincontrarci a Cuernavaca per il grande seminario di fine agosto. Dopo una sopraggiunta impossibilità, auspicò una nostro incontro a Parigi in occasione di un suo soggiorno nella città.
L’appuntamento, alle 11 del 6 agosto al Café Medard, un incantevole angolo del Quartiere Latino a noi ignoto. Non fosse per i molti bistrot e i piccoli negozi di specialità alimentari di varie regioni, avremmo potuto sentirci in un piccolo villaggio della provincia francese. Impreziosiscono il luogo una vecchia e grande libreria, una fontana con un getto d’acqua generoso, un piccolo parco giochi per bambini, il tutto attorno alla piccola chiesa medievale di Saint Medard, un vescovo molto venerato nel V secolo, la cui memoria è tutt’ora tramandata da molti detti popolari quali: “Pluie de Saint-Médard, tarit le vin et coupe le lard” (Pioggia di San Medardo, spilla il vino e taglia il lardo). (Un luogo da non perdere, se andate a Parigi. Annotatevi la stazione metrò: Mouton Duvernet). Pochi minuti prima delle 11 vediamo Valentina attraversare la minuscola piazza. Le andiamo incontro ad abbracciarla. Ci sediamo di nuovo al caffè e conversazione comincia a snodarsi facendosi via via più sciolta per proseguire più tardi nella convivialità di un piccolo gustoso bistrot da lei suggerito. “Qui a Parigi mi sento sicura e sono tranquilla. Non come in Messico” ci dice sorridendo. Tutto è relativo. Nel pomeriggio ci lasciamo, lieti dell’incontro ma con la inespressa consapevolezza da ambo le parti che probabilmente non ci sarà un terzo incontro.

In questi giorni in quello che fu l’Hotel Chulavista, oggi sede universitaria, il nome di Illich risuonerà ripetutamente. Ho voluto ricordare Illich e questo nuovo incontro internazionale ma soprattutto la sua spalla al CIDOC, Valentina, trasformata dalle occasioni della vita da esperta velista a solida amministratrice, oggi appartata custode testamentaria dei diritti concernenti le opere di Illich, ma tuttora operosa nella casa di Ocotepec. Come ci ha comunicato durante l’incontro, presto verranno pubblicati negli Stati Uniti alcuni testi inediti passati al suo vaglio rigoroso. Grazie per tutto questo, Valentina!

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RITORNO A CUERNAVACA

Nei giorni 30 e 31 agosto e 1 e 2 settembre, molti che furono amici e collaboratori di Illich si sono ritrovati, assieme a studiosi del suo pensiero, in un seminario pubblico a Cuernavaca per celebrarne il ricordo e rivendicare l’attualità del suo pensiero. Il lemma del seminario era: “In qual genere di tempo stiamo vivendo? Attualità di Ivan Illich attraverso metà secolo“. (In what kind of time do we live? Actuality of Ivan Illich through half a century).

Una riflessione del tutto personale
Nella presentazione del precedente seminario tenutosi a Cuernavaca nel 2006, Jean Robert e Javier Sicilia, che di Illich furono amici, scrissero: “Furono tempi di effervescenza intellettuale. Nei seminari e negli scritti di Illich si elaborarono concetti alcuni dei quali sono divenuti di dominio pubblico: la controproduttività, il monopolio radicale, la colonizzazione del settore informale, i valori vernacolari, per citarne solo alcuni, senza dimenticare il più importante. Il concetto stesso di “strumenti”. Si trattava di costituire “una cassetta di attrezzi intellettuali per i grandi dibattiti maturi di fine secolo”. Questi grandi dibattiti maturi hanno ritardato, però non sono divenuti meno necessari; per questo dobbiamo fare tesoro dello strumento critico elaborato allora. Ogni uomo moderno dovrebbe mettere in dubbio nel suo foro interiore le certezze moderne. Chi voglia farlo troverà gli strumenti nell’opera di Ivan Illich”.

Personaggio “extra-vagante” rispetto alla “doxa”, critico radicale della modernità, “liberatore della mente” (Erich Fromm) con le sue provocazioni, il pensiero di Ivan Illich può di nuovo essere prezioso nella presente crisi? E, forse in anticipo sui tempi, è ora giunto il momento della sua attualità, come ha scritto Giorgio Agamben nella prefazione della nuova edizione italiana del(contestato, quando uscì nel 1982) libro Genere, Per una critica storica dell’uguaglianza (Neri Pozza, 2013, pag.17): “Molti segni lasciano congetturare che anche in questo ambito (quello del libro, nda), il pensiero di Ivan Illich abbia raggiunto l’ora della sua leggibilità. Ma questa non sarà possibile fino a quando la filosofia contemporanea non si deciderà a fare i conti con questo maestro celeberrimo e, tuttavia, ostinatamente mantenuto ai margini del dibattito accademico”.

Ma da uomo comune mi chiedo: il destino di Ivan Illich è solo quello di essere oggetto di un futuro auspicato dibattito accademico o è innanzi tutto quello fra gente comune, come chi scrive? Nella prefazione all’edizione italiana di Disoccupazione creativa scriveva:

Oggi, simbolo di competenza tecnica avanzata e illuminata è la comunità, il quartiere, il gruppo di cittadini che, fiduciosi nelle proprie forze, si dedicano ad analizzare sistematicamente e di conseguenza a ridicolizzare i bisogni, i problemi e le soluzioni definiti sulle loro teste dagli agenti delle istituzioni professionali. Negli anni Sessanta l’opposizione dei profani ai provvedimenti pubblici basati sulle opinioni degli esperti pareva ancora fanatismo antiscientifico. Oggi la fiducia dei profani nelle scelte politiche basate su tali opinioni è ridotta al minimo. Sono migliaia ormai coloro che fanno le proprie valutazioni e s’impegnano, con molti sacrifici, in un’azione civica sottratta a qualunque tutela professionale, procurandosi le informazioni scientifiche di cui hanno bisogno con sforzi personali e autonomi. Rischiando a volte la pelle, la libertà e la rispettabilità, esprimono un nuovo e più maturo atteggiamento scientifico”.

(*) tratto da http://comune-info.net/

 

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