Lavoratori come farfalle: la storia di una disfatta

di Mauro Antonio Miglieruolo

Un libro piccolo, poco più di cento pagine, ma di grande contenuto. Anzitutto perché offre un quadro veritiero del presente, del perché della crisi e della gestione antipopolare ed antidemocratica di essa, delineando nel contempo la storia cruda e molto amara della sconfitta del lavoro; poi perché lo fa con un linguaggio leggero, accessibile, chiaro, privo delle reticenze alle quali ci hanno abituato politici e sindacalisti in questi ultimi decenni.
Il paradosso di questa sconfitta è che viene dopo una stagione di lotte quale mai in precedenza, dopo il biennio rosso 1919-1920 e l’occupazione delle fabbriche, si era verificate in Italia. In un tempo brevissimo che possiamo collocare tra la linea dell’EUR (il cui vero inizio è l’intervista di Repubblica del 24 gennaio 1978 a Luciano Lama, intervista intitolata “Lavoratori stringete la cinghia”) e “la marcia dei quarantamila” (capi e capetti) del 4 ottobre 1980*, il movimento che fino a quel momento era stato all’offensiva, si ritrova a dover ripiegare incalzato dal padronato. Dando avvio a una ritirata i cui esiti negativi sembrano lontano dall’essersi conclusi.

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Chi come me ha vissuto quei momenti ricorda bene lo sgomento – e lo sbandamento – prodotto da quegli avvenimenti. Personalmente avevo iniziato a rendermi conto dell’involuzione almeno dal 1973: da quel momento i rapporti con i militanti di base del PCI iniziarono a diventare difficili; e difficilissimi dal 1976, con il primo governo di solidarietà nazionale con la partecipazione del PCI. Mai però avrei immaginato un voltafaccia quale quello che poi si è verificato e soprattutto l’acquiescenza masochistica della CGIL (non almeno che prendesse forma in quella spettacolare dimensione). La quale CGIL, cercando e trovando legittimazione nel padronato, si è illusa di poter mantenere un ruolo anche mettendosi contro, come più volte è successo, gli interessi e la volontà manifesta dei lavoratori. L’emarginazione attuale, che gli attacchi di Renzi mettono solo in evidenza, è la conseguenza ultima di quel voltafaccia.
Giorgio Cremaschi, altissimo ex esponente della FIOM, traccia bene la storia che ha portato alla situazione attuale. Lo individua nel passaggio dalle “rivendicazioni incompatibili” al consociativismo, cioè al moderatismo salariale, alla fine degli aumenti uguali per tutti, alla subordinazione delle ragioni dell’impresa. Nonché nelle pratiche burocratiche che da un certo momento in poi portarono alla fine dei consigli di fabbrica e dell’unità sindacale.

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Ma la parte più preziosa del libro è il finale, quando mostra come, contrariamente a quanto tenta di far credere il padronato, la partita non è ancora chiusa. Che esistono margini di lotta e di successo (porta diversi esempi) anche in questa oscuro momento di crisi, nonostante le delocalizzazioni e la dimensione mondiale sulla quale si muovono i capitali. Soprattutto cerca di sfatare la leggenda che sia proprio la delocalizzazione la barriera principale contro la quale sono destinate fatalmente a infrangersi le lotte operaie. Ma poiché il ricatto padronale viene esercitato anche dalle grandi imprese commerciali, legate necessariamente al territorio, è chiaro, dice Cremaschi che si tratta di uno spauracchio. Lo stesso vale per i trasporti e per le attività a altissima tecnologia (mi permetto di aggiungere), là dove le competenze sono essenziali e non sono facilmente ricambiabili. Eppure il ricatto si esercita anche in questi settori.
Superare la paura, è il messaggio che sintetizza l’opera. Là dove i lavoratori superano la paura, vanno oltre l’offuscamento ideologico con il quale si cerca di renderli inermi, e mettono in atto azioni di lotta, queste spesso riescono a essere vincenti.
Unico appunto che mi sento di rivolgere al testo di Cremaschi, un appunto forse ingeneroso, è che si limita a una fedele descrizione dei fatti, che non analizza politicamente. Tutto sembra succedere in conseguenza di errori politici e dell’astratta esistenza di differenze di linee nelle quali gli errori giocano un ruolo decisivo per assicurare la prevalenza di quelle di destra. Completamente fuori dalla sua prospettiva sembra essere una analisi di classe delle lotte che si sono sviluppate di Italia. La quale analisi avrebbe mostrato che almeno dal 1943 il “collaborazionismo” di classe, di là dai contrasti nelle scelte politiche quotidiane, alimentate più dal reazionarismo democristiano (e imposizioni USA), costituiva l’asse portante delle scelte del PCI. Il quale per anni, fino almeno ai primissimi anni Settanta, ha in parte subito (più che voluto) la spinta allo scontro da parte delle masse, che rispondevano all’iniziativa reazionaria del padronato. Se questa vocazione moderata non è uscito allo scoperto prima (negli anni Cinquanta) era per la presenza delle aspirazioni comuniste che esistevano in gran parte della base (e della stessa struttura del partito) e per l’inevitabilità di una situazione internazionale (Guerra Fredda) che non gli lasciava altra strada, per non essere distrutto, che condurre un’opposizione radicale. Il maccartismo dunque non solo è servito a polverizzare l’opposizione di classe negli Stati Uniti d’America, ma anche a coprire l’involuzione dei partiti comunisti nel mondo (a partire da quello italiano e quello francese).
Ma Cremaschi è un sindacalista, un buon sindacalista, con tutti i limiti che questo comporta. Non può vivere che dentro le prospettive offerte dal suo mestiere. Ce ne fossero come lui!
Concludo invitando a comprare e leggere il suo bellissimo “Lavoratori come farfalle”, collana “fuoripista” delle Edizioni Jaca Book (settembre 2014). Costo Euro 12.
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* A cui fece seguito, con rapidità sospetta, lo sbracamento sia delle organizzazioni sindacali che firmarono contratti capestro; e sia dello stesso PCI di Berlinguer, che pure aveva promesso di sostenere i lavoratori anche in caso di occupazione della fabbrica.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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