Lavoro a distanza: aspetti critici

materiali ripresi da ideeinformazione (*)

La pillola sul lavoro a distanza

di Giorgio d’Amico

Detesto le locuzioni “smart working” e “lavoro agile” per due motivi: il primo è che sono locuzioni senza senso – smart working è addirittura inesistente nella lingua inglese (potremmo elegantemente definirla uno “pseudoanglicismo”!) – il secondo è che i due aggettivi tradiscono un pregiudizio immediatamente favorevole, mentre il mio obiettivo è proprio quello di discuterne alcuni aspetti critici nonostante il diffuso entusiasmo che sembra esserci attorno a questa modalità di lavoro.
Si sottolinea spesso il forte aumento di produttività che ci si può attendere dalla diffusione del lavoro a distanza [1], ora un aumento di produttività che dipenda solo dalla modalità con cui la prestazione lavorativa viene effettuata è possibile solo se il lavoro stesso viene riorganizzato assegnando precisi obiettivi a ogni lavoratore in modo da renderlo maggiormente autonomo e responsabile, se invece una tale riorganizzazione non si realizza e il lavoro mantiene la sua struttura verticale per funzione la produttività può crescere solo se aumentano le ore lavorate[2].

Altri aspetti sembrano più chiaramente positivi:
riduzione del traffico veicolare e quindi dell’inquinamento atmosferico, anche se la riduzione della mobilità urbana ha conseguenze importanti sull’erogazione di servizi quali bar e ristoranti
riduzione, per le aziende, degli spazi necessari a ospitare i lavoratori e dei relativi costi, anche se, su larga scala, questa riduzione può avere conseguenze sull’assetto urbanistico delle città: edifici in gran parte vuoti o abbandonati che devono trovare destinazioni differenti
possibile rivitalizzazione dei piccoli centri, che però devono rendere disponibili le indispensabili infrastrutture comunicative: un decente accesso a internet manca tuttora in buona parte d’Italia

Ci sono poi le ripercussioni sulla vita del singolo lavoratore. Per lavorare bene da casa propria sono necessari alcuni prerequisiti:
— bisogna
disporre di spazi adeguati, che consentano al lavoratore che non viva da solo di potersi isolare
— se ci fossero più membri della stessa famiglia che lavorano, o studiano, da casa occorre
disporre di un adeguato numero di personal computer o tablet o simili dispositivi, oltre che di un accesso alla rete opportunamente efficiente
— il lavoratore deve
riuscire a padroneggiare completamente gli ambienti software che gli consentono sia di accedere ai propri dati sia di interagire con i colleghi
— se il lavoratore ha anche compiti di cura o di assistenza per altri familiari (bambini o anziani o disabili) è necessario che ci siano altre persone che assolvono a questi compiti, per
consentire al lavoratore di non essere soggetto a stress troppo intensi
— è indispensabile che venga chiaramente stabilito un
limite temporale alla prestazione lavorativa, o, se si vuole, che venga affermato il diritto alla disconnessione, per evitare che il “tempo del lavoro” diventi l’intera giornata

Questi prerequisiti portano con sé alcune inevitabili conseguenze:
il lavoro da casa accentua le disuguaglianze sociali ed economiche perché solo chi è nella condizione di soddisfare tutti i prerequisiti può lavorare proficuamente da casa e quindi gli strati più deboli economicamente o culturalmente della popolazione sono certamente svantaggiati: per essi il lavoro da casa è tutt’altro che smart o agile!
Il lavoro da casa può essere fonte di forte stress se non ci si possono permettere gli aiuti domestici necessari per gestire il lavoro di cura
Il lavoro a distanza deve quindi essere volontario e non imposto dal datore di lavoro, e deve essere accuratamente regolamentato per separare chiaramente il tempo libero da quello del lavoro

C’è un’ultima, e secondo me importante, considerazione: la diffusione del lavoro da casa, o comunque a distanza, può accentuare la polverizzazione del lavoro e certamente isola il lavoratore dal suo contesto lavorativo. Il lavoratore è quindi molto più solo nel suo rapporto col datore di lavoro e un lavoratore solo è un lavoratore debole: solo se è in possesso di professionalità elevate può pensare di gestire bene il rapporto col datore di lavoro. Tutto ciò non può che accentuare le disuguaglianze sociali, culturali e di genere e quindi si aprono molti interrogativi per le organizzazioni sindacali.

[1] https://www.ilsole24ore.com/art/lavoro-2-aziende-3-smart-working-anche-l-emergenza-AD6MqPr
[2] https://www.digital4.biz/hr/smart-working/smart-working-che-cos-e-a-cosa-serve-e-perche-e-cosi-importante-per-il-business/

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Un’inchiesta sul lavoro da casa

L’emergenza sanitaria Covid-19 ha determinato un utilizzo massivo ed improvviso del “lavoro da casa”, finalizzato allo scaglionamento della presenza all’interno dei luoghi di lavoro. Molte e molti si sono quindi ritrovati di punto in bianco, senza alcuna formazione e spesso utilizzando i propri strumenti, a dover ricavare uno spazio in casa per poter svolgere le proprie mansioni.
La Rete lavoratrici e lavoratori agili – Italia ha promosso agli inizi di ottobre un questionario tra gli “smart-workers” per conoscere dai diretti interessati come abbiano organizzato il lavoro da casa, quali i vantaggi e gli svantaggi, quali le difficoltà materiali e psicologiche che ognuno e ognuna di loro si è trovato ad affrontare, spesso in solitudine.

I primi risultati di questa indagine sono stati presentati nel corso di alcune iniziative, tra cui “SMART WORKING TRA NARRAZIONE E REALTÀ”, del 18 dicembre 2020.

Come Ideeinformazione abbiamo avviato una riflessione su queste tematiche, proponiamo quindi come contributo alla discussione i primi risultati dell’inchiesta e rimandiamo alla pagina FB della rete per chi volesse partecipare al sondaggio, che è ancora in corso.

INCHIESTA SUL LAVORO DA REMOTOscarica il pdf

Analisi dei dati dell’inchiesta di Nadia Rosa – Rete lavoratrici e lavoratori agili – Italiascarica il pdf

(*) www.ideeinformazione.org

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Sul medesimo tema del alvoro a distanza segnalo questo mio articolo, di taglio più rivolto al conflitto di calsse, su La Città Futura https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/dal-lavoro-a-cottimo-allo-smart-working

  • Gian Marco Martignoni

    Ottima inchiesta, che deve essere diffusa e possibilmente socializzata , per quanto mi riguarda in Cgil e in particolare con la Fondazione Di Vittorio, che già si è occupata del tema . Mi sembra utile riprendere quanto ha detto Raffaele Guariniello nell’ ottima intervista a Left del 30 Ottobre :” Si sta facendo passare lo smart working come una specie di scudo penale, nel senso che il datore di lavoro non si deve occupare del della salute e la sicurezza del lavoratore. Bisogna dire ai lavoratori e ai rappresentanti sindacali non siete senza tutele, se ve lo fanno credere vi stanno ingannando “. Infatti, Guariniello segnala la cogenza dell’articolo 3 comma 10 decreto 81 del 2008 e i principi stabiliti dagli articoli 22-23 della legge n. 81 del 2017.Quindi, sempre secondo Guariniello , ” il datore di lavoro deve fornire attrezzature sicure, deve garantire la salute ai lavoratori adibiti al videoterminale, addirittura si prevede ispezioni nei luoghi dove si fa il telelavoro per vedere se sono osservate le norme di sicurezza ” . Come si può capire ci sono ampi margini di intervento sia sul piano della contrattazione sindacale che dell’applicazione delle norme della sicurezza, al di là dell’unilateralità dei datori di lavoro privati e pubblici .Ma in nostro soccorso può forse essere utile l’opinione di Vito Totire ,

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