Lavoro e dignità: guerra fra poveri
di Daniela Pia,
Oggi, dopo una concitata mattina al lavoro, in cui mi sono trovata ad essere ubiqua mio malgrado, intorno alle 13, sono tornata a casa e, mentre parcheggiavo, sono stata intercettata dalla signora della lavanderia di fronte che mi ha detto:
“Senti, ho letto la lettera di una tua collega , nell’Unione Sarda di oggi. Ascoltami bene dovete solo ringraziare che avete un lavoro, lo stipendio, la tredicesima. Lo dico a te perché pensavo che a qualcuno lo dovevo dire mentre leggevo.”
Sono contenta, le ho detto, ma mi farebbe piacere che ogni tanto ci si potessero scambiare i ruoli. Tu ti gestisci i miei studenti 28, per classe, compresi i diversamente abili, i dsa, i bes e altri acronimi in via di definizione, mentre io stiro ascolto musica e vago con la mente fra pensieri più o meno ameni.
Mi ha guardato un poco interdetta e ha convenuto che forse non tutto era così semplice e che, a suo dire, avrei dovuto ” dirlo al ministro” .
Intanto mi accontento di averlo detto a lei, donna Margherita della premiata lavanderia, ma non posso non riflettere sulla dissoluzione del senso che viene attribuito alla dignità del lavoro. È sentire diffuso che il lavorare sia una sorta di regalo. Che chi si batte per vedere riconosciuto il ruolo che riveste, affinché non sia delegittimato, sminuito e degradato, dovrebbe tacere e, a detta di molti, ringraziare tutti i santi oltre a baciare la terra calpestata dal suo datore di lavoro. NESSUNO pare ricordi più quanto afferma il dettato costituzionale e cioè che ” L’ Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”: non sul lavoro clientelare. Non sul lavoro saltuario. Non sulla ricerca infinita del Lavoro ma su un lavoro dignitoso che rifugga i compromessi e che sia inteso come Diritto. Un diritto alla base della tutela della dignità della persona.
Chi si spende, anche individualmente, affinché il piatto dove viene servito il cibo del lavoro sia integro e pulito, lo fa non solo per sé ma anche per coloro che si ciberanno da quel piatto. Pretende che quel piatto sia lindo. Che non abbia etichette. Che possa sfamare dignitosamente chi vi si avvicina. Si batte anche perché chi ha un lavoro non sia avvertito come il nemico e lo racconta affinché si rifletta sull’idea che ad essere nemico del lavoro è un sistema di “divide et impera” creato da una politica becera, responsabile della dissoluzione dell’idea di Lavoro: “Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro. Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. Il lavoro non è un diritto; Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”. Così diceva la lacrimevole ministro Elsa Fornero al Wall Street Journal. Una donna privilegiata, con prole privilegiata, che parlava di sacrifici ai sacrificati sulla croce di un lavoro-Godot, una signora che si arrogava il diritto di formulare simili eresie sulla pelle di tanti disperati. Eppure, in maniera subdola e strisciante, sta passando l’infame idea che bisogna stare zitti e ringraziare: di sopravvivere, di vivacchiare, di tirare a campare. Fa specie sentire sempre più spesso che, quanto sostenuto dalle Fornero di questo mondo sia stato assimilato, digerito e risputato addosso a chi condivide la fatica del vivere quotidiano. Fa paura sentire le Margherite, affermare che di debba ringraziare una qualche indefinita deità per poter essere annoverati fra gli eletti all’olimpo del lavoro. Significa aver rinunciato, anche inconsapevolmente, a più di un secolo e mezzo di lotte, di sacrifici e di sangue di lavoratori che hanno combattuto contro lo sfruttamento, rivendicando condizioni di lavoro dignitose anche per le generazioni future.
D’accordissimo su tutto, grazie per aver messo su carta queste parole, che i più stanno dimenticando, insieme alla propria dignità.
Silvana Fracasso