Lavoro: omicidi in guanti bianchi

Articoli di Vito Totire e di Turi Palidda. A seguire link a Giorgio Cremaschi e Angelo D’Orsi

Ancora un lutto in fabbrica: a Busto Arsizio

di Vito Totire (*)

Un’organizzazione del lavoro che genera morte e orfani

Ancora non è sbollita la rabbia per l’omicidio sul lavoro di Luana D’Orazio che la morte in fabbrica colpisce ancora; la vittima è Christian Martinelli, 49 anni, secondo le cronache rimasto schiacciato da un tornio a Busto Arsizio, nell’azienda Bandera. Lascia la moglie e due povere bambine piccole. Si lamentava in famiglia che erano in pochi. Spesso a uccidere è la sproporzione tra il carico di lavoro e le possibilità umane di sopportarlo. Leggi adeguate per la prevenzione esistono ma rimangono sulla carta. Il Parlamento italiano ha varato un testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, il decreto 81/2008. Per la verità un testo unico era previsto dalla legge 833/1978 e doveva essere redatto entro il 31.12.1979! E’ arrivato con un ritardo di quasi 30 anni e, per stimoli provenienti dalla UE, ha inserito la valutazione del distress lavorativo. Ma il rispetto delle leggi se non viene “ricordato” ai padroni dall’azione sinergica della forza operaia e della azione degli organi ispettivi, CADE NEL DIMENTICATOIO perché organizzazioni tese solo al profitto e alla competitività uccidono, a volte anche per “risparmiare” pochi euro. Tanto il più delle volte i costi delle stragi e delle morti operaie vengono scaricati sulla collettività.

Quando la moglie dell’operaio morto parla delle lamentele del marito denuncia una organizzazione del lavoro che spreme e usura ma sulla quale i lavoratori non intervengono perché i rapporti di potere sono sfavorevoli mentre gli enti ispettivi non si muovono perché indeboliti, “rimodulati”, sotto organico o impegnati in altri compiti (come è successo durante l’epidemia).

TUTTO QUESTO DEVE CAMBIARE: IL MONDO DEL LAVORO E’ DIVENTATO UNA TRINCEA BELLICA MA GLI OPERAI /LE OPERAIE NON HANNO RICEVUTO NESSUNA DICHIARAZIONE DI GUERRA

Bisogna rafforzare una RETE TERRITORIALE E NAZIONALE PER LA PREVENZIONE CHE SIA IN GRADO DI INTERVENIRE “IL GIORNO PRIMA” DENUNCIANDO LE CONDIZIONI DI LAVORO INSOSTENIBILI , CESTINANDO I DOCUMENTI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO REDATTI A TAVOLINO O MAI ESTRATTI DAL CASSETTO, SOSTENENDO LE POSSIBILITA’ DI AUTODIFESA DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI.

(*) Vito Totire, medico del lavoro, portavoce della «Rete nazionale per l’ecologia sociale»

Morti, feriti e ammalati al lavoro. Niente prevenzione, niente sicurezza, ma tante polizie

di Salvatore Palidda

La morte al lavoro di Luana D’Orazio, ventiduenne madre di un bambino, ha solo in piccola parte svelato la tragedia delle morti sul lavoro che si ripetono continuamente: sono 3 al giorno ma a queste si aggiungono oltre 130 mila incidenti più o meno gravi che a volte lasciano invalidi a vita le vittime … e ancora tanti ammalati per contaminazioni tossiche tipiche di tante attività. Il paradosso è che negli anni scorsi con le lotte è stata conquistata una normativa che sulla carta è buona. Ma non è applicata né fatta rispettare. Manca la prevenzione e quindi la protezione di chi lavora. Come ci dicevano alcuni operai durante un’inchiesta nel 2009: «Ogni giorno andiamo a lavorare come se andassimo in guerra! Rischiamo incidenti o di morire». La causa di questa assenza di prevenzione e di protezione è evidente ma le autorità la ignorano, un’ignoranza che di fatto è criminale! Dal 1990 in poi le agenzie di prevenzione e controllo (ispettorati del lavoro, ispettorati ASL, INAIL e anche RLS e RLST cioè responsabili sindacali per la sicurezza) sono state indebolite o ridotte a fare ben poco. A fronte di milioni di imprese in tutta Italia gli ispettorati del lavoro hanno solo 4500 dipendenti spesso costretti a stare in ufficio in mezzo alle scartoffie e quindi poco impiegati per ispezioni di controllo. Gli addetti alla prevenzione e ai controlli delle Asl sono rimasti 2 mila in tutta Italia! (erano 5mila ancora nel 2009). Gli ispettori dell’Inail sono ridotti a solo 246. Ciononostante quando questi ispettori riescono a fare controlli si scopre che oltre l’80% delle attività economiche non sono in regola [1]. Spesso gli impianti di sicurezza non sono messi in funzione perché frenerebbero i ritmi produttivi che i padroni vogliono sempre più veloci. E in generale le autorità fanno finta di non sapere che circa il 35% del PIL è dovuto alle economie sommerse, cioè lavoro semi-nero e nero, a rischio di incidenti, oltre che di evasione fiscale e contributiva. 

Eppure l’Italia è il paese che ha in proporzione agli abitanti più polizie. Ma per quale sicurezza? [2]   

Dal 1990 in poi tutte le autorità non fanno altro che assecondare il discorso demagogico contro le insicurezze (di comodo) attribuite a immigrati, marginali, tossicodipendenti o presunti sovversivi. Il signor Salvini quando era ministro degli Interni si è guardato bene di dire alle polizie di andare a controllare le attività al nero nei suoi feudi elettorali come per esempio la Valle della gomma dove si strappano al nero guarnizioni per auto a 2 euro per mille pezzi. Nessun governo ha varato un vero e proprio programma di bonifica delle economie sommerse che fra l’altro significano evasione fiscale e collusioni con la criminalità organizzata. Le vittime di queste economie sono italiani e immigrati stranieri. Ma queste vittime e chi rischia la vita sul lavoro vengono ignorate, non hanno diritto ad alcuna protezione. Allora perché non si riqualifica metà del personale delle polizie e lo si destina alla prevenzione e il controllo dell’insicurezza e delle irregolarità nelle molteplici attività economiche?

La risposta è una sola: le economie sommerse valgono 10 milioni di voti!

Perchè sono circa 10 milioni gli italiani che “beneficiano” di lavoro semi-nero e nero, quindi di evasione fiscale e contributiva e di abusivismi. Nessun partito osa mettersi contro questo elettorato. E il presidente della Repubblica che si commuove a ogni morte sul lavoro o su casi di neo-schiavitù perché non dice nulla su questo? E perché il Recovery Plan o PNRR varato dal governo Draghi IGNORA questa realtà? Si legittima così il fatto che l’economia nazionale si nutre di economie sommerse e delle loro vittime!    

[2] Vedi il mio libro «Polizie, sicurezza e insicurezze», Meltemi, 2021

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LE VIGNETTE – scelte dalla bottega – sono di Mauro Biani: vecchie ma purtroppo sempre vere. Il disegno è ripreso da illavorodebilita.wordpress.com

 

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Un commento

  • Gian Marco Martignoni

    L’ultimo concorso all’Ispettorato del lavoro è stato effettuato nel 2006, così come nel resto della P.A. Pertanto, i controlli ispettivi sono ridotti al lumicino sia nei luoghi di lavoro che nei territori, basta pensare alle centinaia di migliaia di cantieri e al lavoro in agricoltura, per cui la necessaria deterrenza è stata cancellata attraverso il via libera alla competizione giocata sulla riduzione del costo del lavoro, dei salari e degli investimenti in prevenzione e sicurezza. Per la cultura del piccolo e bello i controlli dovevano essere ridotti a pura formalità, così come il sindacato è meglio che non debba varcare i cancelli delle piccole e medie imprese. Per non parlare del nodo del sommerso, giustamente evidenziato da Turi Palidda, i cui dati in morti e feriti non rientrano nella contabilità nazionale. Leggevo l’altro giorno su Il manifesto che i Europa un infermiere cura sei pazienti di media, mentre in Italia se ne deve sobbarcare ben undici. Facciamo un parallelo rispetto agli enti ispettivi, e allora comprendiamo perchè per l’ennesima volta rischiamo le solite lacrime di coccodrillo, se non vengono indetti nuovi concorsi in tutta la P.A.

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