Lavoro: Puglia sicura?

di Vito Totire e Maurizio Portaluri

Un giovane cingalese di 24 anni tenuto in stato di schiavitù è stato scoperto in una azienda agricola di Casamassima nell’agosto scorso: percepiva 1,8 € all’ora, senza festivi e riposi per 11 ore al giorno e viveva in un alloggio di fortuna senza servizi igienici. Un giovane di 28 anni di nazionalità albanese è morto in questi giorni in una azienda di calcestruzzi durante le operazioni di trivella nell’area industriale di Altamura. Un giovane pastore 20enne, ridotto in schiavitù, costretto a lavorare e vivere all’interno di una masseria vicino Brindisi in condizioni disumane e dormire su un giaciglio, per una paga mensile di 650 €, circa 1,5 € all’ora per più di 13/14 ore al giorno, dalle 5 di mattina, e senza riposo settimanale, ferie, diritti. Nell’agosto scorso un gruppo di 20 braccianti agricoli della provincia di Brindisi, composto soprattutto da donne di Oria ed Erchie, è rimasto intossicato mentre operava fra i tendoni in un vigneto nelle campagne di Turi, nel Barese. I lavoratori avrebbero inalato esalazioni chimiche, emissioni accentuate dalle alte temperature. In questi giorni a Francavilla Fontana in una società, che si occupa della raccolta di uva da vino e da tavola, è stata accertata la presenza di complessivi sette lavoratori subordinati, braccianti agricoli sprovvisti di idonei dispositivi di protezione individuale, adeguata formazione in materia di sicurezza sul lavoro e di idonea sorveglianza sanitaria.

Quasi due anni fa, ricordando alcuni eventi luttuosi che avevano da poco funestato il mondo del lavoro del territorio pugliese (i morti a Molfetta, poi la strage della fabbrica di fuochi artificiali a Modugno, la strage ferroviaria di Andria, i braccianti morti di fatica) avevamo formulato alcune proposte tra cui quella che prendeva spunto da una esperienza in Toscana organizzata, come purtroppo spesso succede, “dopo” una strage invece che ”prima”. In questo caso è stata quella della fabbrica tessile a Prato che ha causato 9 morti nel dicembre 2013;  la nostra ipotesi (iniziale) è:

· organizzare una équipe regionale di 30 operatori (5 per provincia) più un congruo numero di mediatori culturali, che abbiano come programma ed obiettivo il monitoraggio delle situazioni di rischio  esistenti e “disperse” nel territorio, in agricoltura ed in altri comparti (edilizia, fuochi artificiali o altro). Il primo atto potrebbe essere la convocazione di udienze conoscitive territoriali a partire dai siti più problematici; ulteriori situazioni di rischio sono più stabili e facili da identificare e dunque possono e devono essere ricondotte alla azione ordinaria dei servizi ispettivi territoriali della medicina del lavoro delle Asl; risulta peraltro la esistenza di programmi o progetti di intervento per Taranto connessi evidentemente alla presenza morbigena del siderurgico;

· la équipe regionale, articolata in sottogruppi provinciali, dovrebbe avere questi compiti: a) in primis, come già detto, la organizzazione di incontri conoscitivi con lavoratori, sindacati, imprenditori e associazioni di immigrati; b) disegnare una mappa del rischio territoriale – a cominciare alla agricoltura, edilizia, trasporti, produzione e deposito di fuochi artificiali; c) individuazione di priorità di interventi organizzati sia con azioni di informazione e  divulgazione (nei primi 12 mesi del progetto, in questa fase gli operatori non dovrebbero rivestire il ruolo di ufficiali di polizia giudiziaria), sia, in rapida successione, con azioni ispettive (In questa fase è necessario che tutti gli operatori siano investiti del ruolo di ufficiali di polizia giudiziaria); d) l’azione dovrà vertere su: analisi del rischio infortunistico (mezzi motorizzati, attrezzature manuali, vestiario, scale, reti, ecc.) e del rischio sanitario (alimentazione, ddppii, vestiario, condizioni di alloggio); valutazione della idoneità al lavoro con contestuale verifica della idoneità e/o della necessità di aggiornamento degli attuali protocolli di idoneità sanitaria;  supporto al ricollocamento lavorativo per i lavoratori risultati non idonei; valutazione delle condizioni di distress anche ai sensi dell’art.28 del decreto 81/2008 con particolare attenzione dunque alle differenze di genere, di età e di cultura.

 

L’esperienza Toscana avendo comportato come “effetto collaterale” il contrasto al lavoro nero ha determinato rientri fiscali che alla fine hanno azzerato i costi per il pubblico;  è vero che nel settore tessie cino-pratese la ricchezza è maggiore che nelle campagne pugliesi, ma il concetto è che non stiamo proponendo un progetto oneroso o particolarmente oneroso per il pubblico 

 

La proposta è tanto più attuale se si considera che dal 2013 al 2017 gli Open Data INAIL ci informano che in Puglia ci sono stati 725 decessi sul lavoro con i quali la regione si colloca al terzo posto in Italia dopo Lombardia e Piemonte dove però ci sono sicuramente più occupati. Taranto è la prima in Italia per numero di decessi (548) seguita da Brindisi (con 72). Il confronto fra le dotazioni di dirigenti tra i servizi di prevenzioni sui luoghi di lavoro tra la Puglia e l’Emilia Romagna fa registrare non solo numeri circa doppi in quest’ultima, ma anche la totale assenza in Puglia di dirigenti ingegneri e chimici.

28.09.2019

 

Redazione
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