Le alluvioni che devastano l’Iran: un’emergenza…

… all’ombra delle sanzioni

di Marina Forti (*)

(Photo by Mehdi Pedramkhoo / TASNIM NEWS / AFP) MEHDI PEDRAMKHOO/AFP/Getty Images

 

È il più grave disastro naturale che colpisce l’Iran da almeno quindici anni. Piogge torrenziali hanno investito ampie zone del nord, nord-ovest e sudovest del paese durante le feste di Nowruz (il capodanno persiano, che cade il 21 marzo) provocando gigantesche inondazioni – benché nel disinteresse quasi totale dei media internazionale. Oltre 2000 città e municipi rurali sono stati allagati. Almeno 78 persone sono morte, mezzo milione di persone sono state costrette a sfollare, cinquantamila case danneggiate o distrutte.

Una cittadina allagata nella provincia del Golestan, Iran, marzo 2019

 

Due milioni di persone hanno bisogno di assistenza, secondo la Mezzaluna rossa iraniana, e le conseguenze delle alluvioni toccano in modo più o meno diretto dieci milioni di abitanti – su una popolazione totale di 80 milioni.

Insomma, un disastro di proporzioni drammatiche: e arriva in un contesto già molto difficile per gran parte degli iraniani. Infatti l’economia è in recessione, il carovita aumenta, i conflitti sociali dilagano, e cominciano a farsi sentire le sanzioni decretate dagli Stati uniti quando, un anno fa, il presidente Donald Trump ha deciso di ritirarsi dall’accordo sul nucleare (il Joint Comprehensive Plan of Action, o Jcpoa).

Allagamenti e sanzioni ovviamente non hanno relazione diretta, ma il loro impatto si somma.

Un disastro non-del-tutto-naturale

La gestione del disastro ha suscitato molte critiche in Iran. Qualunque paese sarebbe stato in difficoltà di fronte a una devastazione così ampia. E però il governo è stato criticato per la risposta troppo lenta; sono volate accuse di incompetenza e disorganizzazione, ordini di evacuare certe zone arrivati troppo tardi, ritardi nell’organizzare rifugi per gli sfollati, mancanza di coordinamento tra diverse istituzioni. I social media sono stati inondati di commenti. C’è chi ha parlato di “disastro naturale provocato dall’uomo”. Le correnti oltranziste opposte al governo di Hassan Rohani hanno accusato la sua amministrazione; il governo se l’è presa con alcuni governatori provinciali.

C’è un’amara ironia nelle inondazioni in Iran. In gennaio il Centro studi del parlamento iraniano aveva diffuso un rapporto molto allarmato sulla siccità: diceva che 37 milioni di persone, quasi metà della popolazione iraniana, la scorsa estate hanno sofferto penuria di acqua potabile; avvertiva che la situazione potrebbe portare nei prossimi anni a nuove proteste e conflitti sociali.

Il paradosso è che le zone colpite dalla siccità sono proprio quelle alluvionate. Così, per ironia, le piogge torrenziali hanno rigenerato zone umide che si stavano prosciugando e “oggi in 172 bacini di dighe nel paese sono immagazzinati cinque miliardi di metri cubi supplementari di acqua dolce, diceva a fine aprile un comunicato del ministero dell’energia.

Non solo. A rendere devastanti le inondazioni è anche la deforestazione selvaggia attuata negli ultimi decenni in ampie zone, lasciando i suoli scoperti e esposti all’erosione delle piogge. Lo stesso presidente Rohani ha parlato di deforestazione e di cattiva gestione dei fiumi tra le cause del disastro. Troppe licenze edilizie concesse negli ultimi decenni, case costruite fin nel letto di alcuni fiumi, cementificazione selvaggia, la cattiva pianificazione (questioni in cui l’Iran non è solo, del resto).

Le Guardie della rivoluzione in versione sociale

Benché con lentezza, le operazioni di salvataggio sono infine decollate. La Mezzaluna rossa iraniana ha mobilitato oltre 18mila soccorritori, molti dei quali volontari, per distribuire tende, cibo, acqua potabile agli sfollati. Soprattutto, il 5 aprile il corpo delle Guardie della rivoluzione (Sepah-e Pasdaran) ha annunciato di aver preso il coordinamento delle operazioni di salvataggio, dispiegando sia le sue forze regolari che i Basij (il corpo di volontari inquadrato nelle Guardie) con elicotteri, genieri, unità mediche. Truppe e volontari in divisa hanno allestito cucine da campo e ambulatori, servito pasti caldi, costruito terrapieni, ponti d’emergenza, e così via.

Le agenzie di stampa ufficiali hanno riferito che il generale Qasem Soleimani, comandante delle forze speciali delle Guardie della rivoluzione (le brigate Qods), si è trasferito nelle zone alluvionate per sovrintendere alle operazioni (il generale Soleimani è già figura molto popolare in Iran, riconosciuto come colui che ha combattuto contro lo Stato islamico in Iraq e Siria).

Militari e volontari al lavoro nella provincia del Khuzestan

Così le Guardie della rivoluzione, la più potente istituzione militare (e anche politica, economica, di intelligence, pilastro della difesa e del controllo dell’ordine interno) della Repubblica Islamica, hanno colto l’occasione per mostrare anche un ruolo sociale.

Intanto la Mezzaluna rossa iraniana ha cominciato a raccogliere donazioni, in denaro e non. Gruppi di cittadini e associazioni umanitarie sono mobilitati. Un gruppo di esponenti riformisti, attivisti politici e della cultura, hanno firmato un appello: “Ora è il momento di dimostrare la solidarietà della nazione, aiutare, ricostruire, e alleviare la sofferenza dei nostri concittadini”, “schierandosi con le istituzioni sociali e civili” del paese.

Aiuti e sanzioni

Aiuti umanitari arrivano anche da fonti internazionali – con moderazione però. La Federazione internazionale della Croce rossa e Mezzaluna rossa ha lanciato un appello di emergenza per raccogliere 5 milioni di euro. Il governo italiano ha mandato un cargo con 40 tonnellate di generi di emergenza. Simili cargo sono arrivati da Germania, Svizzera, Norvegia, Russia, dai vicini Azerbaijan e Pakistan, dal Kuweit. Si tratta per lo più di materiali, dalle tende ai medicinali ai mezzi di soccorso: i trasferimenti di denaro invece trovano difficoltà. Anche gli aiuti umanitari sono sotto l’ombra delle sanzioni. In Italia l’ambasciata iraniana è riuscita solo il 2 maggio ad aprire un conto corrente bancario per raccogliere donazioni private, ed è l’unico caso in Europa.

Le alluvioni avranno causato danni per 8 miliardi di dollari, secondo le prime stime del governo iraniano (un bilancio più completo sarà possibile più avanti). Il governo ha annunciato risarcimenti per le persone danneggiate, e in particolare per l’agricoltura. Però dovrà trovare risorse extra, ha subito precisato il presidente del parlamento Ali Larijani, perché nella finanziaria approvata prima di Nowruz ogni voce di spesa è già limata al massimo per far fronte al previsto minore introito dall’export di petrolio.

Così torniamo alle sanzioni. Un anno fa, prima della decisione Usa di ritirarsi dall’accordo sul nucleare, l’Iran esportava 2,5 milioni di barili di greggio al giorno. Nel marzo 2018 erano 1,9 milioni di barili al giorno (di cui solo 1,3 milioni per canali ufficiali). Le sanzioni colpiscono in particolare il settore bancario e quello petrolifero, e sono accompagnate da “sanzioni secondarie” contro imprese e banche di paesi terzi che mantengono affari con l’Iran. Da maggio sono venute meno anche le deroghe inizialmente concesse dagli Usa ad alcuni paesi che importavano petrolio iraniano: così l’export di greggio prevedibilmente calerà ancora. Considerato che è la principale fonte di valuta estera per lo stato iraniano, è chiaro perché l’amministrazione Trump la chiami strategia della “massima pressione”.

Così gli iraniani si preparano a tempi bui. Le sanzioni hanno cominciato a mordere. Non sono l’unica causa della recessione (contano anche l’evasione fiscale, la fuga massicci di capitali, la corruzione, la mancanza di investimenti), ma certo aggravano tutto. Il futuro è incerto, l’inflazione sale, la disoccupazione galoppa – e c’è anche una ricostruzione da finanziare.

Tutto questo porterà a nuovi conflitti sociali? È molto possibile. Ma piuttosto che l’implosione del regime annunciata da molti a Washington, se l’emergenza delle alluvioni è un’indicazione bisognerà aspettarsi un ruolo sempre più preminente delle Guardie della rivoluzione.

(*) ripreso da www.terraterraonline.org

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