Le canzoni di Enzo Jannacci e la guerra

di Giorgio Chelidonio

 

Scavando nella mia “memoria jannacciana” affiorano diverse fasi percettive, che forse corrispondono a momenti in cui ne ho avvertito il messaggio esistenziale e musicale.
Provo a ripercorrerle “per titoli”, lasciando da parte la sua mitica “El portava i scarp del tennis(1964) che, per qualche incomprensibile motivo, non mi ha mai coinvolto particolarmente:

– “la Milano di Enzo Jannacci” (1964), che comprendeva, tra le altre, “La luna è una lampadina”, un delizioso quadretto di milanesità, in cui risaltava quella stralunata citazione de “…e i stell parèn limon traa giò in dell’acqua”. Già allora le tristezze della guerra facevano capolino nei suoi
testi con “Senza de ti” (1);
– “Sei minuti all’alba” (1966), che conteneva l’omonima perla dedicata alla guerra partigiana (2) ma anche “Soldato Nencini” (3), ballata sulla guerra che, quando va bene, divide affetti e identità regionali;
– “Vengo anch’io, no tu no” del 1968 (4), dove le radici dell’arrivismo e della “ferocia” sociale affiorano in ” Si potrebbe poi sperare tutti in un mondo migliore…Dove ognuno sia già pronto a tagliarti una mano, un bel mondo sol con l’odio ma senza l’amore…”, quasi una profezia
dell’individualismo leghista;
– Nel 1975, l’impagabile album “Quelli che…”, che con il suo omonimo inizio radunava la dolce e sarcastica ferocia de “La televisiùn”, “El me indiriss”, “Vincenzina e la fabbrica”, “Il bonzo” e “Il Kenia”, compare in veste quasi rockettara, “Il monumento” (5), testo attualissimo per le implicite relazioni fra guerra e mercanti d’armi.

È a questo punto che la mia memoria è stata costretta a fare una scoperta davvero sorprendente: il testo di questa canzone si richiama a una poesia di Bertold Brecht. Merita di riportarne il testo, per sottolineare le robuste radici storico-culturali di Enzo Jannacci:

L’ex combattente non ha bisogno di un monumento
ma del riconoscimento che fu mandato al macello
per affari non suoi.
Gli avevano insegnato che il nemico
era al di là di un confine
e perciò non capiva che la guerra
era una lite fra capitalisti
(come dicevano i socialisti)
e che sarebbe stata un’inutile strage
(come disse il papa di allora)
In trincea, mentre infilava con la baionetta
i suoi fratelli operai che parlavano altra lingua,
capì la tragica verità!
Il  nemico non è oltre la frontiera
ma è anche fra noi, parla come noi ma pensa diverso da noi.
Il nemico è chi manda a morire gli altri per i suoi sporchi interessi.
Il nemico è chi intasca il profitto del lavoro di un altro uomo.
Il nemico è chi vuole il monumento alle vittorie da lui volute
e ruba il pane per fare altri cannoni
e non fa scuole per fare aeroplani
e non fa ospedali perché deve pagare i generali.
I generali per un’altra guerra
Quando è l’ora di marciare
molti non sanno
che il nemico marcia alla loro testa.”
(tradotta in italiano nel 1965 e pubblicata nel numero 6 della rivista “Nuovo Canzoniere Italiano”.

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«Si potrebbe andare tutti insieme nei mercenari
vengo anch’io? No tu no
giù nel Congo da Mobutu a farci arruolare
poi sparare contro i negri col mitragliatore
ogni testa danno un soldo per la civiltà.
Vengo anch’io …
Si potrebbe andare tutti in Belgio nelle miniere
Vengo anch’io? No tu no
a provare che succede se scoppia il grisù
venir fuori bei cadaveri con gli ascensori
fatti su nella bandiera del tricolor»

Il nemico non è, no non è
Oltre la tua frontiera
Il nemico non è, no non è
Al di là della tua trincea

Il nemico è qui tra noi
Mangia come noi, parla come noi
Dorme come noi, pensa come noi
Ma è diverso da noi, da noi!

Il nemico è chi sfrutta il lavoro
E la vita del suo fratello.

Il nemico è chi ruba il pane
Il pane e la fatica del suo compagno.

Il nemico è colui che vuole il monumento
Per le vittime da lui volute
E ruba il pane per fare altri cannoni.
E non fa le scuole e non fa gli ospedali
E non fa le scuole per pagare i generali.
Quei generali, quei generali, quei generali
Per un’altra guerra.

 

 

 

 

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