Le città nelle nuvole

recensione al romanzo di Geoffrey A. Landis

«Un tecnico e all’occorrenza un pilota» così Leah Hamakawa – esperta di ecologia marziana – presenta David Tinkermanm omettendo di dire che l’uomo è «fradicio» («cotto», se preferite) di lei che invece non lo colloca fra le sue priorità ma pure se lo porterà dietro su Venere.

Un passo indietro per contestualizzare questo rapporto amoroso che ricorda un poco gli ultimi versi («Sarò solo l’ombra della tua ombra, l’ombra del tuo cane») della canzone «Ne me quitte pas» di Jacques Brel.

Appena arrivata sulla stazione orbitale, Leah trova una busta «di diamante» che la chiama su Hypatia, una delle città galleggianti di Venere. L’invito arriva da Carlos Fernando Delacroix Ortega (e via cognomando) noto «satrapo e sultano delle nuvole». Leah accetta e visto che David è lì, fra i piedi, si fa accompagnare (a che titolo non è chiaro) per poi mollarlo quasi subito. David è l’io narrante del breve romanzo «Le città nelle nuvole» – Delosbook editore: 96 pagine per 7,80 euri, nella traduzione di Alberto Priora – di Geoffrey Landis che lavora alla Nasa, ha brevettato 8 progetti di cellule solari e da quasi 30 anni, nei ritagli di tempo, scrive ma quasi solo racconti (molti dei quali non tradotti in italiano).

Durante il viaggio David cerca di capire cosa lo aspetta su Venere e “ripassa” la storia recente. La frontiera spaziale all’inizio affascinò i seguaci della fede Baha’i, in fuga dalle persecuzioni, ma anche «dittatori in disgrazia, signori della droga… dissidenti vari, vegetariani, libertari…» insomma «una fiumana di dissidenti, scontenti e ribelli» ma quasi tutti si indebitarono con corporazioni già «ricche in maniera oscena» e ora sono sotto il dominio di potenti famiglie. Quanto a Venere è definito «l’inferno del sistema solare», si può vivere solo nelle – oltre 10mila – città galleggianti fra le nuvole ma a terra è impossibile.

Per scendere su Hypatia il pilota spaziale deve «accarezzare l’atmosfera come se suonasse un grosso contrabbasso». Appena al suolo (si fa per dire) il satrapo si presenta a Leah – un ragazzino, poi sapremo che è un dodicenne – con un “regalino” libro fuori dal tempo ma valido in tutti i tempi: «la copia anastatica della prima edizione inglese “De l’infinito, universo et mondi” di Giordano Bruno».

Il romanzo è breve e sarebbe fuori luogo particolareggiare di più sulla trama. Dirò solo che molti spunti interessanti (la questione dei ribelli, lo stesso nome della città che rimanda a Ipazia, i progetti di terraformazione, l’insolita «treccia» sessual-matrimoniale-economica che domina Venere) avrebbero meritato qualche approfondimento.

Il romanzo è ben scritto e ricco di idee eppure non mi ha convinto appieno anche per questo svolazzare troppo in fretta verso la fine. Scopro che è stato finalista ai due premi storici (Hugo e Nebula) della fantascienza e che addirittura ha vinto il Theodore Sturgeon Award; mi sa che… era un anno fiacco. Però mi fido dei giudizi di Salvatore Proietti e siccome lui, nella prefazione, ne tesse le lodi (confesso che i suoi racconti precedenti mi erano sfuggiti) attendo Landis a una prossima prova. Molto mi incuriosisce «The Resonance of Light» (del 2004) che ha per protagonista Nikola Tesla, il quale – come Giordano Bruno, come Ipazia – continua ad affascinare ed è infatti protagonista di ben due libri recenti («Lampi» di Jean Echenoz e «L’inventore della luce» di Samantha Hunt). Nell’attesa di scoprire il miglior Landis … sintetizzo così: questo «The Sultan of the Clouds» era piacevole ma, per i miei gusti, leggerino.

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