e dopo il Covid 19?

articoli di Alberto Castagnola, Marinella Correggia, Michele Emmer,  Daniele Nalbone, Medicina Democratica, Carlos Fazio, Alain Badiou, Gruppo Anticorpi solidali

 

 

Covid: le cose da non dimenticare più – Alberto Castagnola (*)

Un virus che ci ha colti impreparati e un sistema sanitario depauperato ci hanno costretto a fare a caro prezzo delle scoperte importanti, di forte impatto sui nostri comportamenti e sulle relazioni con gli altri. Non dobbiamo dimenticare nessuna di queste esperienze imposte che ci hanno però offerto molte opportunità preziose. Non perdiamone nessuna e la qualità delle nostre vite può cambiare radicalmente. Questo promemoria è solo uno strumento, aggiungetevi le vostre scoperte e le vostre scelte personali.

  1. I vicini di casa sono delle persone, alcuni anche divertenti, non solo dei membri ostili di un caseggiato.
  2. Essere disponibili per gli sconosciuti è sempre possibile, come pure essere gentili anche senza virus in giro.
  3. Uscire sui balconi o affacciarsi dalle finestre, per battere le mani o fare musica insieme può assumere cento significati diversi, non stanchiamoci di cercarli.
  4. Avere un balcone o un terrazzo con tante piante è un modo essenziale di sentirsi nella natura.
  5. Ho molte piante in casa, una in particolare nata da sei noccioli di nespola e un ficus che non si stanca di crescere, curarle e ammirarle ha riempito le mie giornate recluse.
  6. I bambini sono molto curiosi delle cose nuove inventate da loro o per loro.
  7. I bambini possono saper fare molte più cose di quelle che immaginiamo.
  8. Per i bambini la scuola è anche fonte di esperienze e di relazioni.
  9. Per i bambini possono esserci anche molte altre fonti che spesso trascuriamo, come la natura e i loro coetanei.
  10. Mio nipote fa il percussionista da quando aveva tre anni, forse hanno più capacità di quanto siamo abituati a pensare.
  11. Mio nipote a Natale, a quattro anni, ha chiesto un trapano e a cinque una sega elettrica, forse il suo mondo è più ricco e complesso di quanto immaginassi.
  12. La spesa sospesa deve diventare una abitudine almeno in tutti i supermercati, ma la dovremo richiedere e sorvegliare noi.
  13. Portare la spesa ad un anziano è una forma semplice di relazione, non soltanto una forma spinta di volontariato e deve diventare una solidarietà abituale di prossimità allargata cioè deve valere anche negli uffici e nelle fabbriche, non solo nei condomini.
  14. Gli acquisti di cibo direttamente dai produttori, specie se biologici o prodotti con metodologie alternative come la permacultura  o la bioenergetica, devono diventare un’abitudine in rapida crescita.
  15. Prendiamo l’abitudine di fare regali solo in forma di cibi alternativi o di oggetti fatti da noi.
  16. Fare ogni giorno una passeggiata è un diritto, non un dovere faticoso, e proviamo a organizzarla con persone care.
  17. Possiamo insegnare qualunque cosa via web, non rinunciamoci.
  18. Sentire ogni mattina per telefono un amico non è un obbligo ma arricchisce la giornata.
  19. Possiamo essere più attenti alle esigenze di chi abita nella nostra stessa casa.
  20. Quante cose utili si possono fare via web, oltre a chattare o inviare messaggi insulsi.
  21. La medicina di territorio (sistemica integrata) che molti affermano essere l’unica difesa seria dai prossimi virus, sarà una ricchezza da conquistare.
  22. Il riconoscimento diffuso del ruolo svolto dalle donne contro la pandemia deve essere trasformato in una cultura diversa, ancora tutta da costruire (in particolare da parte degli uomini).
  23. La mia compagna ha riscoperto l’uncinetto e ha prodotto tante piccole opere d’arte piene di colori che regala alle sue amiche impegnate nel sociale.
  24. Quanti anziani abbiamo scoperto essere attivi anche negli anni successivi agli ottanta, forse dovrebbero avere un peso ben diverso nei valori sociali. Chi prenderà l’iniziativa?
  25. Forse l’aver capito che la nascita di un virus può essere dovuta ad un grave danno ambientale arrecato al pianeta ci costringerà a difendere la Terra negli ultimi anni che ci sono rimasti.

(*) RIPRESO da Comune-info : da qui

 

Covid-19: «rivelazioni» e conferme di giugno –  Marinella Correggia

Intorno al Covid-19 si susseguono da mesi colpi di scena, rivelazioni e successive rettifiche. Grande è la confusione sotto il cielo. Ma non siamo ai tempi di Mao e quindi la situazione non è affatto eccellente. Cerchiamo di collegare alcuni puntini

  1. Oms: «Il contagio da parte di asintomatici è molto raro»…anzi «non sappiamo». Maria Van Kerkhove, direttrice del team tecnico dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per la risposta al coronavirus (1), lunedì 8 giugno osa affermare: «Ci sono casi di persone infettate che sono asintomatiche, ma i paesi che stanno monitorando in modo dettagliato i contatti non stanno trovando da questi casi una trasmissione secondaria». Gli «esperti di salute pubblica» insorgono, capitanati dall’Harvard Global Health Institute. E così l’Oms aggiusta il tiro il giorno dopo: «La maggioranza dei casi di trasmissione che conosciamo si verifica, con le droplets, da parte di chi ha sintomi. Ma ci sono persone che non sviluppano sintomi, e non abbiamo ancora risposta sulla questione di quanti infettati non abbiano sintomi». Alcune ricerche stimano la probabilità di infezioni da asintomatici (e più spesso pre-sintomatici) con modelli probabilistici, senza documentare direttamente la trasmissione. Comunque la frase rivelatrice dell’esperta dell’Oms è: «Per ogni risposta che troviamo alle domande, ne sorgono altre dieci». La risposta è sempre: dipende (dalle circostanze): un luogo chiuso affollato e in una zona ad alta carica virale è un caso specifico, non generalizzabile (vedi ai punti 10 e 12).

 

E a proposito dei modelli probabilistici..

  1. «Falliti i modelli epidemiologici, meglio non usarli più nelle decisioni politiche». Il virologo Guido Silvestri, ribadendo – sulla sua rubrica social Pillole di ottimismo – quanto aveva già affermato circa il fallimento dei modelli matematici nel prevedere l’andamento reale dell’epidemia, spiega (2):

«Oggi è il fatidico 8 giugno. Quello che, se non stavamo attenti, avremmo avuto 151mila malati in terapia intensiva. Invece sono 286. E dopo 34 e 20 giorni dalle “aperture” di maggio, non c’è alcun segno di quel disastroso ritorno della pandemia dato per scontato dagli autori dei modelli matematici sugli effetti della fase 2». Dunque, «credo sia giusto verso i cittadini italiani (…) ammettere questo fatto e promettere che tali modelli non saranno più usati per prendere decisioni politiche, ad esempio per le scuole.» Cita poi il caso della Florida, «Stato dal lockdown minimo, la mortalità per 100mila abitanti è 12,6» (in Italia è cinque volte tanto). Ecco quindi che «i dati della Georgia e della Florida dimostrano ancora una volta come i modelli epidemiologici, che al contempo postulano un massiccio effetto positivo dei lockdown e non tengono conto del fattore climatico-stagionale, non spiegano l’andamento della pandemia in modo universalmente valido, e come tali non dovrebbero essere usati per guidare le scelte della politica». Insomma l’impalcatura scientifico-epidemiologica dell’argomento politico a favore dei lockdown e delle chiusure delle scuole solleva perplessità.

 

Eppure continuano…

  1. I «se» dell’Imperial College. Una volta si diceva che la storia non si fa con i «se». Ma pare che per le previsioni epidemiologiche si faccia eccezione. Tanto, come verificare? Sui modelli teorici si basa anche lo studio condotto dall’Imperial College di Londra pubblicato da Nature (3)circa l’impatto, rispetto al Covid-19 in Europa, degli «interventi non farmaceutici», ovvero i blocchi delle attività, il confinamento o lockdown (impropriamente detti «quarantena» soprattutto in America latina) e la chiusura delle scuole. Riferendosi all’impatto delle restrizioni in undici paesi dell’Europa occidentale, gli autori ritengono che queste misure senza precedenti abbiano salvato oltre tre milioni di vite (630.000 in Italia). Va però detto che diversi paesi extra Ue che non hanno adottato un lockdownhanno avuto molto più successo degli europei. Il dibattito sulla migliore strategia anti pandemia non finirà mai…

L’Imperial sostiene che «solo una piccola proporzione della popolazione britannica ha contratto l’infezione e quindi siamo solo all’inizio della pandemia» (e in media negli undici paesi avrebbe il virus solo il 3-4% della popolazione), dunque l’allentamento delle misure è rischioso. Senza lockdown invece, proseguono gli autori, l’epidemia sarebbe quasi conclusa perché i contagiati (per usare l’evocativo termine in voga in Italia) sarebbero moltissimi, il 70% della popolazione.

Va detto però che i modelli previsionali matematici dell’Imperial College riguardo al Covid-19 spesso non hanno azzeccato (e del resto già in occasione di epidemie precedenti, avevano sbagliato di tanto) (4). Numerose sono state le critiche sul modello retto da Neil Ferguson (il capo dell’equipe dell’Imperial ha dovuto dimettersi da consigliere del governo perché per incontrarsi con la sua amica aveva violato il lockdown tanto caldeggiato). Lo scorso marzo il team di Ferguson prevedeva per l’Italia oltre mezzo milione di morti se non fosse preso alcun provvedimento e 283 mila decessi applicando, come di fatto è stato fatto, il blocco e il confinamento. E’ andata molto diversamente. Stessi errori, anzi di più, per il Regno unito. In un paper dagli effetti esplosivi sulle politiche di Oltremanica, l’Imperial aveva previsto il 16 marzo (5che in caso di inazione politica ci sarebbero stati 2,2 milioni di morti negli Stati uniti e fino a 510.000 nel Regno Unito (e in caso di misure di sola «mitigazione» i morti sarebbero stati rispettivamente un milione e 260.000). Pochi giorni dopo aver convinto a misure drastiche i governi britannico, statunitense e francese, il team di Ferguson è passato a esagerare per difetto (6)affermando sempre in marzo: «Il numero di morti nel Regno unito per Covid o per il suo impatto su altre patologie pregresse non dovrebbe superare i 20.000» e anzi potrebbe «essere di gran lunga inferiore». E invece, al 9 giugno, i morti fra i sudditi di Sua maestà sono molti di più, secondo le statistiche ufficiali fornite dal governo all’Oms: 40.597 (7). Si sono rivelate sbagliate anche le previsioni d’aprile dell’Ihme (Institute for Health Metrics and Evaluation) di Seattle: il prossimo agosto, l’Italia avrebbe raggiunto i 20.300 morti, la Spagna 19.000, la Francia 15.000, gli Stati uniti 81.000. Tutti questi paesi sono già ben oltre (8)

Comunque, clinicamente parlando

  1. «Clinicamente il Sars-CoV-2 non esiste più. Niente seconda ondata». Il mese di giugno inizia con la tempesta scatenata da questa affermazione di Alberto Zangrillo, primario di anestesia e rianimazione del San Raffaele di Milano. A Mezz’ora in piùsu Rai 3 ha dichiarato: «Il Coronavirus è sparito, qualcuno vuole terrorizzare il paese». E in una successiva intervista: «Chi dice che ci sarà una seconda ondata in autunno, dice cose che non hanno senso dal punto di vista scientifico. L’evidenza ci dice che la cosa sta prendendo piega positiva. Prepariamoci a rivivere e riprendere in mano il nostro futuro» (9)Una constatazione sostenuta da Matteo Bassetti direttore del San Martino di Genova: «Concordo da medico e francamente sono colpito che ci siano così tante persone che la pensano diversamente, forse sono persone che i malati non li vedono. La realtà dei fatti mostra che ogni giorno il numero delle persone in terapia intensiva decresce…non arrivano più i malati, o arrivano solo dai focolai: Rsa o personale sanitario che ha assistito malati nelle Rsa. Poi se mi si dice che occorre l’evidenza scientifica per dimostrare che virus è mutato, va bene. Ma non si neghi l’evidenza clinica. I numeri, della Protezione civile, sono questi». D’accordo anche Fabrizio Pregliasco, epidemiologo dell’Istituto Galeazzi di Milano, si è espresso nello stesso senso «Ci siamo confrontati con Zangrillo ed è un’evidenza, ha ragione, ma dobbiamo restare vigili e prudenti perché di questo virus si scoprono sempre cose nuove. Ora siamo in grado di gestirlo meglio rispetto al passato» (10).

Davvero non ha più la stessa faccia il famoso virus con le spine…

  1. Quasi settemila mutazioni del Sars-CoV-2. Secondo quanto riportato in un recente studio, sarebbero più di 6.800 le mutazioni comparse nel genoma del coronavirus durante la sua corsa intorno al mondo (11): tra quelle più comuni, non ne è stata trovata alcuna che ne abbia aumentato la contagiosità, mentre la maggior parte potrebbe addirittura aver penalizzato il virus. Il più delle volte questi cambiamenti non sarebbero nati come risultatodell’adattamento del virus all’uomo, ma sarebbero stati indotti proprio dai meccanismi di difesa immunitaria delle persone infettate.

Lo si era già constatato agli inizi di maggio…

  1. …Ma allora che senso ha rincorrere il vaccino? Già oltre un mese fa, Massimo Clementi, direttore del laboratorio di virologia del San Raffaele di Milano, intervistato dal Corriere della Sera affermava: «L’infezione non sfocia più nella fase gravissima, la cosiddetta “tempesta di citochine (…) sono in forte calo i pazienti che hanno bisogno di ospedalizzazione, l’epidemia c’è ancora ma dal punto di vista clinico si sta svuotando. La malattia si è modificata o si sta modificando». E anche: «Il coronavirus ha perso la sua potenza.(…) Ci aspettiamo che questo nuovo coronavirus possa pian piano diventare innocuo, come i suoi ‘cugini’ responsabili del raffreddore». Del resto, «conosciamo altri 6 coronavirus umani, 4 ci infettano da sempre”. Quello con cui abbiamo a che fare da qualche mese potrebbe, se continua così, modificare il suo profilo clinico di rischio e adattarsi all’ospite, cambiando geneticamente». E le dichiarazioni in questo senso erano già tante agli inizi di maggio (12). Attenzione! Questo potrebbe minare l’idea del vaccino! E allora…ecco l’intervento dell’ex virologa (definizione sua) Ilaria Capua (13): «E’ un patogeno che si manifesta in maniera diversa a seconda di diversi fattori, e le manifestazioni cliniche sono molto più gravi quando non c’è una cura». La differenza fondamentale starebbe nell’organizzazione, sanitaria e sociale, messa in piedi negli ultimi mesi: «Credo che in realtà sia migliorato tutto il sistema. Ma da ex virologa vi dico che quando si dice che il virus è indebolito, questo non è proprio corretto. Il genoma del virus non è cambiato, quindi non possiamo dire questa cosa. Così come non posso dire che è diventato più aggressivo».

Intanto Oltralpe uno studio politico rivela che…

  1. Francia: primo – deludente – bilancio sulla macroniana «ricetta di guerra». Secondo uno studio francese (14),«I dati empirici disponibili suggeriscono che la politica francese non abbia avuto effetto sulla dinamica dell’epidemia né sulla mortalità finale, molto pesante (…) A livello mondiale, i paesi che hanno ottenuto i migliori risultati di fronte all’epidemia hanno riposto fiducia nei medici e nei cittadini» e puntato su: prevenzione (protezione specifica delle persone a rischio), individuazione dei casi (soprattutto fra il personale sanitario), separazione degli ammalati e cure precoci, spesso con trattamenti simili a quelli vietati in Francia». Qui è chiaro il riferimento all’idrossiclorochina.

E a proposito di cure boicottate…

  1. La figuracciadi Lancet e dell’Oms contro l’idrossiclorochina. Prescritta in Cina, Stati uniti, Brasile, India, nella maggior parte dei paesi africani, in Medioriente e in certi paesi europei (15) (16), l’idrossiclorochina viene demonizzata in Francia. A fine maggio poi la (ex) prestigiosa rivista medica The Lancet pubblica uno studio che dimostrerebbe l’inefficacia e gli effetti indesiderati (a livello cardiocircolatorio) del medicinale. E l’Oms interrompe subito la sperimentazione (Solidarity) di trattamento del Covid-9 a base di idrossiclorochina iniziata il 28 marzo con l’ausilio di 400 ospedali di 35 diversi paesi su 3500 infettati. A questo punto, duecento scienziati di tutto il mondo sottoscrivono una lettera aperta che indica molti errori in una ricerca affidatasi ai dati, non verificabili, di una compagnia (Surgisphere) (17). Così di corsa la rivista ritratta il contenuto dell’articolo (18) e l’Oms… ritratta l’interruzione.

Sempre a proposito di cure boicottate vs vaccini

  1. Plasma o Big Pharma? Scrive Leopoldo Salmaso, specialista in malattie infettive, che ha lavorato molto in quelle che egli chiama levere epidemie, in Africa: «Su una cosa paiono tutti d’accordo: che sul virus SARS-CoV-2 e sulla associata sindrome CoViD-19 si sa poco». E «anche i medici più competenti e dediti al malato, come Giuseppe De Donno con la plasmaterapia, contano ben poco nel confronto coi “baroni” accademici e con gli intrallazzatori politici. Contano ancor meno nel confronto con Big Pharma che non intende assolutamente mollare il boccone multi triliardario di un vaccino che, per definizione, sarà ancor meno efficace di quelli anti influenzali» (19). In realtà il 12 giugno il capo delle emergenze dell’Oms, Mike Ryan dichiara: «Dobbiamo imparare a convivere col virus. Speriamo di trovare un vaccino efficace, ma non è garantito che questo accada. I governi di tutto il mondo devono trovare un equilibrio tra il controllo del virus e le conseguenze sociali ed economiche delle misure».

Tutto mentre l’epidemia, in Italia…

  1. Perché l’epidemia si è spenta in Italia? Il virologo Giulio Tarro, autore – con Francesco Santoianni – del libro appena pubblicato Covid, il virus della paura, ripete quel che diceva già a marzo: «Gli italiani contagiati da Sars-Cov-2 erano già milioni e non le poche migliaia che annunciava il Governo. Se lo si ammettesse, sconfessando quello che i vari esperti supinamente accettavano, forse, potrebbero dare un’altra spiegazione dello spegnersi dell’epidemia; e cioè che il virus non trova più persone da infettare, risultando queste immunizzate» (20)Per questo, secondo il virologo, mascherine e distanziamento sociale allo stato attuale dei fatti non servono più, perché il virus Sars-CoV-2…«secondo uno studio fatto a Singapore chi ha avuto la prima Sars ne 2003 ha sviluppato un’immunità cellulare tale da renderlo immune al virus attuale (…) Questo sta a dimostrare che il Sars-CoV-2 è in gran parte identico al beta-coronavirus della prima Sars e quindi avrà il suo stesso decorso» (21). Scomparirà.

In attesa, finalmente una parola «dall’alto» sui guanti «antivirus»

  1. Oms: «No ai guanti, nemmeno al supermercato». Piccola soddisfazione per chi aveva sempre predicato (e praticato) il rifiuto dei guanti di lattice monouso. Un danno doppio, per la salute e per l’ambiente. Gli italiani li hanno usati dovunque nei mesi scorsi: chi spontaneamente, chi credendoli obbligatori (perfino, ad esempio, per via di messaggi mal formulati sui treni pendolari delle Fs!). Ebbene l’Oms si sente finalmente in dovere di intervenire (22): «No ai guanti, nemmeno al supermercato, usarli può aumentare il rischio di infezione, dal momento che può portare all’auto-contaminazione o alla trasmissione ad altri quando si toccano le superfici contaminate e quindi il viso». Oltretutto, uno studio condotto ormai due mesi fa in Germania nel circondario di Heinsberg, fra i principali focolai di infezione del paese, e guidato dall’Istituto di virologia dell’università di Bonn, ha trovato che l’epidemia si diffonde quando le persone sono a distanza ravvicinata per un periodo di tempo abbastanza lungo (come le feste dopo sci verificatesi nelle località alpine, uno dei centri di irradiazione in Germania). Dunque, il contatto con gli oggetti è molto improbabile: (23)«per prendersi il virus in questo bisogna che qualcuno tossisca nella sua mano, tocchi immediatamente il pomello di una porta e subito dopo qualcun altro dovrebbe afferrare lo stesso pomello e toccarsi la faccia» (…) «il principale veicolo di trasmissione è la saliva che un individuo può trasmettere agli altri tossendo, starnutendo o parlando a distanza ravvicinata» (…) Il Sars-CoV-2 viaggia attraverso l droplet, le goccioline emesse dalla bocca delle persone già infette, ma il virologo Christian Drosten dell’ospedale Charité di Berlino sottolinea che il virus non resiste molto all’asciutto e quindi il sole vero modo di contrarlo è “inalare il droplet”» (le famose goccioline).

Invece sull’uso di micidiali disinfettanti a tutto spiano la parola era già stata detta!

  1. Paura del contagio da superfici: stop ai disinfettanti e sanificazioni dappertutto! Insomma, «infettarsi raccogliendo il virus da una superficie richiede una sequenza di improbabili eccessive, sfortunatissime, rare combinazioni», ha spiegato l’epidemiologo Donato Greco, per 30 anni a capo del Laboratorio di Epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità, poi direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute dal 2004 al 2008, bocciando senza appello le «sanificazioni, con tanto di marziani in tuta bianca “armati’” di idro-fucili nebulizzatori, l’uso di disinfettanti chimici, spesso nocivi per la salute, l’uso dei guanti di lattice, per non parlare di pratiche quali l’imbustamento imposto ai parrucchieri di borse o effetti personali del cliente» (24). Appunto bisogna distinguere fra l’ambiente sanitario e gli altri ambienti.

Del resto «l’Organizzazione mondiale della sanità nella sua ultima guida, oltre a riconoscere (25) che la trasmissione del virus per Covid-19 non è stata definitivamente collegata a superfici ambientali contaminate negli studi disponibili», offre diverse raccomandazioni per gli spazi extra sanitari: «Negli spazi interni non è raccomandata l’applicazione di disinfettanti spray». Dovremmo informarci sui prodotti che vengono utilizzati nei vari ambienti che frequentiamo.

E, sempre per l’Oms, «la fumigazione di spazi esterni, come strade e luoghi adibiti a mercato, non è raccomandata per uccidere il virus responsabile del Covid-19 o altri patogeni perché il disinfettante è disattivato dalla materia organica che è impossibile da rimuovere completamente. Ancora meno efficace lo spray su aree porose». Inoltre, «le strade non sono considerate serbatoi di infezione per il Covid-19». Oltretutto, «spargere disinfettanti spray, anche all’aperto, può essere pericoloso per la salute umana».

Insomma le aree esterne richiedono generalmente una normale pulizia ordinaria (secondo le regole pre-esistenti) e non richiedono disinfezione. Invece si è assistito al massiccio uso, all’aperto e negli spazi chiusi, di micidiali aerosol disinfettanti distribuiti da persone in tute spaziali. Fino a quando si andrà avanti con disinfezioni e le sanificazioni dove basterebbero acqua e sapone o altri detergenti anche naturali?

Molte persone passavano con la varechina o simili qualunque prodotto entrasse in casa, anche i contenitori degli alimenti, e la stessa ortofrutta.

Per non tacere della problematica «mascherine»

  1. Nuove rivelazioni sul «il primo talismano usa e getta della storia»? Quella fra virgolette è la definizione data dal sito Wu Ming, in un compendio sul Covid, da leggere assolutamente (26). Soprattutto in Italia, dove le persone tuttora portano le mascherine anche all’aperto e in solitudine. Su una presunta svolta dell’Oms, ecco un chiarimento di Guido Silvestri: «Ecco quello che dice in realtà l’Oms: 1. Non c’è evidenza scientifica (dagli studi sul Covid-19 e presso persone sane) che l’uso universale delle mascherine previene l’infezione con virus respiratori, Covid-19 compreso.2. L’uso non è raccomandato sempre per tutti, ma solo in situazioni specifiche e come parte di un approccio più ampio per frenare la trasmissione». Ecco quali sono le situazioni, dal sito dell’Oms stessa (27):«Spazi dove non si possono mantenere le altre misure di contenimento come il distanziamento, i test, l’isolamento, per esempio attività lavorative, negozi, incontri sociali di massa, scuole, chiese, moschee… Persone che vivono in situazioni affollate, compresi i campi di rifugiati, di sfollati, gli slum… Mezzi di trasporto… Attività a contatto con il pubblico». Quindi quando il distanziamento è possibile, la mascherina non occorre. Poi, esistono le lavabili (e si possono anche autoprodurre), per evitare sprechi e rifiuti.

L’Oms dice anche dei probabili svantaggi dell’uso delle mascherine da parte di persone in salute; fra questi: «Autocontaminazione se le mascherine non vengono cambiate quando umide o sporche, il che crea condizioni favorevoli ai microrganismi» (ed è abbastanza impossibile che non si inumidiscano in pochissimo tempo…); difficoltà di respirazione e mal di testa; possibili lesioni alla pelle e dermatiti se indossate per molte ore; falso senso di sicurezza; problemi nella gestione dei rifiuti e rischi per l’ambiente; problemi di comunicazione per i disabili uditivi; difficoltà per persone con disabilità mentali, asma, malattie respiratorie croniche». Si pensi poi a chi fa un lavoro pesante o comunque è costretto a indossare la mascherina otto ore al giorno. Infine, l’Oms liquida in una riga un gigantesco problema che riguarda molte aree del mondo e non solo nella stagione estiva: la fatica di indossare il dispositivo quando si vive (e peggio si lavora) «in ambienti caldi e umidi».

La fatica di vivere aumenta. Per quanto tempo ancora?

Altri drammi nascosti.

  1. Moriranno per altro (ma non ci sarà nessuna conta dei morti).Nessuno mette in dubbio che fra i sottoprodotti della crisi da Covid-19 ci sia – a livello planetario e in Italia – un’emergenza sanitaria extra-Covid-19 (28). La paura del Covid-19 ha fatto sì che il numero di accessi in pronto soccorso per ischemie e infarti sia calato significativamente, con un aumento delle morti per arresto cardiaco non solo in Italia ma anche all’estero. Negli ultimi mesi, la maggior parte degli interventi chirurgici sono stati rimandati (28 milioni nel mondo, secondo una stima apparsa sulle colonne del British Journal of Surgery), per permettere al personale sanitario di affrontare la fase più critica della pandemia. Nella sola Italia, durante i mesi dell’emergenza gli ospedali sono stati occupati a curare i malati di Covid-19, rinviando mezzo milione di interventi chirurgici e milioni di visite specialistiche, ha affermato Pierluigi Marini, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani e primario al San Camillo di Roma. Si stima siano 3 milioni i pazienti che hanno bisogno di una visita cardiologica e 12 milioni quelli che devono ancora fare un esame radiologico perché non si sono potuti presentare a marzo, aprile e maggio. Le operazioni oncologiche, invece, sono calate del 50%: una cifra altissima, se si conta che «in Italia abbiamo circa mille nuovi casi di cancro al giorno», spiega Marini, aggiungendo che «le conseguenze di questo accumulo sono spaventose». Chissà se qualcuno cercherà di calcolarle».

Un tweet ha suscitato commozione e reazione in Argentina negli ultimi giorni. Il noto attore Marcelo Mazzarello scriveva il 7 giugno: «Mio papà è morto due giorni fa a casa mia. L’ho portato a casa, in clinica era disidratato, denutrito e trattato con un eccesso di farmaci. La pandemia è diventata una scusa per abbandonare pazienti che non avevano il Covid. Sono morti che nelle statistiche non figurano. Sono i morti della dittatura sanitaria» (29). In una video intervista a cura di Alfredo Leuco di Todo Noticias, pochi giorni dopo (30) Marcelo ha articolato la sua denuncia.

Eppure c’è chi gongola.

  1. Incassi e (d’ora in poi) silenzio (forse).L’Italia ha riposto fiducia in virologi dai pareri drastici ma contrastanti; e remunerati benissimo. Roberto Burioni, virologo virale, principale artefice della narrazione urbi et orbiin Italia, dichiara l’intenzione di entrare in modalità silenziosa fino a ottobre. Frutto forse dell’inchiesta del settimanale LEspresso a proposito dei suoi lauti guadagni per le connessioni con Big Pharma e altre generose companies, come la Ferrari?

E allora davvero l’Italia, con i suoi numerosissimi morti malgrado il blocco, è stata un modello internazionale per la tutela della salute?

Note

1) https://www.statnews.com/2020/06/09/who-comments-asymptomatic-spread-covid-19.

2) https://www.orizzontescuola.it/a-decidere-chiusura-scuole-modelli-matematici-diffusione-pandemia-che-hanno-fallito/

3) https://www.nature.com/articles/s41586-020-2405-7

4) http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=85096&fr=n

5) https://web.archive.org/web/20200503102316/https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-NPI-modelling-16-03-2020.pdf

6) https://web.archive.org/web/20200512112906/https://www.newscientist.com/article/2238578-uk-has-enough-intensive-care-units-for-coronavirus-expert-predicts/

7) https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/situation-reports/20200609-covid-19-sitrep-141.pdf?sfvrsn=72fa1b16_2

8) https://www.theguardian.com/world/2020/apr/07/how-can-coronavirus-models-get-it-so-wrong

9) https://www.youtube.com/watch?v=NPk43BlWNzg

10) https://www.weboggi.it/Cronaca/il-coronavirus-e-sparito-bassetti-e-pregliasco-sono-d-accordo-con-zungrillo/

11) https://www.dottnet.it/articolo/31063/covid-7mila-mutazioni-molte-deleterie-per-il-virus/?tag=10923163320&tkg=1&cnt=3

12) https://emigrazione-notizie.org/?p=31567

13) (https://www-fanpage-it.cdn.ampproject.org/v/s/www.fanpage.it/attualita/la-virologa-capua-ecco-perche-clinicamente-il-covid-19-non-esiste-piu/amp/?amp_js_v=0.1#referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com&amp_tf=Da%20%251%24s&ampshare=https%3A%2F%2Fwww.fanpage.it%2Fattualita%2Fla-virologa-capua-ecco-perche-clinicamente-il-covid-19-non-esiste-piu%2F):

14) https://www.revuepolitique.fr/covid-19-premier-bilan-de-lepidemie/

15) https://blogs.mediapart.fr/laurent-mucchielli/blog/260520/fin-de-partie-pour-l-hydroxychloroquine-une-escroquerie-intellectuelle

16) https://cambiailmondo.org/2020/06/05/covid-19-clorochina-o-vaccini/

17) https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/06/10/news/idrossiclorochina_cosi_riviste_scientifiche_e_oms_hanno_perso_credibilita_-258854721/

18) https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)31324-6/fulltext

19) https://comedonchisciotte.org/covid-19-positivo-anzi-negativo-anzi-chilosa/

20) https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-intervista_al_prof_tarro_lepidemia_covid_si__spenta_per_un_motivo_preciso/6119_35436/

21) Giulio Tarro: “Il Sars-CoV-2 sparirà come la prima Sars. Ecco lo studio scie ntifico che lo dimostra, Fondazionenenni.blog

22) https://it.notizie.yahoo.com/coronavirus-oms-no-ai-guanti-neanche-al-supermercato-154408945.html

23) “ll coronavirus non si prende al supermercato. Studio tedesco ridimensiona il rischio contagio da oggetti, il messaggero 19 aprile 2020.

24) https://www.scienzainrete.it/articolo/sorvegliare-e-pulire-eccessi-da-sanificazione/donato-greco/2020-05-19 https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/05/26/epidemiologo-tutte-inutili-misure-per-riapertura-tranne_AwtIFKpWF4mqT7JQHtKTIJ.html?refresh_ce

25) https://www.who.int/publications/i/item/cleaning-and-disinfection-of-environmental-surfaces-inthe-context-of-covid-19 (Cleaning and disinfection of environmental surfaces in the context of Covid-19 Who Interim guidance)

26) Wu Ming https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/06/smarmella-tutto/

27) Who, Advice on the use of masks in the context of Covid-19 – World Health Organization.

28) https://it.notizie.yahoo.com/sanita-con-i-ritardi-si-rischiano-piu-morti-che-per-il-covid-100430703.html

29) https://twitter.com/mazzamazzarello/status/1269669543187791872

30) https://www.youtube.com/watch?v=qkTb_Y89imk

da qui

 

Sul capitalismo della sorveglianza – Carlos Fazio

Mentre in mezzo all’emergenza sanitaria del Covid-19 milioni di persone sul pianeta, imprigionate dalla disinformazione e dalla manipolazione e inoculate dalla paura, vivono in un traumatico confinamento quasi totale – sottomesse come sono a misure profilattiche disciplinari equivalenti allo stato di assedio, alla legge marziale o al coprifuoco -, si starebbe dando vita a un processo totalitario di re-ingegneria sociale. L’obiettivo fondamentale sarebbe scatenare una ristrutturazione economica, sociale e politica globale, che, secondo alcune ipotesi, sarebbe guidata da un nuovo governo mondiale (o di sovranità sovranazionale), controllata da un’elite di poderosi speculatori finanziari e banchieri di Wall Streetdalle grandi imprese farmaceutiche e petrolifere, comprese le loro fondazioni filantropiche e i loro laboratori del pensiero (think tanks); dal complesso militare industrialedalle grandi compagnie tecnologiche digitali e dai mezzi di comunicazione corporativi.

È la tesi di Michel Chossudovsky, direttore di Global Research, secondo il quale lo sganciamento delle risorse umane e materiali dai processi di produzione, scatenato dal confinamento e che ha paralizzato l’economia reale, è stato un atto di guerra; una operazione pianificata con cura, dove non c’è nulla di spontaneo o accidentale, che è parte di un piano militare e di intelligence degli Stati Uniti e della NATO, con l’intenzione di indebolire Cina, Russia e Iran e destabilizzare il tessuto economico dell’Unione Europea.

Professore emerito di Economia dell’Università di Ottawa, Chossudowsky si basa sulle dichiarazioni del segretario di stato statunitense. Il 20 marzo, Mike Pompeo, in un apparente lapsus nel corso di una conversazione alla CNN, s’è lasciato sfuggire che il Covid-19 era una esercitazione (militare) dal vivo, una operazione. Pompeo ha detto: “Non si tratta di rappresaglie … Questo caso sta avanzando: siamo in un esercizio in vivo per farlo bene”. Il presidente Trump, che era al suo fianco, con parole che sono passate alla storia, ha risposto: non avresti dovuto dirlo.

Che ci si trovi o meno di fronte a una fake-pandemia indotta e – indipendentemente dal fatto che il Covid-19 sia o meno un’arma di distruzione di massa (derivata da un virus che gli studi scientifici escludono sia un’arma biologica), la disputa tra le narrazioni con finalità geopolitiche e di controllo di zone di influenza fra le potenze – Stati Uniti e Cina in particolare -, ha avuto nell’emergenza vincitori e sconfitti.

Fra i vincitori, troviamo Larry Fink, presidente di BlackRockil fondo di investimenti più grande del pianeta, al quale ha fatto ricorso la Federal Reserve degli Stati Uniti (FED) per gestire miliardi di dollari di buoni e l’acquisto di fondi garantiti da ipoteche, come una misura per stabilizzare i mercati e ammortizzare l’impatto finanziario della crisi del coronavirus.

Secondo l’analista Pepe Escobar, BlackRock possiede il 5% di Apple e di Exxon Mobil; il 6% di Google; è il secondo azionista di AT&T ((Turner, HBO, CNN, Warner Brothers) e il principale investitore in Goldman Sachs. BlackRock è più grande di GoldmanSachs, J.P. Morgan e Deutsche Bank messi insieme. Larry Fink, il presidente, sta consigliando Trump su come navigare con gli effetti della pandemia, mentre per tutti gli aspetti pratici, quel compito toccherà al sistema operativo della FED e al Dipartimento del Tesoro. In altre parole, Fink sarà l’amministratore del fondo per le mazzette.

Altri vincitori sono stati il gestore di Amazon, Jeff Bezos, che in sole tre settimane di pandemia ha accresciuto la sua ricchezza di 25 miliardi di dollari; il gestore di Tesla e SpaceX, Elon Musk, che ha dichiarato che il confinamento sociale è stato una violazione fascista al suo diritto di realizzare guadagni e però ha aumentato la sua ricchezza di 5 miliardi di dollari; Eric Yuan, gestore di Zoom, che ha accumulato 2,58 miliardi di dollari; e, infine, il co-fondatore di Microsoft, Steve Ballmer, che ne ha guadagnati 2,2 miliardi.

Amazon, Google (oggi Alphabet), Microsoft, Apple, Zoom, insieme con Facebook, di Mark Zuckerberg (proprietario di Instagram e WhatsApp), e altre corporation della Silicon Valley californiana – legate agli apparati di sicurezza degli Stati Uniti – fanno parte di quello che l’economista Shoshana Zuboff, di Harward, ha definito il capitalismo della sorveglianza, un modello che trascende questi marchi di tecnologia digitale in rete e si è esteso all’economia normale.

 

Il modello lo forgiò Google nella congiuntura dell’11 Settembre del 2001 – e poi lo diffuse Facebook -, la sua formula lucrativa permette di prevedere (e modificare) il comportamento degli internauti attraverso l’algoritmo di una scatola nera (una specie di dispositivo invisibile)I motori di ricerca di quelle piattaforme trattengono l’informazione, cosa che consente a quelle imprese, secondo Zuboff, di prevedere le azioni dei consumatori nel mondo reale (in casa e al lavoro, nella vita quotidiana) con l’unico proposito di far guadagnare le imprese. Così, al di là dei “mi piace” e dei click virtuali – e senza che essi lo sappiano – le esperienze degli utenti si trasformano in materie prime che consentono di creare schede personali (i nostri volti, le voci, le personalità, le emozioni, il “credo” politico o religioso) ed elaborare i profili per prevederne i comportamenti futuri e manipolare in questo modo milioni di persone. Come accade nella congiuntura del Covid-19 e nella nuova normalità, a danno della nostra autonomia umana e della sovranità individuale.

Nella immediata postpandemia del Covid-19, la guerra per la leadership digitale nel mondo – con i suoi assi portanti principali: l’intelligenza artificiale, l’Internet delle cose, le reti 5G e il big data – riceverà un nuovo impulso in chiave geopolitica. E come prima dell’irruzione del coronavirus, la disputa su quale società digitalizzata e sotto quale modello continuerà a essere contesa fra Stati uniti e Cina.

Innalzata a rango di religione per l’1% più ricco del pianeta (la plutocrazia globale del Foro di Davos), la tecnologia digitale è qualcosa di più di uno strumento di comunicazioneè un poderoso strumento di potere per riunire informazione di massa con la quale si può manipolare, controllare e/o confinare milioni di persone sulla terra (l’esperienza del coronavirus): da lì, come anticipavamo più sopra, il capitalismo della sorveglianza – secondo la azzeccata espressione di Shishana Zuboff – è una minaccia per la libertà e l’indipendenza della persona.

Digitalizzata, elaborata e trasformata in catena di bit e bytela pratica regolare e sistematica dell’attività on-line (videovigilanza ubiqua, poiché qualsiasi attività mediata digitalmente lascia l’impronta) si trasforma in mercanzia informativa, vero nucleo, come dice Zuboff, dell’attuale  economia digitale globalizzata. Per mezzo di configurazioni algoritmiche che si suppongono segrete, indecifrabili  e illeggibili, le mega-corporation del settore estraggono dalla persona – come nuova mercanzia fittizia allo stesso modo della terra, del lavoro e del denaro, secondo l’intuizione anticipatrice di Polanyi – dati della loro vita quotidiana  (senza il consenso dell’utente trasformato, senza esserne cosciente, in materia prima), che vengono mutati in prodotti predittivi destinati a tracciare e modificare i sentimenti e il comportamento di milioni di individui.

A sua volta, la colonizzazione digitale, come nuova forma di dominio e costruzione di egemonia – Vandana Shiva la chiama dittatura tecnologica – consente alle piattaforme di infrastruttura oligopoliche globali di doppia via di commercializzare la mercanzia informativa (il prodotto predittivo) e ottenere profitto eccessivo e super-rendita.

Così, la persona è la miniera a cielo aperto della ricchezza digitale del filantropismo (Vandana Shiva dixit), simbolizzato nel fondatore di Microsoft e seconda persona ricca al mondo, Bill Gates, e di altri supermilionari la cui ricchezza proviene dall’infrastruttura tecnologica di Internet situata nella Slicon Valley, nella baia di San Francisco, come Mark Zuckerberg (Facebook/Instagram/WhatsApp); Jeff Bezos (Amazon); il privatizzatore dello spazio Elon Musk (Tesla e SpaceX); Apple (iPhone), che annovera fra i suoi investitori Warren Buffett (Berkshire Hathaway); Eric Yuan (Zoom) e Larry Page y Sergey Brin, fondatori di Google (Gmail, YouTube), le tre proprietà del conglomerato Alphabet, e altre corporation come la newyorchese Verizon (Yahoo!), entrambe di proprietà del fondo di investimento The Vanguard Group e BlackRock, tutte legate al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

Negli ultimi 25 anni di neoliberismo, gli Stati Uniti si sono trasformati da Stato-impresa in uno Stato-di-sorveglianza e, come dice Shiva, Bill Gates si è trasformato nel Cristoforo Colombo dei tempi moderni, non facendo altro che conquistare territori Microsoft, da dove ha conquistato posizioni di dominio. Quel che il francese Eric Sadin chiama la siliconizzazione del mondo.

Tuttavia, la riconfigurazione del capitalismo tramite un nuovo governo mondiale plutocratico sotto egemonia statunitense nell’immediata post-pandemia (l’ipotesi di Chossudovsky descritta all’inizio) potrebbe dover affrontare come variabile l’emergere di un ordine tripolare (Russia/Cina/USA) non privo di contraddizioni e conflitti scottanti di dimensioni geopolitiche, inclusa un’eventuale guerra navale nell’Oceano Pacifico fra Stati Uniti e Cina.

A breve termine, la transizione da mondo unipolare a tripolare avrà come asse della disputa la ridefinizione digitale del mondo attraverso la conquista di tecnologie chiave come l’intelligenza artificiale, la rete 5G (imprescindibile per la sorveglianza totale) e l’infrastruttura di Internet, cosa che avrà profonde implicazioni per il futuro del commercio internazionale.

Lo scorso 25 aprile, il governo di Xi Jinping, in Cina, ha stabilito l’ecosistema blockchain (catena di blocchi) più grande del mondo, la BlockchainService Network (BSN), e la sua banca centrale ha introdotto programmi pilota per uno yuan digitale in quattro città, trasformando il gigante asiatico nella prima grande economia mondiale ad emettere una moneta digitale nazionale.

Denominata infrastruttura di infrastrutture, la BSN è chiamata ad essere la colonna vertebrale della Via Digitale della Seta, fornendo interconnettività ai soci economici della Cina lungo la Belt and Road Initiative, BRI). Così come la ferrovia, i porti e le reti elettriche di BRI collegano fisicamente il mondo con la Cina, i cavi di fibra sottomarina, le stazioni base di Huawei 5G e le soluzioni standardizzate di blockchain serviranno per migliorare la connettività digitale della Cina.

Lanciando contemporaneamente il BSN e lo yuan digitale, la Cina è pronta a impadronirsi dei benefici di una economia globale che si sta digitalizzando rapidamente. Cosa che ha una dimensione geopolitica e di disputa dell’economia, che implica una sfida alle corporation della Silicon Valley e al sogno di America first del presidente Donald Trump.

Fonte: La Jornada

Traduzione a cura di Camminar domandando

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La salute non è una merce, la sanità non è un’azienda –  Medicina Democratica

Numerose realtà associative, movimenti, anche sindacali e politici, hanno elaborato un manifesto sulla loro idea di sanità universalistica in Italia nel dopo Covid-19, per un confronto costruttivo con tutte le forze democratiche e antifasciste del paese.

CAMPAGNA DICO32/Coordinamento nazionale per il diritto alla salute

Un virus pandemico si aggira per l’Europa e scalza convinzioni e convenienze in tema di salute e di servizi sanitari. In Italia la conduzione dell’emergenza pandemica ha fatto emergere gravi inadeguatezze frutto delle politiche attuate negli ultimi due decenni.
Il servizio sanitario pubblico ha dovuto reggere l’impatto dell’emergenza mostrando limiti derivanti dal definanziamento (a favore della sanità privata) e dall’indebolimento della medicina territoriale. La sanità privata è intervenuta tardivamente, costretta dalle istituzioni. La pandemia ha mostrato gli effetti criminali, in termini di decessi aggiuntivi, della deriva del sistema sanitario, pur con differenze di gravità tra regioni. Le responsabilità dei governi, centrali e regionali, che si sono succeduti negli ultimi decenni sono divenute palesi: le leggi di privatizzazione, frutto di politiche bipartisan, sono le principali responsabili e vanno abrogate come va avversato l’approccio che le ha prodotte.

La “normalità” ante covid si è dimostrata malata e occorre una inversione di rotta. Per noi la salute non è solo uno stato di benessere psico-fisico ma il risultato del rapporto tra gli individui nel proprio contesto di vita, se quest’ultimo è malato il malessere individuale è un sintomo e occorre curare il contesto. La salute è un bene e un diritto, l’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale deve avere quale obiettivo prioritario l’attuazione di questo diritto. E’ il momento di una nuova riforma della sanità fondata sull’affermazione della salute, dell’ambiente salubre e sulla riduzione delle diseguaglianze quali diritti costituzionali da attuare da parte degli enti pubblici.

I punti focali da cui partire e sui quali poniamo l’attenzione e le proposte sono i seguenti:

– Il Servizio Sanitario Nazionale è parte dell’economia fondamentale, deve essere universale, senza discriminazioni di accesso e finanziato dalla fiscalità generale (e progressiva per reddito); il suo intervento d efficacia va misurata in termini di incremento della salute
collettiva, con strumenti come il Referto Epidemiologico Comunale, anziché di volumi e tempi di prestazioni erogate.

– La spesa sanitaria pubblica deve essere adeguata e indirizzata verso la prevenzione primaria, basata su condizioni di vita e ambientali sane, con obiettivi di salute valutati con strumenti epidemiologici e non economicistici. Il sistema sanitario pubblico deve essere costituito da personale sanitario e non sanitario, stabile e numericamente congruo, con livelli retributivi consoni e deve contare su una disponibilità di posti letto ospedalieri in linea con le esigenze di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione che si vogliono perseguire.

– I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) devono essere rimodulati e finanziati sulla base della appropriatezza e sostenuti da prove di efficacia.

– La prevenzione deve avere come perno una medicina territoriale che includa partecipazione, riconoscimento e attenzione alle esigenze sanitarie e sociali locali, alle specificità di genere e di età come pure di riconoscimento di ogni diversità.

– La medicina territoriale deve essere in costante coordinamento con il settore ospedaliero, riempiendo di contenuti la proposta delle “case della salute”, non come semplice sommatoria di ambulatori, ma come punti di incontro delle esigenze locali (servizi sanitari, socio-sanitari e sociali), cambiando il sistema di remunerazione. Anche i migranti “irregolari”, ove non ricompresi nella normativa nazionale o regionale, devono avere accesso alle cure primarie tramite un medico di medicina generale. Il sistema deve essere partecipato dagli utenti e dagli enti locali e avere anche una funzione di “sentinelle” dell’ambiente e comprendere servizi di medicina del lavoro. In una fase intermedia la proposta potrebbe partire dalla rinascita dei distretti sanitari locali. Nell’entità territoriale di base (che riprenderà il nome di Unità Socio Sanitaria Locale/USSL), confluiranno le Case della Salute e vi troverà sede il Dipartimento di Salute Mentale con i Centri di Salute Mentale, eliminando ogni forma di contenzione anche in caso di TSO le cui modalità vanno ripensate.

– I problemi di salute mentale emergenti in conseguenza dello shock pandemico e delle tensioni ubiquitarie e quotidiane nel mondo del lavoro e nella società, legate anche a disparità di genere e ad altre disuguaglianze, vanno affrontate con un adeguamento dei servizi di assistenza e prevenzione psicologica gestite da strutture apposite del SSN coordinate a livello nazionale.

– Va superata l’impostazione aziendalistica fondata esclusivamente sulle “compatibilità” economiche, slegata dai reali risultati di salute, basata sulla figura monocratica dei direttori generali; va eliminata anche la catena del “rapporto fiduciario” dei lavoratori spesso ridotti al silenzio anche in caso di gravi inadempienze dei vertici. Va azzerata la normativa che permette la libera professione intramoenia, altro fattore di diseguaglianza. Le unità sanitarie devono essere territorialmente limitate per una risposta più precisa ai problemi e per permettere una reale partecipazione della popolazione e il controllo delle attività.

– La progressiva privatizzazione in quasi ogni ambito sanitario e la concorrenza hanno indotto anche il servizio pubblico a seguire logiche produttivistiche. Va rimosso ogni finanziamento alla sanità privata, abolire le agevolazioni fiscali per la spesa sanitaria privata veicolata da assicurazioni e fondi sanitari; riprendere una programmazione sanitaria partecipata a livello locale e nazionale eliminando ogni commistione pubblico-privato che determina la privatizzazione di fatto dei servizi.

– Occorre realizzare un’industria pubblica del farmaco, dei reattivi di laboratorio e dei dispositivi biomedicali (considerando anche la presenza dell’Istituto Chimico Farmaceutico militare di Firenze) contro le speculazioni e i ricatti delle multinazionali farmaceutiche.

– Occorre intervenire nell’ambito della formazione universitaria e delle specializzazioni conseguenti evitando la precarietà dei giovani medici laureati bloccati nell’ “imbuto formativo” e dei neospecialisti che affrontano “l’imbuto lavorativo”. Il settore della formazione e ricerca in ambito sanitario e la gestione dei crediti ECM deve essere prioritariamente guidato da realtà pubbliche adeguatamente finanziate per poter essere esenti da conflitti di interesse e, dove non possibile, da provider indipendenti.

– La salute della donna va promossa a partire dal riconoscimento delle specificità, attraverso la medicina e la farmacologia di genere, tuttora misconosciute in Italia; attraverso il riconoscimento dei diritti di pari opportunità in tutti i campi, sanciti dalla Costituzione: il diritto all’autodeterminazione nelle scelte di vita, alla partecipazione, al lavoro vanno affermati con il rafforzamento di azioni strategiche di prevenzione, attraverso servizi territoriali per la sua salute, in primis i consultori.

– Le donne costituiscono il 60% dei medici sotto i 40 anni e il 78% del personale infermieristico: La pandemia ha mostrato sia il loro ruolo fondamentale nella sanità, sia la vera condizione di vita della donna: un lavoro spesso precario, retribuito in misura inferiore rispetto agli uomini, reso altresì difficile dagli impegni in attività di cura. La battaglia per il diritto alla maternità libera e consapevole è stato un cardine del movimento delle donne, ancora oggi contrastato dalla presenza di numerosi medici obiettori. La pandemia ha peggiorato la situazione e occorrono strategie efficaci di “sostegno” e prevenzione: riorganizzarsi per la difesa e il rafforzamento dei diritti delle donne a partire dal riconoscimento della medicina di genere.

– Vanno ripristinati i servizi che un tempo si chiamavano di medicina scolastica, rivalutandoli come Centri per la Salute nelle Scuole, quali servizi territoriali fondamentali.

– Occorre rinnovare una regia centrale, ma non centralistica, di un servizio sanitario davvero nazionale per diffusione e qualità dei servizi, rimuovendo ogni ipotesi di “regionalismo differenziato”, garantendo uniformità di accesso, e di qualità, alle cure in tutta la nazione
rivedendo, in prospettiva, anche il titolo V della Costituzione.

– Le residenze sanitarie assistenziali come quelle per disabili fisici e psichici vanno poste in carico al SSN: va riconosciuta la necessità di cura della persona anziana, cronica, non autosufficiente; devono avere requisiti e caratteristiche di valutazione e presa in carico, di cura, assistenza e riabilitazione uguali in tutte le Regioni rivedendo parametri e qualità, prevedendo Comitati di familiari che si riuniscono regolarmente; le strutture devono essere aperte al territorio.

– Anche la sanità animale e le produzioni alimentari sono decisive: per evitare nuovi rischi per la collettività: bisogna procedere ad una trasformazione agro-ecologica delle produzioni riconvertendo gli allevamenti intensivi, estendendo le coltivazioni biologiche e riducendo
l’uso di concimi chimici e pesticidi.

– La tutela della salute (dentro e fuori i luoghi di lavoro) e dell’ambiente sono connesse e interdipendenti e vanno affrontate in modo unitario e non distribuite su competenze diverse, regolate dai risultati di indagini epidemiologiche costanti sul territorio. I controlli devono essere esenti da qualunque conflitto d’interesse.

– Il riconoscimento delle malattie professionali deve passare dall’INAIL alle USL/ASL; il medico competente deve essere convenzionato con il SSN pubblico e non un semplice consulente (ricattabile) del datore di lavoro. Gli infortuni dei medici di base devono essere riconosciuti dall’INAIL.

 Occorre adottare una nuova organizzazione del lavoro che sia fonte di benessere per i lavoratori e non di stress: andrà previsto nel Dlgs 81/08 un titolo specifico sul rischio organizzativo, attuare l’art. 46 della Costituzione con una legge che definisca come i lavoratori partecipino alla gestione delle imprese. Dovrà essere rafforzato il ruolo dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) che devono poter partecipare attivamente alla Valutazione dei rischi.

– Va affermato l’obiettivo del MAC zero (cambio delle produzioni, eliminazione dalle produzioni delle sostanze tossiche).

Questi sono i temi per una nuova riforma che inverta il declino e la progressiva riduzione dei servizi e la deviazione dalle finalità costitutive della riforma sanitaria del 1978. Chiamiamo le associazioni, i comitati, le lavoratrici e i lavoratori, i sindacati, ad una collaborazione
a un impegno fattivo e partecipato per il raggiungimento di questi obiettivi, con una nuova stagione straordinaria di lotte per l’affermazione e la piena realizzazione del diritto alla salute per tutti, nell’ambito di un SSN pubblico dove tutela ambientale, diritto e difesa della salute, diritti sociali e del lavoro siano l’espressione della riconversione complessiva del SSN nell’interesse dei cittadini in una società più equa e rispettosa dei loro bisogni e della salute collettiva e individuale.

CAMPAGNA DICO32/COORDINAMENTO NAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
Per info e contatti: www.medicinademocratica.orgsegreteria@medicinademocratica.org

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Le haka dei Maori, dal rugby alla lotta del popolo contro il virus assassino – Michele Emmer

Più di trenta anni fa andai ad un festival estivo all’aperto di musica e balletto nell’isola veneziana di San Giorgio. Si esibiva un gruppo di ballerini e cantanti Maori. Eseguirono diversi balli tradizionali e alcune Haka, la danza resa celebre dalla famosa squadra di rugby neozelandese degli All Blacks che ne cantano e ballano una molto coreograficamente bellicosa all’inizio di ogni partita per caricarsi e demoralizzare gli avversari. Tra le canzoni che cantarono a Venezia quei Maori ve ne era una molto particolare, e per me del tutto inaspettata, la canzone si riferiva alla battaglia di Montecassino durante la seconda guerra mondiale. Una delle battaglie più sanguinose che venne combattuta in gran parte con scontri a corpo a corpo. E tra gli alleati vi partecipò anche il battaglione Maori, il famoso Ventottesimo Battaglione, in forza alla seconda divisione Neozelandese con la quale avevano combattuto in diversi fronti prima di arrivare in Italia, per l’assalto al convento di Montecassino. Erano tremilaseicento uomini. Ne morirono moltissimi e quella battaglia entrò per loro nella loro tradizione e sarà per sempre ricordata.

I Maori sono ritenuti di origine polinesiana e si pensa che siano arrivati in Nuova Zelanda nel XIII secolo sulle loro piroghe. Maori vuol dire nella loro lingua “normali” in contrapposizione con “pakeha”, gli invasori ovviamente inglesi. Gli inglesi non sono mai riusciti a sottometterli e la loro comunità continua a vivere in modo autonomo e la lingua Maori è insegnata nelle scuole. Per noi occidentali i Maori sono “indigeni”, (dal lat. indigĕna, nativo ed originario del luogo e non immigrato): sinonimi  aborigeniautoctoninativi. Il termine in seguito alla colonizzazione europea ha sin dall’inizio preso una connotazione negativa, essere umani inferiori quando non considerati nemmeno essere umani. Nessun europeo si definirebbe indigeno se non per fare della demagogia a buon mercato.

Iniziativa dell’ONU

Ora le popolazioni indigene in tempo di corona virus hanno molte difficoltà che si aggiungono a quelle che hanno in tempi diciamo così normali. Per rispondere alle esigenze delle popolazioni indigene le Nazioni Unite hanno creato nel 2002 presso la sede centrale delle NU a New York il United Nations Permanent Forum on Indigenous Issues (il Forum permanente sui problemi dei popoli indigeni).

Un gruppo di paesi che si chiama Amici dei Popoli Indigeni ha organizzato qualche giorno fa un incontro (virtuale) a Roma alla FAO, che si occupa principalmente di servizi e tecnologie per combattere la fame e mal nutrizione nel mondo. Vi hanno partecipato rappresentati di popolazioni indigene di tutto il mondo. Il Consigliere a Roma del Ministero Neozelandese per le Primary Industries (Manatu Ahu Matua in lingua Maori) Don Syme ha parlato delle ultime notizie sulle risposte che la comunità Maori sta dando al COVID-19. Il consigliere (un paheka, bianco) ha spiegato che i Maori si occupano in percentuali simili di pesca, foreste e agricoltura. Le loro comunità hanno dovuto affrontare una sfida importante con il virus e la comunità Maori ha preso diverse iniziative. La mortalità nella pandemia spagnola del 1918-19 (nata in realtà a Boston ma per la censura militare degli eserciti alleati nella prima guerra mondiale e non preoccupare i soldati alleati non se ne poteva parlare, in Spagna non c’era la guerra. Morirono migliaia di soldati). Tutte le tribù si sono occupate di tradurre nel loro linguaggio i messaggi ricevuti dal governo che erano importanti per la comunità. La mortalità tra i Maori fu sette volte più grande che tra gli europei.

I Maori hanno deciso di creare una Iwi (tribù) Forum i cui membri si sono incontrati settimanalmente con il governo per gestire la pandemia. Ora si stanno occupando, data la favorevole evoluzione della pandemia in Nuova Zelanda, molto ben gestita dal governo e dalla prima ministra Jacinda Kate Laurell Ardern della ripresa e dello sviluppo economico e del lavoro per i Maori.

Attenzione per gli anziani

Ma i Maori non hanno aspettato che il governo si muovesse, allestendo metodologie, iniziative ovviamente anche sanitarie, che hanno avuto un grande successo tra la popolazione. Una tribù ha fatto un accordo con un distributore locale ed hanno acquistato sotto costo delle uova di Pasqua da distribuire a tutte le persone Maori anziane. (Kaumatua). Un rete telefonica ha consentito ai Kaumatua di essere chiamati regolarmente per controllare la loro salute e per sapere se necessitavano di qualche cosa, fosse solo una voce amica, ovvero legna per l’inverno, latte, pane, medicine. Manaakitanga (ospitalità/rispetto) in azione per dimostrare tino tangatiratanga (controllo politico dei propri affari). L’impatto di queste iniziative è stato così buono che ora le Iwi  hanno acquistato una padronanza positiva dei loro mezzi di intervento.

Da soli hanno organizzato blocchi stradali per non far arrivare turisti e vacanzieri del weekend nelle zone Maori, le zone rosse.  Il motivo è che in alcune zone Maori vi è un solo dottore e pochissime infermiere che non avrebbero potuto aiutare anche gente da fuori.  In caso di discussioni con i proprietari di seconde case, intervento molto pacifico della polizia. Il ruolo della informazione, giornali e TV è stato fondamentale nel ricordare la storia della nuova Zelanda ed in particolare dell’accordo di  pace tra inglesi e Maori detto di Waitangi del 6 febbraio del 1840.

Grande impatto il virus ha avuto sulla cultura Maori. Vietati i funerali (tangi), le riunioni ( hui) e saluti tradizionali (hararu).Ma la comunità ha privilegiato la sopravvivenza.

La risposta del governo è avvenuta tramite le agenzie Tu Kotahi, dirette dal ministero del Tesoro mentre la agenzia Te Arawhiti finanzia le tribù per le risposte a livello locale per il lavoro e per i sussidi ai disoccupati. Fondi anche per le imprese che non hanno avuto grande impatto tra i Maori.

Infine Te Puni Kokiri per investigare e tenere sotto controllo quanto accade alla comunità Maori per poter intervenire efficacemente. Insomma non solo rugby ma una civiltà che si difende e vuole continuare a vivere. E guardare al futuro.

http://www.strisciarossa.it/le-haka-dei-maori-dal-rugby-alla-battaglia-del-popolo-contro-il-virus-assassino/

 

“Nessun profitto sulla pandemia. Vaccino anti-Covid gratis per tutti”: la campagna europea della Sinistra – Daniele Nalbone

Di fronte a una pandemia, tutti hanno diritto alla cura. Tutti dovrebbero avere accesso a un vaccino o a un trattamento contro il Covid-19. Il Gruppo parlamentare della Sinistra Europea, insieme a tredici partiti della sinistra tra cui gli italiani Rifondazione comunista e Potere al popolo, lancia una petizione online per chiedere che la Ue intervenga, che i soldi pubblici dati per la ricerca non siano usati per i profitti di pochi, ma per il benessere di tutti. “Le cure e i vaccini contro le pandemie devono diventare un bene pubblico globale”. Marc Botenga: “Come disse colui che trovò il primo vaccino anti-poliomelite, Jonas Salk, non si può brevettare il sole”.

Insieme a tredici partiti europei di sinistra, il gruppo della Sinistra unitaria europea ha lanciato una campagna per garantire l’accessibilità gratuita al vaccino anti-Covid. Come spiegato a MicroMega nell’intervista dello scorso 27 maggio da Marc Botenga, eurodeputato GUE/NGL, “la prima forma di cooperazione” per contrastare l’epidemia “deve riguardare proprio lo sviluppo dei farmaci e dei vaccini. Ormai è chiaro che ciò che farà la differenza per superare questa fase sarà proprio la ricerca farmaceutica. Il problema, in questo settore, si chiama concorrenza. A livello universitario c’è una grande collaborazione europea e mondiale ma manca una linea politica che intervenga su questo aspetto. Lo scoglio più grande è quello relativo alla proprietà intellettuale del futuro vaccino. La domanda da porsi è: la ricerca, finanziata in gran parte pubblicamente può essere commercializzata, privatizzata da un’azienda?”.

Per sconfiggere la pandemia il futuro vaccino – o “un” futuro vaccino – deve essere accessibile a tutti. “Questa non è solo una questione di giustizia” spiega Botenga a MicroMega, “ma anche di salute pubblica. Il vaccino contro la polio è entrato sui mercati senza brevetti e la malattia è stata ormai estirpata in molte regioni del mondo”. Al momento, invece, la strada per il vaccino anti-Covid sembra andare nella direzione opposta: tutto lascia pensare che la “cura” potrebbe invece essere brevettata ed essere, quindi, di proprietà di aziende private.

“Non c’è niente di più deprimente che non sapere come curare le persone” denuncia l’eurodeputata Kateřina Konečná, membro del comitato ENVI (Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare): “Niente è più prezioso della vita umana. Tuttavia, temo che quando verrà scoperto il vaccino, ancora una volta, un gruppo di persone resterà escluso: chi non potrà permettersela”.

Il presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha promesso che il vaccino, una volta trovato, sarebbe diventato un bene pubblico. Tuttavia, di tali promesse non c’è traccia nella strategia europea per i vaccini. La petizione, lanciata oggi, chiede che la presidente della Commissione cambi velocemente rotta. Tradotto, per Konečná, il vaccino dovrebbe “essere liberamente disponibile”. La ricerca, spiega, “è stata finanziata direttamente dagli europei o dai loro stati” e “sarebbe assurdo dovere ora pagare il vaccino”.

Il modello preso dai tredici partiti della sinistra europea è quello di Jonas Salk, medico e scienziato statunitense, batteriologo e virologo, realizzatore nella prima metà degli anni Cinquanta, del primo vaccino antipoliomielite. “A precisa domanda su chi avesse ottenuto il brevetto per il vaccino contro la polio, rispose: ‘Il popolo. Non c’è brevetto. Potremmo brevettare forse il sole?’. Così il vaccino contro la poliomelite entrò sul mercato internazionale in maniera libera. Ecco, per il vaccino contro il Coronavirus dobbiamo seguire la strada indicata da Salk” sottolinea Botenga.

Strumenti per andare in questa direzione? L’Ue ha una serie di leve per raggiungere questo obiettivo. Uno, il più rapido ed efficace, sarebbe quello di inserire la non remunerazione del vaccino all’interno delle norme che disciplinano il gettito fiscale dell’industria farmaceutica. Inoltre “l’OMS ha istituto una banca dati di tutti brevetti” spiega Botenga: “Tutti i dati delle ricerche possono quindi essere riuniti e poi condivisi in tutto il mondo. L’Ue deve chiedere che i medicinali sviluppati con fondi pubblici per la ricerca siano inclusi all’interno di questa banca dati”. Il rischio, però, è che il vaccino venga sviluppato da chi non ha attinto ai fondi europei. Ma anche qui una soluzione ci sarebbe: l’Ue, volendo, potrebbe infanti rompere ogni tipo di possibile monopolio attraverso delle “licenze obbligatorie” da ottenere prima di mettere in commercio il farmaco.

Il problema, a Bruxelles, è chiaro. Così come chiare sarebbero le soluzioni. Quella che va fatta, in questo momento, è una scelta politica. Da qui la decisione di dar vita a una petizione – che può essere firmata su https://www.right2cure.eu/ – promossa dalla Sinistra europea e da tredici partiti, per fare pressione sulla Commissione europea “affinché mantenga la sua promessa”: vaccino libero e gratis per tutti.

da qui

 

Pandemia, ignoranza e nuovi luoghi collettivi – Alain Badiou

Pubblichiamo, in accordo con l’autore, la traduzione italiana di un breve articolo di Alain Badiou, apparso in francese sulle pagine di Libération, il 2 giugno 2020, all’interno del quale il filosofo francese – che era già intervenuto sul tema in un breve testo (https://www.doppiozero.com/materiali/sulla-situazione-epidemica) – torna a riflettere, dopo il tempo ragionevole di una latenza, sulla pandemia e sulla maniera in cui le sue conseguenze intersecano il piano della riflessione scientifica e politica.

Sul piano dell’amministrazione degli stati, Badiou evidenzia come l’emergenza pandemica non abbia prodotto alcun cambiamento, se non una serie di piccole variazioni sul piano della gestione della situazione, tutte tese a conservare e a ripristinare quella normalità di cui la pandemia ha mostrato, in modo tragico, i limiti evidenti. Anche sul piano delle scienze, “uno dei rari campi dell’attività umana – secondo il filosofo francese – che merita fiducia, uno dei principali tesori comuni dell’umanità”, i rischi non sono minori, nella misura in cui la presa ideologica delle “false scienze”, degli “assurdi miracoli”, delle “anticaglie” e degli “impostori”, priva quella stessa attività umana della possibilità di investire le proprie forze in processi di invenzione, unici reali vettori di cambiamento.

Tuttavia, l’avanzamento di questa coltre oscura non impedisce al pensiero di rivendicare i propri spazi di invenzione e creazione. E sono proprio gli spazi deputati alla produzione di tutto ciò che, secondo Badiou, devono dettare il programma di una possibile azione politica reale. Scuole, le chiama, molto genericamente, ma non a caso, il filosofo francese, facendo leva sull’esperienza dell’École des Actes di Aubervilliers, esperienza che ha visto, fin dalla sua nascita, un suo coinvolgimento attivo. “Luoghi collettivi”, vale a dire, dove si possano annodare insieme processi di invenzione e trasmissione di nuove forme di vita collettiva e, in definitiva, di pensiero.

Allora, individuare negli interstizi della situazione quei punti di rottura, che esistevano certamente anche prima della pandemia, ma a cui quest’ultima ha fornito nuovi regimi di visibilità, ed esercitare su di essi il forzamento del pensiero, per usare un termine caro a Badiou, rappresenta forse il modo migliore per fare buon uso delle conseguenze della pandemia e non cedere alla tristitia – biologica, intellettuale e politica – in cui essa ci ha fatto precipitare [Marco Ferrari, Giovanni Minozzi].

I nostri mali non provengono da Emmanuel Macron, ma dall’accoppiamento teso tra proprietà privata e concentrazione del capitale. È possibile reinventare una vita comune intorno alle scuole che riunisca intellettuali, lavoratori di tutto il mondo, artisti, per sviluppare nuove idee a partire dal reale.

La pandemia attuale è sospesa, al contempo, a una causa naturale – l’esistenza del virus e le sue modalità di trasmissione e di sussistenza, dai pipistrelli agli esseri umani – e a una causa “sociale” – il volume e la rapidità, entrambi considerevoli, dei viaggi umani, il che significa che il virus circola in poche settimane dalla Cina all’Europa e alle Americhe senza che nulla possa fermarlo, se non la cessazione di quasi tutti questo trambusto umano, il cosiddetto “confinamento”.

Sul versante degli Stati borghesi (oggi, purtroppo, non ne esistono di altro tipo), che cosa sta succedendo? Sono costretti ad adottare misure che vanno al di là della loro rigida logica di classe. Il sistema ospedaliero deve funzionare, costi quel che costi; le camere d’albergo devono essere requisite per confinare i malati; la circolazione delle persone che portano con sé il virus deve essere limitata alle frontiere, etc. Ma attraverso tutto questo, gli Stati devono imperativamente proteggere il futuro della struttura della società nel suo insieme, cioè la sua natura di classe. Governare diventa un esercizio più difficile che in circostanze meno originali. Fortunatamente per gli Stati in carica, il vero nemico dei nostri tipi di società, che non è il virus ma il comunismo, è oggi così debole che se la caveranno, almeno a breve termine, senza troppi problemi.

Dovremmo prendercela con Macron? Il regime parlamentare, che è il naturale regime politico del capitalismo sviluppato, e che rimane in Francia elogiato sotto il doppio nome feticcio di “democrazia” e “nostra Repubblica”, ne ha viste di peggio! Se Macron dev’essere scaricato, saranno gli stesso padroni del gioco a farlo, con l’applauso di ogni genere di scontenti che, negli ultimi due anni, hanno pensato che questo Macron fosse la causa di tutti i loro mali. Mentre, a dire il vero, per due secoli i nostri mali sono venuti dall’accoppiamento, al momento invero particolarmente teso, tra la proprietà privata (che possiamo celebrare e promettere a tutti) e la “legge di ferro” della concentrazione del capitale (che fa sì che, in ciò che ha di decisivo, la proprietà privata sia di beneficio solo a pochissimi).

Ciò che mi sembra pericoloso, in questa congiuntura, e che favorisce ogni forma di reazione, è l’ignoranza di queste evidenze e lo scarso credito accordato ai ragionamenti probanti e alle affermazioni scientificamente stabili. Le vere scienze rappresentano uno dei rari campi dell’attività umana che merita fiducia, uno dei principali tesori comuni dell’umanità, dalla matematica alla biologia, passando attraverso la fisica e la chimica, così come gli studi marxisti sulla società e la politica, per non parlare delle scoperte psicoanalitiche sui disagi della soggettività. Il vero problema è che la fiducia nella razionalità è molto spesso ignorante e cieca, e di conseguenza, come vediamo oggi, molte persone, forse la maggioranza, hanno fiducia anche nelle false scienze, negli assurdi miracoli, nelle anticaglie e negli impostori. Questo rende la situazione decisamente oscura e genera profezie inconsistenti sul “giorno dopo”. Ecco perché i dirigenti rivoluzionari di tutte le epoche sapevano che, senza una preparazione ideologica dell’opinione pubblica, l’azione politica è molto difficile.

Il cuore della valutazione della crisi pandemica, e di tutte le “crisi”, dovrebbe quindi essere la costituzione, da parte di tutti i militanti volontari, di una vasta rete di scuole dove tutto ciò che deve essere conosciuto per vivere, agire e creare nelle nostre società sarebbe insegnato a tutti coloro che lo desiderano.

Occorrerebbe condurre un’inchiesta internazionale su tutto ciò che può già esistere in questa direzione. Inchiesta tanto più necessaria e delicata dal momento che, in questo ambito, pullulano tutta una serie di sembianti, associativi o ufficiali, che esistono solo nella misura in cui sono al servizio, in maniera caritatevole e falsamente umanista, non dell’umanità reale, ma di un’integrazione all’ordine esistente e alle sue ineguaglianze costitutive.

Partendo dalla mia personale esperienza, posso dire che l’École des Actes, creata ad Aubervilliers con il sostegno del Théâtre de la Commune, mi sembra invece proporre un luogo ben orientato rispetto ai compiti di trasmissione e invenzione che oggi s’impongono. Questa scuola riunisce delle componenti il cui incontro è essenziale: intellettuali, operai provenienti da tutto il mondo, artisti, nonché donne, uomini e bambini di questa città multinazionale. Il loro incontro si organizza attorno a delle “assemblee” – luoghi collettivi di elaborazione d’idee nuove a partire da un’ipotesi circa l’esistenza di “leggi della vita della gente”, che necessitano di essere formulate, riconosciute e rispettate. Prima ancora dell’epidemia, vi si concepivano e apprendevano simultaneamente – a partire dalle esperienze e dalle domande del pubblico popolare, con al suo cuore i proletari nomadi (infelicemente chiamati “migranti”) – molte cose che, nelle diverse forme della razionalità, sono necessarie per sopravvivere, per parlare, per leggere, per pensare.

Delle scuole di questo tipo potrebbero altresì organizzare – l’École des Actes ne tenta l’esperienza – degli aiuti materiali e amministrativi per coloro che ne hanno bisogno, come una mensa per dei pasti caldi, un ambulatorio per assistenza medica di primo soccorso, una riflessione concreta sull’abitare, dei consulenti per l’ottenimento di diritti – quelli che esistono e quelli che dovrebbero esistere in virtù delle leggi della vita della gente. E molte altre cose alle quali non penso e che queste persone inventeranno.

Come si vede, al cuore del dispositivo c’è la forma “assemblea” e non il rapporto a dei maestri. Sul suo versante più “politico”, nel senso più ampio e aperto che oggi s’impone, l’École des Actes organizza ogni settimana – qualche volta vi ho assistito – un’assemblea cosiddetta generale, dove chiunque abbia qualcosa da dire o una domanda da porre, o una critica, o una nuova proposta, può intervenire. Gli interventi sono tradotti nelle lingue parlate all’interno della scuola. Ho visto tradurre in inglese (per le persone originarie del Bangladesh), in lingua soninke, fula e in arabo. Anche questa è una pista internazionalista assolutamente necessaria.

Si potrebbe forse chiedere a questa scuola, e a tutte le altre dello stesso tipo, ovunque si trovino, di organizzare di tanto in tanto delle assemblee aperte, dove si potrebbe discutere dei principi stessi, della necessità e del futuro di questo genere d’istituzioni. Certo, la politica esige il controllo del tempo e il sangue freddo che proteggono dalle esaltazioni utopiche, così come dalle profezie da fine del mondo. Tuttavia, combinando una prospettiva sulla situazione generale alle lezioni tratte dall’esempio concreto a cui mi riferisco, credo si possa ragionevolmente affermare che, in un futuro accessibile al pensiero, una sorta di federazione internazionale delle scuole costituirebbe una tappa importante affinché emergano almeno alcuni elementi essenziali, alcune linee di forza, di un programma politico nuovo, situato al di là tanto delle nostre false “democrazie”, quanto del fallimento dei comunismi di Stato.

Se, con un po’ di fortuna, si aprisse una discussione nuova a partire da questo tipo di proposte, la pandemia avrà avuto la chance di non essere stata, al contempo, biologicamente mortifera, intellettualmente miserabile e politicamente sterile.

Traduzione di Marco Ferrari e Giovanni Minozzi

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Riprendiamoci con-tatto – Gruppo Anticorpi solidali

“Noi abitiamo la lingua che parliamo”, dicono i filosofi del linguaggio, perché il linguaggio costruisce e definisce “cose”, concetti e simboli del mondo in cui viviamo. Usare le parole che si fanno (e ci fanno) capire, che rendono trasparente e non manipolabile ciò che scambiamo tra noi – perché sono vicine alle nostre esistenze individuali e collettive – significa creare una narrazione incarnata nella vita, nella materialità dei corpi e delle esperienze che attraversiamo, donne, uomini, tutto, nel nostro cammino verso un’esistenza degna.

Il virus che sta colonizzando il nostro pianeta è la dimostrazione che viviamo nel più complesso dei mondi possibili, multiverso globale e sistema di sistemi nel quale, secondo il suggestivo assunto del matematico e meteorologo Edward Lorenz, “il battito d’ali di una farfalla in Brasile provoca un tornado in Texas”. Troppo spesso, al contrario, i racconti della pandemia, con l’utilizzo fuorviante del paradigma e della metafora bellica, hanno ridotto il fenomeno epidemico a pura dicotomia di potenza tra noi e un nemico, il virus “reso umano”, occultando le infinite interconnessioni, gli intrecci, i fili spessi o sottili che legano le persone tra loro e le persone alla natura – in una parola l’ecosistema e le sue interazioni – e nascondendo le nostre pesanti responsabilità sotto il tappeto del salotto buono.

Da quando ha cominciato a diffondersi la pandemia, una narrazione erronea ha costruito falsi immaginari, che impediscono alle comunità (di) viventi di progettare soluzioni solidali e di giustizia sociale, ambientale e di genere, per uscire dalla crisi emergenziale attraverso il rifiuto della tanto evocata normalità, che ha rappresentato in realtà il problema all’origine del disastro attuale.

Anche in questa nuova fase, non ancora post pandemica, in cui siamo comunque alle prese con la riapertura di spazi e attività, una narrativa erronea e manipolatoria induce a creare polarizzazioni contrapposte, che creano stress e mettono alla prova le modalità di incontro, confronto e azione delle nostre comunità e degli spazi di solidarietà e politica “dal basso” che attraversiamo.

Mentre facciamo le nostre “prove di ripresa”, incalzat* da eventi che richiedono la nostra presenza nei luoghi dell’attivismo – non più solo virtuali – e nello spazio pubblico della testimonianza e della lotta, ci poniamo alcune domande che riteniamo essenziali, proponendo a tutt* di costruire insieme una molteplicità di risposte collettive e di creare un patrimonio comune di modi e pratiche co-costruite e scambiabili.

È dunque possibile: proporre una narrazione che tenga conto della complessità e rifugga dalle contrapposizioni manichee? creare trame di racconti intessuti dell’esperienza viva e materiale dei corpi, alternative a quelle dominanti? concepire immaginari del presente che evochino potenzialità trasformative e progettare intrepide e sfidanti incursioni nel futuro, già dietro l’angolo? porci domande evitando la trappola delle risposte affrettate e riduttive (mascherina sì, mascherina no; distanziamento sì, distanziamento no; …) – che ci privano della possibilità di usare le mille sfumature del grigio di cui si tingono le nostre comunità includenti e riflessive – e uscendo dall’escludente bicromia del bianco e nero? originare saperi esperienziali che scaturiscono dalle lotte, saperi “dal basso”, per sottrarre le nostre vite alla tirannia dell’espertismo “dall’alto”?

Le risposte cerchiamo di darle insieme a voi, che sicuramente leggerete questo libriccino di servizio con lo spirito de* pertinaci fabbricanti di futuro.

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