Le donne con le dita tagliate

di Barbara Bonomi Romagnoli

Paola Tabet, etnologa che ha insegnato nell’Università di Siena e poi della Calabria, ha pubblicato di recente per Ediesse «Le dita tagliate», un volume prezioso che

 

raccoglie una sintesi dei suoi lavori e, per la prima volta, la traduzione italiana di due saggi originariamente scritti in francese: «Le mani, gli utensili, le armi» (1979) e «Fertilità naturale, riproduzione forzata» (1985).

Tabet è stata in stretto contatto con il gruppo francese di Questions féministes (Nicole Cl. Mathieu, Colette Guillaumin, Monique Wittig, Christine Delphy) e ha svolto moltissima ricerca sul campo in giro per il mondo, ha redatto un rapporto sulla prostituzione per l’Unesco e ha spaziato in diversi campi di ricerca, dalla filologia dei testi popolari alla costruzione sociale della differenza fra i sessi.

In una interessante intervista rilasciata al sociologo francese Mathieu Trachman, e riportata nell’appendice del volume, Tabet di sé dice di essere cresciuta in una famiglia di intellettuali comunisti, costretti a emigrare negli Usa durante il fascismo, di essere uscita dal Pci dopo i fatti d’Ungheria del ’56, di aver conosciuto in Tunisia una comunità hippies della West Coast dove ha vissuto per un periodo, e di aver cresciuto per alcuni anni i suoi figli in alcune comuni in Italia dove ha sperimentato, nei fatti, lo squilibrio di potere nei rapporti fra uomini e donne. Una vita intensa, che si riflette nel lavoro intellettuale dell’autrice la quale chiarisce nell’introduzione quale è stato, dagli anni Settanta in poi, il suo ambito di ricerca e il centro della sua analisi: «il rapporto fra i due sessi, un rapporto di dominio degli uomini sulle donne, un rapporto di classe che esiste nelle società che conosciamo da quelle più semplici, le società di caccia e raccolta, fino alle società capitalistiche attuali. La ricerca è partita dallo studio della divisione sessuale del lavoro e dell’accesso differenziato dei due sessi agli strumenti e alle armi, poi ho analizzato l’organizzazione sociale della riproduzione e della sua imposizione e infine lo scambio sessuo-economico, cioè il continuum di rapporti economici e sessuali che va dal matrimonio alla prostituzione». E conclude: «Questo libro dunque non è un romanzo».

No, non lo è. A partire dalla scelta del titolo «Le dita tagliate» per riferirsi a una comunità da lei studiata: «se le dita delle bambine dei Dugum Dani della Nuova Guinea si possono tagliare come donazione nelle cerimonie funebri – tranne il pollice e uno o due dita che basteranno loro per svolgere i lavori destinati alle donne – possiamo metaforicamente dire che tutte le donne hanno le dita tagliate? Sì, perché esiste ancora e largamente un gap tecnologico tra uomini e donne, un gap che appare chiaramente fin dalle società di caccia e raccolta, e che con l’evoluzione tecnica si è allargato a forbice e continua in varie forme nelle società industrializzate. Bisogna allora ricercare i fattori oggettivi, le costanti della divisione sessuale del lavoro e del rapporto di classe tra donne e uomini».

Tematiche cruciali che Tabet indaga anche attraverso il confronto costante con altri studi antropologici, a loro volta sessisti e androcentrici, per i quali – a esempio – lo stupro di gruppo di donne nelle prime notti di nozze, presente in diverse popolazioni dalla Polinesia all’Asia, può essere considerato «la punizione di una donna che rifiutava regolarmente le avances sessuali di suo marito«». Un altro modo per dire: «se lo è cercato».

Paola Tabet, con sguardo critico e femminista, smonta pezzo per pezzo questi modelli interni agli stessi studi etnografici e antropologici, svela come anche la sessualità sia una costruzione politica e simbolica fondata su un sistema che unisce sfruttamento economico, oppressione sociale e limitazione della conoscenza in un insieme complesso e straordinariamente compatto. Al punto che – scrive Tabet in chiusura di uno dei suoi saggi: «come in un gioco di prestigio scompare il lavoro delle donne, il lavoro di produzione e il lavoro di riproduzione – la riproduzione come lavoro – e viene occultata l’espropriazione delle risorse e dei mezzi di produzione da loro subita. Con un ribaltamento ideologico della realtà, dominazione e sfruttamento appaiono come ovvii, legati alla diversa “natura” dei due sessi. Una duplice beffa sta così alla base dei rapporti di classe tra i sessi che hanno dato e ancora danno agli uomini, società per società, il potere economico, giuridico e politico. Come gli operai di Nìmes ai quali Flora Tristan nel 1844, non riusciva a far “capire cosa significasse costituire la classe operaia” e che le dicevano: “Allora bisogna bene che ci siano i ricchi sennò come farebbero a vivere i poveri?” così le donne per vivere non possono fare a meno dell’ “aiuto” degli uomini. Il cerchio di violenza e sfruttamento di soppressione intellettuale e fisica delle donne, si chiude con questa beffa, con questa particolare amara turlupinatura specifica ai rapporti di genere».

No, questo libro non un romanzo e con sofferenza si legge di ragazze, giovani donne, adulte e anziane in ogni angolo della Terra che ancora oggi sono sottomesse, usate, violentate, piegate a pratiche considerate “civili” – come il matrimonio – che spesso sono comunque pratiche di dominio e sopraffazione. Ma è necessario leggerlo tutto per avere un utilissimo e approfondito strumento di conoscenza in più per smantellare il dominio su corpi e beni che la maggior parte degli uomini ha sulla stragrande maggioranza delle donne, se non su tutte.

 

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