Le donne di Santo Domingo

di Maria G. Di Rienzo

Sole, spiagge, mare, villaggi vacanze, lune di miele: è l’immagine usuale della Repubblica Dominicana, che conosciamo quasi esclusivamente per il turismo. In questa nazione isolana con circa dieci milioni di abitanti, in cui una persona su tre vive in povertà, ogni due giorni una donna muore per mano di un partner, di un fidanzato o di un marito (più di 1.000 negli ultimi cinque anni) e solo nel 2010 sono stati denunciati oltre 62.000 casi di aggressioni e violenze contro donne e ragazze – dallo stupro di minorenni agli accoltellamenti con machete, questi ultimi un aspetto specifico dell’abuso domestico locale – ma solo il 4% delle denunce sono approdate a un tribunale. Considerato che un gran numero di casi non sono riportati alla polizia, la stima reale della situazione è difficile da fare. Spesso le donne ritirano le loro denunce, a causa delle minacce dei loro aggressori o della frustrazione che provano nel non vedere, per il loro caso, avanzamenti significativi verso la giustizia. Giudici e forze dell’ordine, infatti, condividono in maggioranza tutti i pregiudizi e gli stereotipi più devastanti sulla violenza contro le donne, nonostante il Paese abbia una legislazione nazionale contro la violenza di genere e riconosca la legislazione internazionale sui diritti umani.

A favorire questo stato di cose c’è una combinazione di machismo, ingerenze della Chiesa cattolica e politiche conservatrici (per essere gentili, ma forse sarebbe il caso di cominciare a chiamarle invece “oppressive”, “retrograde” e “disumane”, il che illustrerebbe meglio la situazione). La Vice procuratrice generale di Santo Domingo, Roxanna Reyes Acosta, dice che le donne decise a denunciare le violenze sono costrette a fronteggiare una molteplicità di ostacoli dapprima nella famiglia e nella comunità e poi quando entrano in contatto con la polizia e il sistema giudiziario: «A ogni livello di scontro sono obbligate a fare un passo indietro e ricadono nel ciclo della violenza, se sopravvivono. In media, ci vogliono cinque anni a una vittima di violenza domestica per riconoscere di essere tale e fino a quindici per uscirne». Roxanna sta andando contro questo andazzo a testa bassa, giacché è la donna con la carica più alta al governo, ma il minor tasso di ascolto lo ha proprio dai suoi colleghi nell’esecutivo: «La maggioranza dei leader politici sono maschi. Usualmente non vogliono guardare le cose dal punto di vista delle donne. Questo sistema ha bisogno di essere rivoluzionato».

Non sarà mai troppo presto per Altagracia, 24enne, che ogni giorno ha la tentazione di togliersi la vita. Solo il pensiero di lasciare il suo bambino la trattiene. Ogni volta in cui si guarda allo specchio vede un ammasso di cicatrici sul volto e sul petto. Il suo ex partner era deciso a finirla a colpi di machete: Altagracia fu da lui creduta morta perché era priva di sensi e sanguinava copiosamente, così si salvò. Il suo aggressore è a piede libero.

Non sarà troppo presto per Lourdes, 60enne, che ha sofferto ventitré anni di abusi prima di riuscire a separarsi dal marito: «E’ comune picchiare le donne, gli uomini si sentono perfettamente a posto, nel solco delle tradizioni. Ma io non avevo altra scelta, se volevo continuare a vivere. Mi attaccava con il machete, e ha quasi tagliato la gola a nostra figlia».

Ne’ sarà troppo presto per “Esperancita”. La ragazza conosciuta con questo nome ha 16 anni e rischia di morire di cancro (leucemia acuta) perché le è stato proibito per parecchie settimane di sottoporsi alle terapie del caso: Esperancita è incinta di due mesi e mezzo, e la chemioterapia molto probabilmente porrà termine alla sua gravidanza. Esperancita non può abortire legalmente: a seguito di un cambiamento costituzionale del 2010 nella Repubblica Dominicana l’interruzione di gravidanza è proibita in qualsiasi circostanza, anche quando la vita della madre è in pericolo.

La ginecologa Lilliam Fondeur che ha sollevato il caso dalle pagine del quotidiano «El Nacional», le femministe dominicane che hanno protestato pubblicamente con ogni mezzo e la madre della ragazzina – che ha implorato sulle ginocchia il ministero della Sanità – nonché l’enorme pressione dell’opinione pubblica, hanno ottenuto l’inizio delle cure per Esperancita.

Lilliam Fondeur ha ancora riserve: «L’ospedale dice di aver iniziato il trattamento, ma non è chiaro cosa sia accaduto prima. I fatti relativi al caso sono stati velocemente coperti. Per cui è bene vigilare. Speriamo che questa storia serva come simbolo, a dimostrare che la vita della madre deve sempre venire per prima. Per il momento è il simbolo del quotidiano delle donne povere, che non possono comprarsi gli aborti, mentre le ricche vanno negli Stati Uniti».

Gioverà ricordare che nei paesi in cui l’interruzione di gravidanza è totalmente proibita, il tasso di mortalità materna sale decisamente, perché i medici temono di provvedere trattamenti che salvino la vita della madre mettendo in pericolo la gravidanza, o ne sono addirittura impediti.

Potrei chiudere il pezzo qui, adesso che il fondale del ridente villaggio turistico è andato in pezzi, ma c’è un ragazzo di 17 anni, Orvis, che merita una menzione. Orvis, che è membro di un’ong per i diritti dei bambini (Plan International) se ne va di gruppo in gruppo e di casa in casa ovunque fiuti la violenza domestica. Non so come vada a scuola – non ho osato chiederlo – perché ogni ora libera dalle lezioni la passa così, facendo attivismo nella provincia dominicana di Barahona.

«Nel mio villaggio c’era questo tipo che batteva continuamente la moglie con un bastone» racconta Orvis: «Lui pensava fosse suo diritto il farlo, e così ogni altro uomo del villaggio. Io gli ho detto che stava commettendo un crimine e che poteva finire in prigione. C’è voluta un po’ di fatica, e alcune visite, ma finalmente ha smesso. La violenza ha conseguenze devastanti e traumatiche per le donne che la subiscono e per i loro bambini, anche quando questi ultimi la testimoniano solamente. Un contesto in cui la violenza diventa normale e usuale può innescare un ciclo violento senza fine».

Non è bello ascoltare qualcuno che ha le idee chiare, una volta tanto?

BREVE NOTA

Gli articoli di Maria G. Di Rienzo sono ripresi – come le sue suoi traduzioni – dal bellissimo blog lunanuvola.wordpress.com/. Il suo ultimo libro è “Voci dalla rete: come le donne stanno cambiando il mondo: una mia recensione – Voci dalla rete – è qui alla data 2 luglio 2011. (db)

Redazione
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  • Un po’ presuntuoso,il ragazzo,ma tutto sommato dice il vero. Ciao! Andrea

  • Orvis ha ricevuto fior di training (genere, infanzia, risoluzione dei conflitti) per fare quel che fa. E non ha nemmeno “presunto” di poter disertare dai ranghi dei “veri uomini-odiatori di donne” senza che qualcuno gli desse, almeno, del presuntuoso. Maria G. Di Rienzo

  • Siamo alle definizione di categorie? il commento si sofferma sulla presunzione del ragazzo? Non so , nella mia cultura isolana e sarda, e Santo Domingo isola è, certe ” sottigliezze” sulla presunzione sono vane , ciò che conta è il risultato in solido: un uomo giovane, ha intrapreso la battaglia in difesa delle donne maltrattate. Sarà qualcosa di cui parlare, che porrà dubbi e scalfirà comunque le coscienze , se non dei compagni-padroni almeno dei figli.. Ce ne fossero di Orvis in giro.

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