Le gocce contro il macigno del potere in Nicaragua

Quella aurea “magica” di cavaliere senza macchia e senza paura che Daniel Ortega si è costruito si scontra con i mille scheletri nell’armadio del padre padrone del paese, abile a nascondere i suoi trascorsi poco onorevoli fin dai tempi della guerriglia antisomozista.

di Bái Qiú’ēn

Così stavano le cose quando Aureliano José disertò dalle truppe federaliste del Nicaragua… (Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine, 1967)

Il 19 luglio 1979 i giovani, gli operai e i contadini del Nicaragua rovesciarono l’odiata dittatura della dinastia Somoza, che aveva tenuto sottomesso il Paese per 43 anni consecutivi. Il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), gruppo guerrigliero che quattro anni prima contava appena 500 combattenti (poco meno di 1.500 alla vigilia del 19 luglio), andava al potere spinto dal movimento insurrezionale delle masse. Quel piccolo Paese di appena tre milioni di abitanti, diventava immediatamente un esempio e un punto di riferimento per tutte le persone oppresse e sfruttate del mondo.

Nell’ultimo decennio, però, la triste e dolorosa parabola involutiva politica del Nicaragua prosegue senza sosta, come una foglia ingiallita che prima o poi è destinata a staccarsi dal ramo e cadere al suolo. È un dato di fatto innegabile, che soltanto chi non lo vuole vedere, non lo vede. Il comportamento del potere orteguista dal 2018 a oggi ha dichiarato «traditore della Patria» un numero imprecisato di personaggi sia dell’opposizione sia legati storicamente al FSLN, spesso in posti dirigenziali di vari enti, istituzioni o ministeri. Espellendone un buon numero dal Paese e togliendo loro la nazionalità e ogni diritto civile e politico (rendendoli apolidi e cancellandoli persino dai registri anagrafici). È sempre più evidente dopo le proteste popolari del 2018 il comandante Daniel con la compañera Rosario e i loro sodali vivano però nel costante timore panico di una diserzione dalle Forze armate e dalla Polizia non è una novità. Dalla prima modifica alla Costituzione nel 2009 che gli consentiva essere eletto indefinitamente alla presidenza della Repubblica, è palese la parabola involutiva di colui che negli anni Ottanta era visto, sia internamente sia a livello internazionale, come un esempio di liberazione degli oppressi e di lotta contro ogni forma di totalitarismo: fin dalla rielezione nel 2007 ha iniziato a ridurre gli spazi di democrazia e represso ogni forma di dissenso (soprattutto quello interno allo stesso FSLN).

Quella aurea “magica” di cavaliere senza macchia e senza paura era invece pieno di magagne accuratamente occultate e Daniel viveva nel terrore che fossero rese di pubblico dominio, soprattutto dopo la denuncia della figliastra Zoilamérica per abuso sessuale.

È infatti poco noto (perché tenuto nascosto con estrema cura) che colui che dal 2007 ricopre nuovamente il ruolo istituzionale di presidente della Repubblica, fu espulso dal FSLN nel 1977 (non fu il solo, ma per la carica che oggi ricopre è senza dubbio il più importante). La motivazione di questo provvedimento sanzionatorio è contenuta nel Comunicato n. 40 della Direzione nazionale: «liberato dalle carceri somoziste dal FSLN dopo oltre sei anni di prigionia, gli fu ordinato di rientrare in Nicaragua nel maggio 1976, disertando un mese dopo e abbandonando il Paese all’inizio del 1977»*. Praticamente fino al luglio 1979 visse in Costa Rica, con rari momenti di rientro in Nicaragua, e l’unico scontro a fuoco al quale partecipò, fu il fallito tentativo di conquistare la caserma della Guardia nacional a San Fabián (Ocotal) il 13 ottobre 1977. La sua diserzione fu la causa del provvedimento di espulsione dall’organizzazione politico-militare che stava conducendo la impari lotta contro la dittatura. È lo stesso personaggio che nel 1967, nel corso degli interrogatori nei giorni successivi all’arresto, aveva immediatamente denunciato 57 suoi stessi compagni di lotta e rivelato l’ubicazione di una decina di casas de seguridad**. Prima delatore e poi disertore, termini che, nella Neolingua imperante oggi in Nicaragua, si trasformano in eroe e combattente che ni se vende ni se rinde.

Tornando all’attualità, già nel luglio del 2023 era stata approvata una modifica alla legge sulla Polizia (n. 872 del 2014) e alla stessa Costituzione (art. 97) che ne cancellava la natura apartitica e stabiliva che il capo supremo delle forze dell’ordine era il presidente della Repubblica non il ministro dell’Interno. Nel testo della legge sulla polizia furono modificati tre articoli, stabilendo che «Il personale di polizia che abbandona il servizio, considerato diserzione, recando grave danno alla sicurezza dei cittadini, sarà punito con una pena da due a tre anni di reclusione». Con ciò si ammetteva l’esistenza del fenomeno della “diserzione” da parte di alcuni poliziotti in servizio (pochi o molti non è dato saperlo) e la stessa cosa è avvenuta nelle file dell’esercito a partire dal 2018, ma non era necessaria alcuna modifica al Codice e al Regolamento militare che già prevedevano pene di vario genere per i disertori (a seconda della gravità).

In concomitanza con la recente modifica “parziale” della Costituzione, il 18 novembre 2024, in qualità di eterno presidente della Repubblica, Daniel ha ordinato all’Asamblea Nacional di riformare una settantina di articoli della legge migratoria e di aggiungerne uno al Codice penale. Sia gli uni sia l’altro avevano e hanno come obiettivo frenare o quanto meno limitare la sempre più massiccia fuga all’estero dei nicaraguensi attraverso i cosiddetti «puntos ciegos», senza transitare per i regolari posti di frontiera. Nonostante le centinaia di migliaia di passaporti rilasciati dal 2018 a oggi (rimpinguando in tal modo le casse statali), in base a una vera e propria lista di proscrizione («restricción migratoria») da anni si impedisce l’espatrio legale di buona parte dei nicaraguensi, sequestrandogli il passaporto alla frontiera e rimandandoli alle proprie località di residenza. Per espatriare sono perciò obbligati a utilizzare i cosiddetti «puntos ciegos». Come corollario, a una massa enorme di loro non solo è impedito il rientro regolare nel Paese ma i consolati nicaraguensi si rifiutano di rinnovare i passaporti scaduti.

Dopo la “fuga” nel gennaio del 2019 di Rafael Payo Solís, alto magistrato della Corte suprema nonché testimone di nozze di Daniel e Rosario, tutti i funzionari statali e pubblici devono avere il permesso scritto di Daniel per poter uscire dal Paese, anche se hanno la comprovata necessità di cure mediche urgenti non effettuabili in Nicaragua. Dopo di lui, altri magistrati e funzionari statali sono fuggiti all’estero. Il terrore del potere orteguista è che possano rivelare informazioni riservate o controproducenti e lo stesso divieto di espatrio vale per i dirigenti delle organizzazioni politicamente legate o affini all’orteguismo (sindacati e associazioni di vario tipo).

Per non dare adito a dubbi, un nuovo articolo del Codice penale istituisce il reato di «evasione dal controllo di frontiera» (art. 318 bis), prevedendo una pena dai 2 ai 6 anni di carcere oltre a l’ingente sanzione pecuniaria di US$ 1.000 per chiunque abbandoni il territorio nazionale in modo non regolare, clandestino. Se l’espatrio è effettuato con il fine del «tradimento» le pene minime e massime sono aumentate di un terzo. Viene da chiedersi: chi stabilirà l’esistenza di questa aggravante per ogni singolo caso? È assai probabile che sarà applicata a tutti coloro che tentano l’espatrio clandestino, senza distinzioni.

Come in qualunque Paese del mondo, in precedenza la legge si riferiva esclusivamente ed esplicitamente agli stranieri che varcavano irregolarmente la frontiera (prevedendo per i trasgressori soltanto sanzioni amministrative e pecuniarie), con le modifiche attuali si parla in modo generico di «persone».

In buona sostanza si sta applicando un nuovo «comma 22»: chi vuole espatriare illegalmente è passibile di carcere e multa, ma non è possibile uscire dal Paese in forma legale.

L’art. 31 della Costituzione vigente dal 1987, pur con notevoli modifiche, stabiliva che «I nicaraguensi hanno il diritto di spostarsi e di stabilire la propria residenza in qualsiasi parte del territorio nazionale; entrare e uscire liberamente dal Paese». Nel nuovo testo di riforma “parziale” l’art. 24 è stato modificato con «Ogni persona ha il diritto a […] 10) Circolare e stabilire la residenza in qualsiasi parte del territorio nazionale». In nessun altro articolo è prevista la possibilità di «entrare e uscire liberamente dal Paese». In buona sostanza il passaporto è diventato un documento del tutto inutile per i nicaraguensi.

È innegabile che dal 2018 a oggi centinaia di migliaia di persone hanno abbandonato il Paese: queste nuove norme ne sono la conferma diretta, tangibile e innegabile. Secondo i dati dell’ONU alla fine del 2023 erano in totale un milione e mezzo di persone, equivalente al 22% della popolazione nicaraguense stimata. Le cause principali di questo vero e proprio esodo, oltre alla situazione politica sempre meno tollerabile, sono le condizioni materiali di vita, le disuguaglianze sociali, la povertà e l’assenza di una effettiva strategia di sviluppo economico.

In nessuna occasione Daniel, Rosario o altri, hanno però accennato a questo massiccio fenomeno migratorio, neppure per caso e involontariamente. Il silenzio avrebbe dovuto tacitare chiunque ne parlasse, ma come nascondere la “fuga” di un familiare, di un parente, di un amico, di un vicino? Ragion per cui, tutti in Nicaragua conoscono questa realtà fattuale, che soltanto la propaganda embedded svolta all’estero si ostina a negare o a minimizzare. Come giustificare la nuova normativa, tacendo o negando il fenomeno? L’unica possibilità è sostenere che sia stata emanata “in previsione di”. E, naturalmente, non si farà alcun accenno ai risultati del censimento del maggio 2024 non ancora resi noti dopo otto mesi: altra conferma, questa volta indiretta, del massiccio fenomeno migratorio. Secondo le proiezioni calcolate in base agli indici di incremento demografico la popolazione nicaraguense alla fine del 2023 doveva essere di 7.046.000 persone ma probabilmente arrivava appena ai 5.500.000 (se è corretto il dato dei migranti fornito dall’ONU): cifra equivalente a quella del 2006, prima che Daniel tornasse alla presidenza.

Se il censimento attestasse questo dato, continuare a parlare di Paradiso terrestre sarebbe impossibile. Si sa che dall’Eden si può essere scaccati, ma non risulta che i nostri biblici progenitori abbiano mai tentato di espatriare.

Inutile ragionare ancora: questo nuovo reato è diretto essenzialmente nei confronti di due “categorie” di nicaraguensi: gli oppositori di qualunque colore (che, per definizione, sono traditori della Patria) e i sandinisti non orteguisti (che, per definizione, sono disertori).

Un punto è però importante rilevare: il 18 novembre è successivo al 5, ossia al giorno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, e soprattutto al 14 novembre, quando Trump ha nominato Segretario di Stato uno dei politici repubblicani più fermi nel condannare l’orteguismo fin dal 2018: Marco Rubio. Poiché in politica le coincidenze non esistono, non è azzardato ritenere che Daniel abbia utilizzato il flusso di migranti in funzione anti-Biden (e anti-Harris), facendo volutamente il gioco di Trump su una delle questioni principali della campagna elettorale. Con la vittoria dell’isolazionista Trump, Daniel spera che diminuisca la pressione statunitense sul suo governo (anzi, che scordi persino la sua esistenza), per cui se era conveniente incrementare il più possibile l’emigrazione verso il potente vicino del Nord con forma evidente di “guerra ibrida”, oggi è meglio limitarla il più possibile con la creazione di nuovi reati e con inasprimenti delle pene. Con il “diplomatico” Rubio a gestire i rapporti internazionali, non si sa mai.

La sempre più palese inconsistenza ideologica di un FSLN monopolizzato da Daniel e Rosario (che qualcuno si ostina a definire “pragmatismo”) ha allontanato dalle sue file numerosi militanti, dirigenti, intellettuali e combattenti storici dal 2007 a oggi (soprattutto dal 2018). Se a questo fenomeno politico degenerativo si aggiunge che Daniel assomiglia sempre più al capo spirituale di una setta protestante che al leader di un partito politico di sinistra (con Rosario nelle vesti officiante quotidiano della nuova religione), la cultura politica e la “fede” dei militanti sandinisti rimasti nel Paese sono messe a dura prova.

In questa realtà non è possibile scordare la fine del protagonismo politico-sociale popolare nato nel corso della lotta guerrigliera e incentivato negli anni Ottanta ormai ridotto al logoro e vuoto slogan «El pueblo, Presidente». È sufficiente ricordare che tra le modifiche alla Costituzione, dopo aver pomposamente stabilito che «La sovranità nazionale risiede nel Popolo che esercita il proprio protagonismo attraverso strumenti di democrazia diretta, partecipando e decidendo nella costruzione del sistema politico, economico, culturale e sociale della Nazione», il nuovo art. 2 aggiunge immediatamente che «Il potere sovrano è esercitato dal Popolo attraverso le sue istituzioni e i suoi rappresentanti eletti a suffragio universale, diretto e segreto, senza che nessun’altra persona o assemblea di popolo possa rivendicare tale rappresentanza». In poche parole, la democrazia diretta sancita dal primo comma è immediatamente negata dal secondo.

Come è possibile affermare che «La sovranità nazionale risiede nel Popolo» e al contempo non si riconosca nessuna rappresentanza a qualsiasi «assemblea di popolo» se non quella uscita dalle elezioni, ossia da una forma delegata che non equivale né assomiglia alla sbandierata democrazia diretta?

Serve a poco cantare a squarciagola «Afuera, afuera pueden decir lo que quieran», poiché le parole degli esuli e degli espulsi dal Paese in questi ultimi anni, poco a poco, hanno inciso sui pensieri delle persone rimaste. In una realtà storico-sociale nella quale ha una importanza fondamentale la trasmissione orale, il passaparola funziona assai meglio e incide più in profondità degli articoli di un quotidiano di opposizione, soppresso perché más molesto que una mosca.

In ogni caso, gutta cavat lapidem, dicevano i latini e il passaparola sta scavando un abisso sempre più profondo tra i governanti e i governati (meglio: tra i regnanti e i sudditi).

Che l’attuale “seconda fase” della Rivoluzione Popolare Sandinista sia diretta da un delatore e disertore come Daniel (assieme alla sua insulsa e messianica consorte), oltre ad essere ridicolo, è poco digeribile per chi ha rischiato la vita nella lotta antisomozista per costruire un Paese libero e democratico, davvero indipendente e sovrano (che aveva scelto il non allineamento in campo internazionale). Al contempo è per loro profondamente dolorosa questa situazione, poiché è assai difficile abbandonare la loro stessa identità “affettiva”, ossia il legame con l’azione e le idee di Augusto C. Sandino: «creo que nadie tiene derecho en la tierra a ser semidiós» (1° luglio 1927). A differenza della maggior parte degli attuali governanti che si credono vere e proprie divinità scese sulla Terra a miracol mostrare, Sandino era un combattente di umili origini che mantenne intatti i propri legami con gli oppressi. In buona sostanza, diceva ciò che pensava e faceva ciò che diceva.

Nel corso della “seconda fase della Rivoluzione” si parla sempre meno di ideali, di cambiamenti di struttura socio-economica e, come conseguenza, di rivoluzione (anche se questo vocabolo resta come simbolo demagogico ogni volta che ce n’è bisogno per tentare di rinvigorire gli animi della sempre più striminzita e delusa base sandinista; ormai è però soltanto un passato lontano e pieno di gloria, che serve a prospettare un presente e un futuro che sono nelle mani esclusive di Daniel, non più in quelle delle migliaia di rivoluzionari che per vari decenni si sono dimostrati capaci di generare il cambiamento quando realmente era praticata la democrazia diretta. In un Paese nel quale la maggior parte della popolazione non era ancora nata il 19 luglio 1979 e nel 2024 l’età media era stimata di 25,6 anni (dei quali 17 vissuti nell’epoca ortego-chayista dal 2007 a oggi), esattamente come prospettò George Orwell «Una persona cresciuta con la Neolingua come sua sola lingua non avrebbe mai saputo che eguale aveva avuto un tempo anche un significato secondario di “eguale politicamente”, e che la parola libero aveva avuto quella di “intellettualmente libero”». Purtroppo per i neolinguisti al potere, ancora vivono e respirano persone che hanno mantenuto la memoria della Veterolingua e sono in grado di trasmetterne il senso e i valori alle nuove generazioni.

Quanti di costoro crederanno alla retorica dell’art. 3 della nuova Costituzione riformata? Il cui testo integrale recita:

«Lo Stato nicaraguense si fonda sui valori cristiani, sugli ideali socialisti, sulle pratiche di solidarietà, sulla cultura e sull’identità nicaraguense.

«I valori cristiani assicurano l’amore del prossimo, la riconciliazione tra fratelli e sorelle della famiglia nicaraguense, il rispetto dell’individualità e della diversità senza alcuna discriminazione, il rispetto e la parità di diritti per tutte le persone, di tutte le età e di tutte le capacità.

«Gli ideali socialisti promuovono il bene comune rispetto all’egoismo individuale, cercano di costruire una società inclusiva, giusta ed equa nella democrazia diretta e cercando di porre fine alla povertà.

«La solidarietà, come modello di vita tra i nicaraguensi, deve essere il fondamento della nostra vita, abolendo pratiche esclusiviste e privilegiando gli ingiustamente impoveriti a partire dagli interessi comuni, fraterni e complementari della nazione».

È o non è una pratica “che esclude” il non consentire la possibilità di espatrio regolare dal Paradiso terrestre? Quando il 22% della popolazione fugge da un Paese, non si tratta certamente di «egoismo individuale»: anche se la fuga avviene a livello singolo si tratta di un fenomeno che nel suo complesso è collettivo (di massa): un Oceano è fatto da miliardi di gocce.

Una alternativa per chi ancora crede negli ideali del Generale degli Uomini Liberi e in quelli del decennio degli anni Ottanta (pur con tutti i limiti e gli errori compiuti) è perciò tentare di abbandonare, in un modo o nell’altro, quella che assomiglia sempre più a una enorme prigione all’aria aperta. Fuggire è l’alternativa a quella che i dizionari della lingua spagnola, mutuandolo dal concetto di arresti domiciliari («casa por cárcel»), indicano come «País por cárcel»: «Medida cautelar personal de prohibición de salir del ámbito territorial que se determine».

È del tutto irrilevante che questa realtà fattuale sia una palese violazione dei diritti umani e soprattutto del secondo comma dell’art. 13 della Dichiarazione universale sottoscritta pure dal Nicaragua («Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese»). È però del tutto irrilevante, poiché l’art. 168 della riforma della Costituzione afferma con chiarezza che «La Costituzione Politica è la norma fondamentale della Repubblica; le altre leggi gli sono subordinate. Non avranno valore leggi, strumenti internazionali, decreti, regolamenti, ordinanze o provvedimenti che si oppongano o ne alterino le disposizioni».

Se ciò non fosse abbastanza chiaro, il successivo art. 173 stabilisce che «Il ricorso per incostituzionalità è istituito contro leggi, strumenti internazionali, decreti, regolamenti, ordinanze o provvedimenti contrari a quanto prescritto dalla Costituzione Politica, che possono essere proposti da qualsiasi cittadino».

Il Nicaragua aveva sottoscritto la Dichiarazione universale fin dalla sua emanazione il 10 dicembre 1948, quando Anastasio Somoza García deteneva il potere assoluto. Essendo uno “strumento internazionale” che sancisce una serie di diritti cancellati o ignorati dal nuovo testo della Costituzione, quanto tempo passerà prima che il “cittadino qualsiasi” Daniel Ortega decida che non ha alcun valore poiché altera e contraddice le disposizioni costituzionali?

* Di questo provvedimento sanzionatorio parla il giornalista spagnolo Federico Volpini (deceduto a Madrid il 18 aprile 2018) a pag. 77 del suo libro Desde Managua (Plaza & Janés, Barcelona 1987). Nato a Madrid, fu costretto a lasciare Spagna per aver criticato il franchismo, trasferendosi in Colombia e viaggiando in vari paesi del subcontinente. Dopo la caduta del franchismo collaborò per alcuni anni con la televisione pubblica spagnola (TVE).

Nel luglio del 2020 Marlon Sáenz Cruz (El Chino Enoc) lo rese noto su You tube. Nel febbraio del 2023 fu espulso dal Paese nel gruppo dei 222 spediti a Washington e privati della loro nazionalità.

** Il documento che riporta l’interrogatorio di Daniel con i nomi dei sandinisti da lui denunciati è stato reso noto dalla comandante Dora María Tellez nell’agosto del 2018. Il 20 novembre 1967, il quotidiano di Somoza Novedades pubblicò un articolo nel quale riassumeva il verbale dell’interrogatorio.

Redazione
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