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La Bottega del Barbieri

Le luci sono del popolo/2

Accesso all’energia e povertà energetica.

di Jonatan Nuñez, Felipe Gutiérrez Ríos – Observatorio Petrolero Sur

Punti di vista critici all’interno dell’Unione Europea

Esistono, a livello europeo, diverse organizzazioni e reti che da diversi decenni dibattono sulle situazioni di povertà energetica a partire da visioni che vanno oltre una formulazione strettamente tecnica, soprattutto in una prospettiva che considera l’accesso all’energia come un diritto.

Una di queste organizzazioni è l’Alianza contra la Pobreza Energética (Alleanza contro la povertà energetica – APE), con sede in Catalogna. L’APE è nata nel 2014, durante la grave recessione economica in cui si è trovata la Spagna dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale del 2008. Tra le numerose difficoltà che la situazione ha generato nei settori sociali più svantaggiati, una delle più pressanti è stata l’accesso all’alloggio. In un periodo in cui era impossibile per le famiglie pagare mutui e affitti – una situazione che spesso portava agli sfratti – i diversi gruppi che si sono riuniti nell’APE (organizzazioni per la casa, movimenti di disoccupati/inoccupati, gruppi ambientalisti, ecc.) hanno capito che la lotta per la casa doveva essere accompagnata da richieste di dignità. Con tale premessa era impossibile relegare la disputa all’accesso all’energia e all’acqua.

Mònica Guiteras, sociologa catalana e membro dell’APE e di Ingeniería Sin Fronteras, ritiene che, sebbene la capacità esplicativa dell’espressione “povertà energetica” sia limitata in termini strettamente tecnici, la sua presenza nei media nel contesto della crisi abitativa ha permesso di avviare discussioni più ampie. Secondo Guiteras, mettendo in evidenza le difficoltà delle famiglie nel pagare bollette elettriche superiori al loro reddito, è possibile avviare un dibattito che metta in discussione le “responsabilità delle aziende private che hanno l’incomprensibile privilegio di gestire questi servizi”. La preoccupazione si baserebbe, quindi, sull’assumere il concetto tecnico relativo agli alti prezzi dell’energia, alle inefficienze termiche degli alloggi, al basso reddito familiare e collegare tutte queste caratteristiche per politicizzarne la definizione. In definitiva, si trattava di salvare i “poveri di energia” dalla mera vittimizzazione e di sostenere il loro potere organizzativo.

Va notato che i rapporti di Ingeniería Sin Fronteras definiscono la povertà energetica come una questione di ingiustizia redistributiva nell’accesso ai servizi di base (oltre all’energia e l’acqua), un’ingiustizia generata da una combinazione di disuguaglianze nei redditi, nel prezzo di questi servizi e nelle caratteristiche delle abitazioni. Per questi specialisti la difficoltà di accesso all’energia deve essere collegata ad altri tipi di disuguaglianze, come l’ingiustizia ambientale e climatica. Questo perché il mancato accesso al consumo da parte di alcuni settori è inevitabilmente legato al sovraconsumo di altri. Gli effetti ambientali perniciosi di questa dinamica aggravano la situazione precaria dei settori del sottoconsumo.

Da questa prospettiva, quindi, le diverse ingiustizie che configurano situazioni di povertà energetica non sono compartimenti stagni dissociati l’uno dall’altro, bensì fanno parte di una logica di funzionamento sistemico composta da molteplici dimensioni interconnesse.

Si sottolinea che per risolvere le situazioni di povertà energetica non basta mettere in discussione i margini di consumo o parlare di un “consumo adeguato” prestabilito con criteri quantitativi dagli enti governativi. Si tratta di rendere conto del modo in cui le dinamiche proposte dall’attuale struttura del sistema energetico spagnolo generano l’esclusione di sacche crescenti di popolazione. Un elemento centrale di questa interpretazione è la concezione dell’energia non come un bene ma come un diritto. Secondo Guiteras, dietro le mobilitazioni guidate da queste percezioni c’è la promozione del “diritto a decidere sull’energia, il diritto a essere consultati, il diritto a non essere solo una questione gestita da esperti, a rompere con la cultura degli esperti”. Così, una delle proposte prese in considerazione da Ingeniería Sin Fronteras è che i governi garantiscano una soglia “minima vitale” di accesso all’energia, intesa come quantità basica di energia.

Allo stesso modo – senza adottare posizioni che potrebbero essere etichettate come “anti-sviluppo” – si sottolinea il diritto delle comunità ad opporsi ai megaprogetti, in particolare quando questi potrebbero comportare la perdita di forniture insostituibili. Su questa linea, Ingeniería Sin Fronteras ha presentato denunce contro aziende energetiche spagnole come, tra le altre, la Repsol e l’Unión Fenosa, perché queste aziende riprodurrebbero in Europa (su scala minore) politiche di criminalizzazione degli ambientalisti, proprio come fanno in America Latina. Questa azione corporativa contro gli attivisti si può vedere in casi come il processo a tre attivisti dell’APE da parte di Aguas de Barcelona (appartenente al gruppo Agbar-Suez) a seguito di una campagna per la cancellazione dei debiti di famiglie in situazioni di vulnerabilità.

Ingeniería Sin Fronteras sottolinea in particolare la necessaria applicazione di una prospettiva di genere nella valutazione delle situazioni di povertà energetica. Si può comprovare che le donne hanno maggiori probabilità di incontrare difficoltà nell’accesso ai servizi energetici, in particolare nelle famiglie monoparentali. Secondo Guiteras c’è una femminilizzazione della povertà in generale, che diventa molto visibile quando si analizza la povertà energetica. Dice la ricercatrice:

“C’è un divario salariale, un tetto di vetro, un equilibrio tra lavoro e vita privata molto complicato che fa sì che le donne rimangano senza generare reddito perché prolungano il loro congedo di maternità. La divisione sessuale del lavoro nel contesto attuale porta le donne a svolgere lavori meno apprezzati, meno retribuiti, più precari e con orari di lavoro ridotti”.

Infatti secondo questo rapporto, basato sulla metodologia del reddito individuale utilizzata dalla Cattedra di Inclusione Sociale dell’Università Rovira I Virgili, in Catalogna si registra un tasso di rischio energetico del 25,7% tra gli uomini, che sale al 49,7% tra le donne. La complessità del quadro si accentua solo quando il pregiudizio di genere si combina con altre vulnerabilità, come l’età avanzata o lo status di migrante.

In questo quadro complesso, l’APE si è unita alle iniziative che hanno cercato di organizzare gli abitanti di città come Barcellona, con un approccio municipalista. Secondo Guiteras, il movimento per la municipalizzazione cerca di riportare i servizi di base privatizzati nelle mani del pubblico, cercando di rendere le comunità parte attiva del processo. È interessante notare che questa proposta contrasta con le iniziative nazionali di de-privatizzazione, una differenza dovuta allo scetticismo esistente riguardo la reale possibilità di istituire organi decisionali profondamente democratici a livello nazionale.

Arrivati a questo punto, possiamo notare non solo la diversità degli approcci nella definizione di povertà energetica, ma anche il peso politico dell’intera questione. In breve, si potrebbe sostenere che cercare di concettualizzare il significato di povertà energetica implica caratterizzare le molteplici disuguaglianze che la povertà comporta, e che obbliga a tale caratterizzazione

È importante sottolineare che nella nostra regione esiste un’ampia gamma di esperienze di resistenze e organizzazioni nate per impedire la privatizzazione dei servizi pubblici e per universalizzare l’accesso a tali servizi, intendendoli come diritti. In effetti, la lotta per l’energia ha avuto alcuni capitoli molto importanti, come la “guerra del gas” in Bolivia nel 2003, le mobilitazioni indigene e contadine nell’Amazzonia ecuadoriana a causa delle conseguenze dello sfruttamento petrolifero, la rivolta sociale nella regione di Magallanes, in Cile, causata dell’aumento del prezzo del gas nel 2011; la resistenza degli e delle utenti al “tarifazo” dei servizi pubblici che il governo di Mauricio Macri voleva attuare in Argentina nel 2016, e si potrebbero fare molti altri esempi. Per affrontare la questione specifica della lotta per l’accesso all’energia con la complessità che merita, nelle sezioni che seguono ricostruiremo tre esperienze eccellenti di organizzazione dal basso nate per affrontare le difficoltà di accesso all’energia in America Latina.
Lo faremo attraverso il racconto di tre casi in Argentina, Messico e Uruguay.

Argentina e tariffa sociale: organizzarsi tra le rovine del neoliberismo

In questa sezione ricostruiremo il percorso del sistema elettrico argentino, dall’avanzamento della presenza statale nella pianificazione strategica di metà XX secolo fino alla sua frammentazione neoliberale negli anni ’90 e alla resistenza che ha suscitato. In particolare ci concentreremo sulla lotta per una tariffa sociale nella provincia di Buenos Aires, il cui epicentro organizzativo ruotava in gran parte intorno a Luz y Fuerza Mar del Plata e FeTERA.

Energia e povertà in Argentina

La matrice energetica argentina è fortemente incentrata sugli idrocarburi, che rappresentano circa l’85% del totale delle fonti primarie. Secondo il Bilancio Energetico Nazionale 2020, in quell’anno il 54,67% dell’energia del paese proveniva dal gas naturale e il 29,47% dal petrolio. In quest’ultimo settore la YPF, una società prevalentemente statale, svolge un ruolo importante, anche se il suo comportamento è regolato da logiche di mercato. La preminenza di questa società è testimoniata dal fatto che nel gennaio 2021 era il principale estrattore di idrocarburi, responsabile del recupero del 29% del gas e del 43,4% del petrolio. Su scala, questa posizione predominante si è ripetuta nella partecipazione in risorse non convenzionali estratte tramite fratturazione idraulica (fracking) a Vaca Muerta. In quel periodo la YPF ha estratto il 32% del gas e il 42,8% del petrolio di questo tipo (EJES, 2021).

Questo scenario, già complesso in termini di prospettive di sostenibilità ambientale, si aggrava ulteriormente se si guarda alle sole fonti di produzione di energia elettrica. Secondo Cammesa, nell’agosto 2021 c’era una capacità installata di 42.584 MW, di cui 25.322 MW (quasi il 60% del totale) prodotti in centrali termiche. Di queste centrali l’88,6% era alimentato a gas, il 6,5% a gasolio, il 2,9% a carbone e il 2% a olio combustibile. Questa dinamica di funzionamento del sistema elettrico con scarse prospettive ecologiche si concentrava inoltre in una ristretta fascia geografica del Paese: il 47% dell’elettricità immessa nel sistema nello stesso mese di agosto è stata consumata nelle province del Litorale e nell’Area Metropolitana di Gran Buenos Aires (Cammesa, 2021).

Dopo aver abbozzato il contesto va detto che, per caratterizzare il numero di famiglie argentine in situazione di povertà energetica o con difficoltà di accesso all’energia, ci troviamo di fronte alla difficoltà iniziale della mancanza di statistiche ufficiali in materia. Tuttavia esistono delle approssimazioni che permettono di vedere qual è la situazione a livello nazionale. Ricerche come quella di Durán (2018) propongono di realizzare questa analisi classificando come “povere” quelle famiglie che devono spendere più del 10% del loro reddito totale per soddisfare i loro bisogni energetici. Con questo approccio metodologico e utilizzando l’Indagine Permanente sulle Famiglie come base di dati, si può notare che tra il 2003 e il 2015 c’è stato un forte calo della povertà energetica, che si è ridotta dal 40% allo 0,8%. In gran parte dovuta alla politica di elevati sussidi all’elettricità attuata dai governi Kirchner, questo calo della povertà ha iniziato a invertirsi nel 2015, con l’arrivo di Mauricio Macri alla presidenza. Un’indicazione di questa inversione di tendenza è il fatto che, nel pieno del cosiddetto “tarifazo” del 2016, il numero di famiglie in povertà energetica è salito al 15,1%.

Oltre ad esprimere diverse concezioni sulla questione energetica, queste cifre mostrano la precarietà della vita in Argentina oggi, dove una parte significativa della popolazione può sostenere i propri consumi energetici di base solo grazie ai sussidi. Le difficoltà associate alle statistiche e alla tariffazione fanno sì che i contributi statali destinati ad alleviare le tariffe pagate dagli utenti non siano destinati solo ai gruppi a basso reddito, ma raggiungano anche importanti settori industriali e residenziali con redditi medi e alti. Tutto ciò rende necessario ripensare il sistema nel suo complesso e prendere in considerazione forme più progressive di erogazione dei sussidi, richiedendo al contempo l’implementazione di nuovi schemi tariffari sociali e di consumi minimi garantiti.

Più avanti potremo vedere alcune organizzazioni popolari che tendono a questi obiettivi, quando ci addentreremo nell’esperienza di Mar del Plata dei primi anni 2000.

Ascesa e declino del ruolo dello Stato nel settore elettrico

Nell’ambito della crescente presenza dello Stato in aree strategiche promossa dal primo governo di Juan Domingo Perón, nel 1946 fu creata la Dirección Nacional de Centrales Eléctricas del Estado, un’organizzazione finalizzata alla costruzione e alla gestione di centrali elettriche. Un anno dopo fu costituita Agua y Energía Eléctrica S.A., una società incaricata di sviluppare un sistema di generazione, trasporto e distribuzione di energia idroelettrica nel paese.

Con un forte cambiamento di segno politico, ma seguendo la stessa linea statalista, nel 1962 il governo nazionale concesse la generazione e la distribuzione di elettricità nella Capitale Federale e nei municipi adiacenti ai Servicios Eléctricos del Gran Buenos Aires (SEGBA), una società a capitale pubblico. Questo avanzamento fu accompagnato qualche tempo dopo, nel 1967, dalla costituzione di Hidroeléctrica Norpatagonia S.A. (Hidronor), che aveva l’obiettivo di costruire e gestire le dighe situate nel sud del paese. Un altro passo su questa traiettoria del settore elettrico fu dato nel 1978, quando la Compañía Ítalo Argentina de Electricidad (CIADE), che fino a quel momento era responsabile della fornitura di energia elettrica per gran parte della Capitale Federale, trasferì tutti i suoi beni al governo nazionale, diventando così un’azienda completamente pubblica.

Risultato di questo percorso fu che intorno al 1990 il 97% della fornitura di energia elettrica in Argentina era nelle mani dello Stato nazionale e, in misura minore, delle province (Pampa Energía, s.d.). Tuttavia, questa realtà si contrapponeva ad un cambiamento radicale nella concezione prevalente del ruolo delle aziende pubbliche. Infatti, nel 1992, con l’approvazione della Legge 24.065 da parte del governo di Carlos Saúl Menem (1989-1999), il settore dell’energia elettrica si allineò a quanto proposto in precedenza da iniziative come la Legge di Riforma dello Stato e la Legge di Emergenza Amministrativa: generare le condizioni per l’avanzamento della gestione privata su asset che fino ad allora erano stati pubblici.

In pratica questo cambiamento si realizzò attraverso la messa in opera del Marco Regulatorio Eléctrico (Quadro normativo per l’energia elettrica), che stabiliva le linee guida fondamentali per procedere con l’assegnazione di imprese a gruppi economici privati. Un elemento rilevante a questo proposito è stata la creazione dell’Ente Regulador de la Electricidad (ENRE), che doveva garantire il rispetto delle normative vigenti e il corretto funzionamento degli impianti da parte delle società aggiudicatarie, secondo determinati standard qualitativi che, presumibilmente, non potevano essere sostenuti dalla gestione statale. Rispetto alla vendita di energia dalle sue fonti di generazione, le operazioni sarebbero così passate sotto la gestione del Mercado Eléctrico Mayorista -MEM (Mercato Elettrico all’Ingrosso), la cui logica di funzionamento sarebbe stata guidata dalla definizione di prezzi di “equilibrio” attraverso il mercato spot. Nell’Area Metropolitana di Gran Buenos Aires, il risultato di questa serie di norme fu la segmentazione di SEGBA in due società private: EDENOR e EDESUR, che si sarebbero divise “equamente” la fornitura di servizi elettrici nella Capitale Federale e nei diversi comuni circostanti. Questa operazione si sarebbe ripetuta in scala su tutto il territorio nazionale (ENRE, 1998).

Si diceva che queste politiche sarebbero state finalizzate a migliorare le condizioni operative del sistema elettrico, accusato di presunta inefficienza. Si affermava, inoltre, che i principali beneficiari sarebbero stati gli utenti. Non ci fu un consenso generale su questa interpretazione, cosa che diede vita a molte resistenze.

Una di queste espressioni antagoniste alle direttive neoliberali fu quella messa in marcia dalla Federación de Trabajadores de la Energía de la República Argentina (FeTERA) e dalla sua lotta per il riconoscimento dell’energia elettrica come un diritto. Un episodio eclatante a favore di questa nuova concezione fu la proposta di una tariffa sociale per la provincia di Buenos Aires, sulla cui genesi e sviluppo ci soffermeremo nella prossima sezione.

(2. Continua)

Traduzione di Marina Zenobio per Ecor.Network.


Las luces son del pueblo. Energía, acceso y pobreza energética
Jonatan Nuñez, Felipe Gutiérrez Ríos
Observatorio Petrolero Sur, 2022 – 50 pp.


Note: 

1) Sen (2000) definisce la povertà da una prospettiva che si concentra sul soddisfacimento dei bisogni primari in senso ampio: non prende in considerazione solo il fatto di essere al di sotto di una certa soglia di redditi familiari. Da questa prospettiva, la povertà può essere espressa in termini di mortalità prematura rispetto all’aspettativa di vita nazionale, alla cattiva alimentazione, alla scarsa scolarizzazione e accesso limitato o nullo ai servizi di base, tra le altre dimensioni.

alexik

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