CI MANCA(VA) UN VENERDÌ – 40
“A me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura. Perché dietro la nostra civiltà c’è Omero, c’è Socrate, c’è Platone, c’è Aristotele, c’è Fidia. C’è l’antica Grecia col suo Partenone e la sua scoperta della Democrazia. C’è l’antica Roma con la sua grandezza, le sue leggi, il suo concetto della legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le sue strade. C’è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto dell’amore e della giustizia.[…] E poi dietro la nostra civiltà c’è il Rinascimento. C’è Leonardo da Vinci, c’è Michelangelo, c’è Raffaello, c’è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. Su su fino a Rossini e Donizetti e Verdi and Company. Quella musica senza la quale noi non sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita […]. Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all’altra cultura che c’è? Boh! Cerca cerca, io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso”, afferma Oriana Fallaci.
Mi duole ammettere che la signora Fallaci soffra di una profonda dimenticanza, che in questa sede vorrei in parte compensare. Mi duole pure che sia morta, ma penso che alla fine scriviamo sempre per chi è vivo e non tanto per chi è morto.
La signora Fallaci dimentica la grandiosità della cultura araba, quando la biblioteca di Baghdad conteneva oltre 500.000 volumi, cosa che non si poteva affermare di tutte le biblioteche delle cristianità, quando i poveri amanuensi non arrivavano, in tutta Europa, a malapena a 200.000 volumi.
E’ verissimo, la cultura araba è una cultura fortemente religiosa e soprattutto basata sul libro del Corano, dettato dall’arcangelo Gabriele a Maometto a partire dal 612. Il termine “Corano” significa “libro da recitare ad alta voce” e in effetti esso rimase tramandato oralmente per molto ma molto tempo, fino a quando i successori di Maometto non decisero di ordinarlo nella sua forma che oggi conosciamo, composto da 114 sure (capitoli), strutturati in prosa ritmica e in arabo antico.
In esso si predica l’unità e l’onnipotenza divina, Dio è chiamato Allah, letteralmente, “l’Altro” o “L’Altissimo”, a sottolineare la totale differenza di essenza del creato e la sua sottomissione alla volontà divina che tutto permea e indirizza. L’essenza stessa dell’uomo nel creato, come anche del mondo che lo circonda è la sottomissione a tale volontà imperscrutabile del divino, in attesa del giudizio finale dove saranno distribuiti equamente premi e castighi. Maometto è l’ultimo grande profeta, dopo Mosè e Gesù di Nazareth, e la nuova religione altro non è che una reazione alla perdita della purezza e unità divina, dovuta all’erronea introduzione del concetto di Trinità e Incarnazione di Dio nel figlio dell’uomo Gesù, concetto non certo nuovo, visto che altre eresie, come quella di Ario, non ritenevano Gesù nemmeno un nipote lontano di Dio.
La religione islamica entra nella vita di ogni persona con norme molto dure: a preghiera cinque volte al giorno, il digiuno nel mese del Ramadàn, l’obbligo dell’elemosina, il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita, il divieto di bere alcolici e di mangiare carne di maiale, la liceità della poligamia e il ripudio della propria moglie. La religione islamica è in certo senso combattiva, mira alla conversione o alla sottomissione degli infedeli, in nome di Allah, e a chi muore nella “guerra santa” essa promette il paradiso: negli anni in cui i Cristiani intraprendevano la terribile e sanguinaria strada delle Crociate, con le quali coglievano l’occasione di massacrare tutti i non-cristiani, gli Arabi, a seguito delle loro conquiste, si limitavano a convertire gli infedeli, senza massacrarli.
Quindi già la bilancia comincia a cambiare di peso, come si può vedere da queste semplici considerazioni superficiali, ma vorrei approfondire ancora un altro poco.
Durante il periodo di conquista, in cui i mussulmani si espandono in Egitto, in Grecia, nel nostro Occidente fino alla Spagna e in India, la loro cultura entra in contatto con altre, dando origine a un periodo culturale di grande fervore.
La filosofia greca entra prepotentemente nel mondo islamico, soprattutto quella di Aristotele, non casualmente: la tesi dell’unità assoluta di Dio è anche alla base dell’interesse nutrito dagli arabi per le scienze della natura e per la matematica, considerate come vie d’accesso all’unità della natura nella totalità dei suoi aspetti. Essi daranno, infatti, decisivi contributi all’astronomia e alla medicina, ma anche nell’ottica, grazie soprattutto a colui che i latini conosceranno come Alhazen, vissuto tra il X e l’XI secolo.
Aristotele, in sostanza, forniva attraverso le sue opere logiche la possibilità di accedere alla perfetta contemplazione del mondo delle idee intellegibili, ovvero comprensibili alla mente umana, quindi alla comprensione delle leggi razionali del creato e di conseguenza alla comprensione e all’abbandono al divino.
Una scienza nata in seguito a queste considerazioni sarà proprio l’achimia, che già nel VIII secolo ebbe un grande impulso con la figura dell’alchimista Gabir Ibn Hayyan: tale scienza, mira alla trasformazione di certi materiali, tipo i metalli, in altri molto più nobili (come l’oro), basandosi su una intuitiva simpatia che legherebbe ogni materiale all’altro. Inoltre tale scienza agirebbe anche alla purificazione dell’anima dell’alchimista medesimo, grazie alla quale egli ascenderebbe ad Allah, come ben sottolineato dal filosofo alchimista Al-Magriti, il cui testo, erroneamente attribuitogli, dall’emblematico titolo “Lo scopo del sapiente”, sarà tradotto in latino con il titolo “Picatrix”, diventando anche in Occidente, uno dei testi fondamentali per questa disciplina, in cui eccelleranno personaggi come Paracelso e Nicholas Flamel.
Anche l’algebra nasce presso gli arabi: “Al gebr al mukabala” (“La scienza delle soluzioni”) s’intitolerà il libro scritto da Ben Musa Al Kuwarizimi, operante nel IX secolo, dal cui nome sarebbe derivato nientemeno che il termine “algoritmo”, che sta ad indicare un particolare procedimento logico per ottenere le soluzioni di un problema, oltre che essere poi alla base per la programmazione informatica di base.
Nel suo scritto, egli considera la matematica, inclusa l’algebra, come una via privilegiata di accesso al mondo intelligibile, secondo l’antico insegnamento platonico, stesso pensiero espresso dal poeta persiano Omar Kayyham, per il quale tale scienze servivano all’estrazione di incognite numeriche e geometriche.
L’incontro con la cultura greca porterà alla formazione in Siria ma soprattutto ad Odessa di un centro teologico musulmano dedito alla traduzione dei testi conosciuti di Aristotele, considerato ben di più di Platone, poiché egli forniva gli strumenti necessari alle dispute teologiche, i cui traduttori più famosi furono Giacomo e Giorgio di Odessa, nel VII secolo.
Nell’815, la capitale della conquista araba viene trasferita da Damasco a Bagdhad e qui il califfo Al- Ma’mun istituì nientemeno che la già citata “Casa della Sapienza”, un centro studi teologico, scientifico e filosofico con annessa biblioteca immensa e un osservatorio astronomico.
Qui nacque la vera filosofica araba, ad opera di Al-Kindi, vissuto nel IX secolo come anche il filosofo Al-Farabi, mentre nell’ XI secolo furono in attività persone come Avicenna, Al Gazali e Averroè, per il quale valeva più la Ragione che il Corano.
Ecco dunque alcuni appunti sparsi che potranno essere tranquillamente verificati dalla lettura dei filosofi citati e dalla lettura del libro “La filosofia nel medioevo” del filosofo e storico francese Etienne Gilson.
Vorrei comunque sottolineare come in realtà tali considerazioni siano del tutto fuori luogo e privo di ogni senso: una cultura non merita rispetto in base a “quanto ha dietro alle spalle”, ma in base a essere una cultura in se stessa, con tutto il proprio bagaglio, piccolo o grande che sia.
Se è per quello, dovremmo allora tutti inchinarci dinanzi alla cultura della Cina, sicuramente secoli più avanti rispetto all’Occidente e con una Storia altrettanto travagliata alle spalle.
Di certo non è un buon esempio da seguire quello del capitano Cook, il quale, arrivando in Oceania, sterminò gli indigeni solo perchè non comprendeva il linguaggio basato sulle metafore e non sulla sintassi grammaticale dell’Occidente.
E a conclusione, vorrei riportare questo pensiero della scrittrice, attivista e insegnante americana sordo-cieca Hellen Keller, alla cui vicenda e a quella dell’istitutrice che le insegnò a interagire con il mondo fu dedicato il libro “The miracle worker” e il film “Anna dei miracoli”:”Il più grande risultato dell’educazione è la tolleranza. Tanto tempo fa, gli uomini combattevano e morivano per le loro credenze, ma ci sono volute ere per insegnare loro un altro tipo di coraggio – il coraggio di riconoscere e rispettare le credenze e la coscienza dei loro fratelli. La tolleranza è il principio primo della comunità, è lo spirito che conserva il meglio del pensiero dell’uomo”.