Le mani dell’oligarchia sul Perù
Il 7 dicembre l’azzardo del presidente Pedro Castillo, arrestato e destituito dopo aver cercato di sciogliere il Congresso, ha favorito l’arrivo al governo di Dina Boluarte, prima donna alla guida del Paese che però fa gli interessi della destra e dell’estrema destra. La manovra di Castillo è stata definita da molti analisti come un “suicidio politico”.
di David Lifodi.
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Foto: https://www.resumenlatinoamericano.org/
Il 7 dicembre, in Perù, si è consumato un “controverso” golpe: il presidente Pedro Castillo è stato destituito e arrestato dopo aver annunciato lo scioglimento del Congresso. Al suo posto, come presidenta ad interim, Dina Boluarte, prima donna alla guida del Paese, espressione di quell’oligarchia di cui ha fatto (e farà quasi certamente) gli interessi.
Lo scioglimento del Congresso deciso da Castillo, nel giorno in cui i deputati avrebbero dovuto votare lo stato di impeachment per il presidente stesso, con l’accusa di corruzione, ha accelerato i tempi di un colpo di stato avvenuto secondo modalità non dissimili in altri paesi latinoamericani.
Dina Boluarte, in qualità di vicepresidente, ha fatto cadere in un tranello Pedro Castillo, sulla scia di quanto già fatto da altri vicepresidenti: in Paraguay, grazie alle sporche manovre di Federico Franco, è caduto Fernando Lugo, mentre in Brasile è stato Temer a creare le premesse per l’estromissione di Dilma Rousseff dal Planalto.
Boluarte ha raggiunto il suo primo scopo, quello di far cadere Castillo, ma non è detto che riesca a conseguire anche il secondo, cioè resistere fino al 2026, quando si terranno le prossime presidenziali.
Su L’Antidiplomatico, Geraldina Colotti ha ricordato che il Congresso del Perù, dominato dalla destra e dall’estrema destra, ha utilizzato la Costituzione peruviana che, per esautorare un presidente dalle sue funzioni, richiede 87 voti favorevoli. L’opposizione non aveva questi numeri, ma «la decisione di Castillo di sciogliere l’organo ha cambiato radicalmente il panorama e la rimozione del presidente dalla carica ha infine raccolto 101 voti. La scelta di Castillo di sciogliere il Congresso e decretare lo stato di emergenza è stata considerata un “colpo di Stato” dai deputati di vari schieramenti, che hanno tracciato un parallelo con l’auto-golpe messo in atto dall’ex presidente Alberto Fujimori nel 1992».
Tuttavia, sono molti gli analisti politici che hanno sottolineato le responsabilità di Castillo nell’aver spalancato la strada alle destre a seguito del suo salto nel vuoto. Ad esempio, su Resumen Latinoamericano, Gustavo Espinoza Montesinos ha imputato a Castillo di non essersi coordinato con nessuno e di non aver coinvolto in alcun modo le organizzazioni sociali: «Ciò ha sorpreso la cittadinanza e il movimento popolare nel suo insieme, ed ha visto la reazione compatta dei settori più reazionari della vita nazionale».
Arrivato al potere nel giugno 2021, alla guida di Perú Libre (partito che si definisce marxista-leninista), fin dai primi giorni del suo insediamento Pedro Castillo, ex maestro rurale, ha dovuto far fronte ai continui tentativi di destabilizzazione della destra, passando da un rimpasto di governo all’altro e dovendosi guardare, inoltre, dagli attacchi interni alla sua stessa formazione politica, a cui era iscritta, prima di essere espulsa, anche Dina Boluarte, la quale è stata immediatamente riconosciuta dall’ineffabile Luis Almagro e dai governi di destra del continente non appena ha preso il potere.
Su Desinformémonos, Raúl Zibechi ha ricordato che Castillo, era giunto a sorpresa alla Casa di Pizarro «grazie ad una potente mobilitazione andina. Gli esclusi del Perù credettero di vedere nel maestro rurale e dirigente sindacale, che fu protagonista di un lungo e di successo sciopero nel 2017, uno dei loro. Per il suo modo di parlare, per il suo sombrero e i suoi modi».
A provocare quello che è stato definito come un “suicidio politico” hanno contribuito, durante tutto il suo governo, decisioni poco comprensibili, a partire dalla nomina di ministri e consiglieri poi coinvolti in casi di corruzione, finendo per allontanarsi sempre di più dall’elettorato che lo aveva sostenuto, in particolare dai movimenti sociali e offrendo così all’estrema destra il pretesto giusto per farlo cadere. Ancora Zibechi, ponendo l’accento sul suo isolamento politico, ha sottolineato che «non è possibile condurre un processo di cambiamento senza forgiare l’unità del movimento popolare, senza organizzare le masse o politicizzarle».
Difficile prevedere quale sarà il futuro del paese con Dina Boluarte. La presidenta ha chiesto una tregua politica per dar vita ad un governo di unità nazionale allo scopo di salvare il paese dalla corruzione e dal malgoverno. Del resto lei stessa, avvocato all’Universidad Particular San Martín de Porres e responsabile dell’Ufficio anagrafe del Registro nazionale di identificazione e stato civile (RENIEC) nel distretto di Lima di Surco, non ha un partito che la sostenga e non è detto che la destra non la utilizzi nel breve periodo per poi scaricarla al momento più opportuno.
Di fronte alla sconfitta di Castillo, a seguito del rifiuto delle istituzioni alla decisione di chiudere il Congresso, sancita da tutti i suoi ministri, che hanno presentato in massa le dimissioni, l’unico attore che ne esce vincitore è quell’oligarchia peruviana che farà di tutto affinché vengano ignorate le istanze popolari che chiedono nuove elezioni e un’Assemblea nazionale costituente.
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