Le perdonate

di Maria G. Di Rienzo (*)

«Qualcuna delle vostre vittime forse vi perdonerà ma il ridicolo no, non perdona».

 

Lo scorso 22 gennaio, Guadalupe (nome fittizio) è stata “perdonata”. Il Parlamento del suo paese, il Salvador, ha così annullato una sentenza a trent’anni di prigione per omicidio aggravato. Chi aveva ucciso, Guadalupe? Nessuno. Era stata stuprata, era rimasta incinta, aveva portato avanti la gravidanza giacché la legge salvadoregna non le permette di abortire in nessun caso, aveva partorito un bimbo morto.

Guadalupe, che di mestiere faceva la domestica e non è mai riuscita a finire le scuole elementari, fu interrogata quand’era ancora nel letto d’ospedale, senza avvocato. Il processo fu veloce e brutale nei suoi confronti in modo infame. Praticamente prima di capire quel che stava succedendo, Guadalupe si è trovata in cella. E ci è rimasta per sette anni. Chi deve perdonare chi?

Com’è ovvio, il “perdono” non è sgorgato dal grande cuore compassionevole dei deputati – in Parlamento c’è una maggioranza di destra – che tre giorni prima avevano votato contro il rilascio della giovane donna, ma è frutto della martellante campagna di organizzazioni femministe e della società civile, come la coalizione Agrupación Ciudadana e il Centro per i diritti riproduttivi. La loro iniziativa, «Las 17», è rimbalzata su Amnesty International, che ha lanciato una petizione affinché la legislazione sull’interruzione di gravidanza sia cambiata, e ha raggiunto l’attenzione internazionale. Dal punto di vista della propaganda, a questo punto, ogni incollato-alla-cadrega (sedia) ha pensato fosse meglio “perdonare”. Ma restano nelle carceri dozzine di donne che scontano sentenze per omicidio avendo abortito, per scelta o naturalmente. «Le 17» della campagna hanno ricevuto a questo proposito condanne che vanno dai 12 ai 40 anni di carcere: la più anziana di loro ha 29 anni.

Nella fascia d’età 13/16 sono invece le ragazze malesi “perdonate” dal governo negli stessi giorni. Il Dipartimento Islamico dei Territori Federali aveva in precedenza intimato loro di presentarsi spontaneamente per essere interrogate, altrimenti avrebbe emesso un mandato di cattura.

E cosa avevano fatto, le ragazzine, per allertare in questo modo l’Fbi locale? Sono andate a un concerto a Kuala Lumpur, del gruppo B1 A4 (polli d’allevamento “idol” del pop sudcoreano). Lo show era legale, la loro presenza era legale, non hanno infranto alcuna norma. Invitate dalla band sono salite sul palcoscenico, hanno abbracciato i loro idoli e una di loro, dotata di regolare fazzoletto, ha ricevuto un bacio sulla fronte – sulla stoffa, in realtà.

Oltraggio, scandalo, offesa-alla-nostra-religione! Hanno toccato le “nostre donne”! Le nostre donne si sono comportate da puttane! Vergonnniaaaa! (in malese). Ma poiché anche questa vicenda è stata prontamente diffusa a livello internazionale, dopo alcuni giorni risultava piuttosto evidente su chi cadeva una tonnellata di biasimo – e non erano le ragazze – perciò le autorità hanno detto che invece di arrestarle è meglio “istruirle” affinché “non sbaglino più”. Perdonate.

E’ straordinario. Fate delle nostre vite di donne e ragazze delle galere perenni. Poi avete la faccia tosta di “perdonarci” quando le femministe e chi lavora per i diritti umani vi accendono il fuoco sotto il sedere. Siete ridicoli persino quando infliggete dolore. Qualcuna delle vostre vittime forse vi perdonerà, ma il ridicolo no, non perdona.

(*) Ripreso da «Lunanuvola», il bellissimo blog di Maria G. Di Rienzo.

 

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