Le stragi del profitto

Il 9 ottobre manifestazione contro la macro-criminalità del sistema

di Paolo Cacciari e Riccardo Troisi (*)

Le leggi sono sempre subalterne alla ragione economica dell’impresa, la cui responsabilità giuridica è per definizione “limitata”. Nei rari casi in cui riesce ad emergere nei tribunali, i “colpevoli” sono solo capri espiatori di una logica di sistema che rimane intatta. Luigi Ferrajoli la chiamò “macro criminalità di sistema”. Fin dai tempi della diga del Vajont, i familiari, i sopravvissuti, i compagni di lavoro e di sventura degli uomini, delle donne, dei bambini periti nelle stragi si trovano a dover affrontare da soli e senza mezzi la ricerca della verità e del riconoscimento delle colpe. Non si tratta di giustizialismo ma di ricerca delle responsabilità sociali. Per rovesciare questa condizione di isolamento e debolezza – dopo i primi, passeggeri momenti di commozione generale – molti comitati e associazioni delle vittime hanno deciso di mettere in comune le loro esperienze, condividere le conoscenze giuridiche e rivendicare il cambiamento delle normative e delle prassi giudiziarie. Per il 9 ottobre hanno convocato una manifestazione nazionale a Roma perché “siamo tutti/e potenzialmente vittime innocenti del prossimo disastro ambientale o tecnologico”

i sono nomi di località che grondano dolore. Ad iniziare dal Vajont.  Provate a metterli uno dietro l’altro: Seveso, Stava, Casalecchio di Reno, Cavalese, Rigopiano, San Giuliano di Puglia, Amatrice, Viareggio. Alcuni sono stati ribattezzati, come la Terra dei fuochi tra Napoli e Caserta.

Ci sono nomi di località che grondano dolore. Ad iniziare dal Vajont.  Provate a metterli uno dietro l’altro: Seveso, Stava, Casalecchio di Reno, Cavalese, Rigopiano, San Giuliano di Puglia, Amatrice, Viareggio. Alcuni sono stati ribattezzati, come la Terra dei fuochi tra Napoli e Caserta.

E poi aggiungetevi: Moby Prince, Torre piloti di Genova, viadotto  Acqualonga di Avellino, ponte Morandi, ThyssenKrupp di Torino, impianti petrolchimici e siderurgici, amianto, clorurodivinile, Pcb, Pfas. Fino ad arrivare al Mottarone, “solo” l’ultimo episodio di quella che Marco Piagentini, del comitato delle vittime del disastro ferroviario di Viareggio, ha chiamato venerdì 28 maggio, nel corso di un incontro con la stampa per la presentazione di un Appello per la verità e la giustizia,  “omicidi economici, per la sfrenata ricerca di profitti di impresa” .

Da anni – da quel lontano 9 ottobre 1963, giorno della frana nell’invaso della diga del Vajont, diventato in seguito “giornata nazionale delle vittime dei disastri ambientali e industriali” –  i familiari, i sopravvissuti, i compagni di lavoro e di sventura degli uomini, delle donne, dei bambini  periti in queste stragi si trovano a dover affrontare da soli e senza mezzi la ricerca della verità e del riconoscimento delle colpe. Senza i quali non può esserci né elaborazione del lutto, né  riconciliazione, né giustizia.

Per rovesciare questa condizione di isolamento e di debolezza – che si viene a determinare dopo i primi, passeggeri momenti di commozione generale – molti comitati e associazioni delle vittime di uno stesso evento hanno deciso di mettere in comune le loro esperienze, condividere le conoscenze giuridiche e gli esperti di fiducia e rivendicare il cambiamento di una normativa e di una prassi giudiziaria che non tiene contro delle esigenze delle vittime.

È nata così, lo scorso anno a Longarone, una rete informale che unisce comitati dei disastri ambientali, industriali, trasportistici e del lavoro assieme ad avvocati, giuristi, medici, tecnici di varie discipline.

L’obiettivo è mettere a punto una piattaforma di richieste legislative e normative accompagnate da una manifestazione nazionale in presenza a Roma il prossimo 9 ottobre. “Siamo tutti/e potenzialmente vittime innocenti del prossimo disastro ambientale o tecnologico – ha detto Lucia Vastano, giornalista da sempre impegnata nei movimenti dei diritti e delle cittadinanza attiva -. La lotta dei familiari delle vittime è per fare in modo che queste sciagure non accadano più. Per questo il loro impegno deve diventare l’impegno di tutti”.

Le proposte già avanzate dal «Comitato Noi, 9 Ottobre» partono dal riconoscimento del ruolo della vittima nel procedimento giudiziario. “Le parti civili, nel processo penale – hanno detto, tra gli altri, gli avvocati Massimiliano Gabrielli e Alessandra Guarini – sono trattate nelle aule dei tribunali come ospiti scomodi e indesiderati”. Peggio, sono invitate a occuparsi solo in sede civile solamente degli eventuali risarcimenti dei danni subiti.

Il loro punto di vista non interessa ai giudici e la loro presenza con gli stessi diritti degli imputati (accesso agli atti) non è contemplata nel Codice di procedura penale. Ma, come è evidente dalle testimonianze di molti familiari, la partecipazione delle vittime ha persino una funzione terapeutica.

Non è giustizialismo, ma ricerca delle responsabilità sociali (come ha detto Gianni Devani dell’ Associazione Vittime del Salvemini) di eventi calamitosi che spesso sono ampliati dalla mancanza di prevenzione, dall’assenza di controlli pubblici, dal calcolo criminale del risparmio di costi di manutenzione. Quello che viene chiamato “illecito efficiente”, vale a dire la calcolata convenienza per le imprese a risarcire le vittime piuttosto che investire in sicurezza.

Le nostre leggi sono sempre subalterne alla ragione economica dell’impresa, la cui responsabilità giuridica è per definizione “limitata” e difficilmente individuabile in capo a singole persone. In quei pochi casi in cui le responsabilità riescono ad emergere nelle aule dei tribunali i “colpevoli” sono solo capri espiatori di una logica di sistema che rimane intatta.

Quella che un prestigioso giurista, Luigi Ferrajoli, chiamò “macro criminalità di sistema”. Lo stesso papa Bergoglio in una memorabile audizione con l’associazione internazionale di diritto penale disse: “Una delle frequenti omissioni del diritto penale (…) è la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti, in particolare la macro-delinquenza delle corporations (…) Il capitale finanziario globale è all’origine dei gravi delitti non solo contro la proprietà ma contro le persone e l’ambiente” (Città del Vaticano, 15 nov. 2019).

In conclusione il neonato Comitato Noi, 9 Ottobre, con l’ausilio di ex magistrati esperti come Raffaele Guariniello e Felice Casson, si appresta ad intervenire in tutte le sedi,  a partire dalle scuole per arrivare al legislatore, per migliorare l’organizzazione e le norme della Giustizia per contrastare ogni forma di criminalità d’impresa.

(*) ripreso da Comune-info. In “bottega” vedi anche  Il lavoro per vivere, non per morire con la proposta di una campagna di informazione e iniziativa pubblica popolare per il riconoscimento dei diritti delle vittime delle stragi causate da attività economiche finalizzate al profitto.

Redazione
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3 commenti

  • 4 giugno 2021: ancora morti per il profitto. Basta lacrime, lotta!
    una nota di Michele Michelino del “Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio” ripresa da pungolorosso.wordpress.com

    Altri 3 lavoratori sono stati assassinati, due lavoratori sono morti dentro una cisterna profonda alcuni metri nell’azienda vinicola Fratelli Martini in provincia di Cuneo, mentre un altro lavoratore, a Bergamo, è rimasto travolto da un carico di 5 quintali che stava scaricando da un mezzo pesante. Altri 3 omicidi accaduti nel totale disinteresse delle Istituzioni, Confindustria, governo, sindacati filo padronali e di una parte dell’opinione pubblica.
    Omicidi che piangono le famiglie, ma non la società del profitto che si arricchisce sullo sfruttamento e il sangue operaio. A questi omicidi si aggiungono le 8 morti giornaliere per amianto e altre decine per malattie professionali contratte sui luoghi di lavoro. Solo per cancro ogni anno si ammalano in Italia circa 370mila persone, e ne muoiono circa 500 il giorno: la maggioranza di queste malattie è di origine professionale e ambientale.
    ​Sul lavoro e per il profitto si continua a morire più che in guerra, e non si risolvono i problemi solo con “l’assunzione di 2000 ispettori”, come dichiarato dal Ministro del Lavoro Orlando.
    Solo con la lotta dei lavoratori che scioperano per la difesa della sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita, si può intervenire prima che il danno accada e prima che si producano e si piangano nuovi morti.
    Anche se spesso i dati sono falsati, perché nei morti sul lavoro non sono conteggiati i circa 3 milioni di lavoratori in nero, dai dati ufficiali INAIL risulta che in Italia nel periodo gennaio-aprile 2021, le morti per infortunio sul lavoro sono aumentate del 9,2% rispetto allo stesso periodo del 2020.
    Basta lacrime, lotta!
    Organizziamo scioperi, manifestazioni e assemblee nei luoghi di lavoro e davanti alle sedi della Confindustria e del governo per imporre nuovi protocolli di sicurezza e affermare che il diritto alla sicurezza e alla vita dei lavoratori viene prima dei bilanci aziendali e dello stato.
    I lavoratori non sono carne da macello.

  • Dopo le lacrime, cittadinanza ATTIVA! NON SUDDITI PASSIVI…..

  • RIPRESO da http://www.medicinademocratica.org

    INFORTUNI MORTALI: LAVORATORI COME AGNELLI SACRIFICALI, MA ADESSO BASTA!
    Torino 5 giugno 2021
    “Agnelli sacrificali mandati al macello! Che altro sono i lavoratori uccisi sul proprio posto di lavoro? Di fronte alla incessante e tragica sequenza di morti sul lavoro (8 nelle ultime 24 ore), occorre andare oltre il dolore e la solidarietà e perseguire la costante applicazione delle norme per la sicurezza sui luoghi di lavoro, che esistono già, ma sistematicamente bypassate, con gli effetti devastanti che abbiamo sotto gli occhi!”, ha dichiarato Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina Democratica .
    Quasi da “manuale” la tragedia di Cossano Belbo ( Cuneo) dove due lavoratori sono morti dopo essere caduti in una cisterna, Gerardo Lovisi, 45 anni e Gianni Messa, 58 anni: “I luoghi confinati” – ha aggiunto Marco Caldiroli- continuano ad essere una causa di gravissimi infortuni plurimi e, nello stesso tempo, sono tra i rischi più sottovalutati dalle aziende. Sono chiaramente contemplati nel dlgs 81 /2008 (Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro), agli Art 66, 121, e nell’allegato IV, dove vi sono indicazioni chiare e dettagliate sulle misure protettive da adottare nei lavori o luoghi in cui vi può essere scarsità di ossigeno: i due operatori stavano bonificando una cisterna (probabilmente per togliere residui di gas infiammabili come l’alcool), un luogo confinato: quando l’ossigeno si è abbassato uno è svenuto e l’altro, senza alcuna protezione, ha cercato di salvarlo decedendo anche lui.”
    L’azoto è un temibile gas inodore, di cui non ci si accorge se non quando è troppo tardi: l’ossigeno in aria ha una concentrazione normale del 21 %. Via via che si riduce si riducono prima le prestazioni fisiche, sotto l’11 % si sviene dopo pochi minuti, sotto l’8 % si muore in poco tempo.
    “E’ presumibile- ha aggiunto Marco Caldiroli che i due lavoratori non avessero con loro un misuratore di ossigeno, né idonei dispositivi di protezione individuali: questa ennesima tragedia, come tutte le altre, pone come urgenti e indilazionabili sia il basilare rispetto delle norme da parte di tutti i soggetti, ma anche l’azione diretta dei lavoratori, che devono riappropriarsi della propria sicurezza e salute, anche utilizzando il diritto al rifiuto ad esporsi a rischi gravi ed evidenti, garantito sempre dal dlgs 81.”
    Il diritto a partecipare è previsto anche nella riforma sanitaria del 1978: il SSN persegue la sicurezza sul lavoro con la partecipazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze, per prevenire ed eliminare condizioni pregiudizievoli alla salute, precetto non applicato.
    “Siamo convinti-ha sottolineato Marco Caldiroli- che gli omicidi sul lavoro non sono mai dovuti a fatalità o casualità, ma sono l’esito di inadempienze normative. Per spezzare questa catena di morti va anche ripreso il contatto e il confronto quotidiano tra rappresentanze dei lavoratori e i servizi di prevenzione delle ASL, cui sono demandati i controlli sulla sicurezza. Che gli enti pubblici adempiano al loro ruolo: l’attuazione del diritto alla salute e alla sicurezza, confrontandosi con i lavoratori e, ognuno nel suo ruolo, arricchire un percorso preventivo non basato sulla (rara) buona volontà del datore di lavoro. Se il post Covid necessita di una “società della cura”, i luoghi di lavoro pretendono da sempre una visione sociale (e un servizio sanitario) fondata sulla prevenzione: non si potrà raggiungere questo obiettivo delegando ad altri, ma solo con la partecipazione individuale e collettiva di tutti.”

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