«Lee-sten!». Un ricordo di Lee Konitz

di Giorgio Cùscito (*)

L’ho visto suonare, e suonava sempre. Cioè, voglio dire, suonava anche mentre non suonava: durante gli assoli degli altri si sedeva, magari sul bordo del piccolo palco quasi a contatto con noi del pubblico, con il suo sax contralto appeso al collo e lo sguardo nel vuoto, ma continuava a essere totalmente immerso nella musica. Ho provato a parlargli – inopinatamente – durante uno di questi momenti, ma fu come risvegliarlo da uno stato di trance. Fece un salto, mi pentii, ma imparai cosa vuol dire veramente ASCOLTARE. Un ascolto attivo, partecipe, totale come quello di un maestro Zen.

Oppure poteva notare di non essere a sua volta abbastanza ascoltato mentre suonava, magari da parte di un batterista bravo ma non abbastanza attento, e allora poteva smettere di suonare. Poteva mettersi a fischiettare, magari. E poi mettersi a ridere. Poteva fare qualsiasi cosa pur di essere ASCOLTATO. Pur di creare una vera e autentica connessione fra i musicisti sul palco. Pur di essere tutti svegli, e mai addormentati nei clichés e nelle note di maniera.

Così era Lee Konitz, classe 1927, morto il 15 aprile scorso di coronavirus a New York. Uno dei tanti, troppi musicisti di jazz uccisi in poco tempo dal nuovo, pesante male: Wallace Roney, Ellis Marsalis, Bucky Pizzarelli, Eddy Davis, di tutti Konitz è il più importante. Attivo fin dalla metà degli anni quaranta, fu in quel periodo l’unica vera alternativa al genio del sassofono contralto, Charlie Parker. All’espressionismo e alla veemenza “bluesy” di Parker, Konitz opponeva uno stile rilassatissimo ancorché efficace, dal suono timbrato e composto, quasi da musica classica: come a rimarcare – ancor più di quanto faceva Parker – l’importanza assoluta dello stile di Lester Young. Del resto, nel programma di studi del suo mentore e maestro, il formidabile pianista – originario di Aversa – Lennie Tristano, c’era la memorizzazione profonda e introiettata degli assoli dei grandi della tradizione jazzistica: fra i quali Louis Armstrong certamente, ma anche gli introversi Bix Beiderbecke e Lester Young.

Talmente originale era lo stile di Konitz che Miles Davis lo volle al suo fianco nel 1949 per il suo primo progetto da leader, le storiche registrazioni successivamente riunite sotto il titolo “Birth Of The Cool”. E durante tutti gli anni cinquanta consolidò la propria arte dell’improvvisazione “pura” assieme all’amico e anima gemella musicale Warne Marsh, anche lui proveniente dalla scuola di Tristano.

Successivamente la popolarità di Konitz crebbe enormemente, nel momento in cui decise di agire da solo: armato solo di un sassofono e di una valigetta, cominciò a viaggiare in lungo e in largo per il mondo, suonando con i (migliori) musicisti che incontrava in loco, spesso decidendo il repertorio direttamente a cena, poco prima del concerto. Tanto, per lui, non c’era bisogno di prove: bastava ascoltarsi.

Amava suonare le canzoni americane, i cosiddetti “standards”: secondo lui erano patrimonio comune per tutti i jazzisti del mondo, e tanto ci credeva che cominciava a suonare i brani senza nemmeno dire il titolo, lasciando spesso di stucco i suoi accompagnatori. Un’altra sua convinzione – e lo dimostrava sera dopo sera – era che non c’era troppo bisogno di scrivere pezzi nuovi, perché un vero improvvisatore poteva suonare lo stesso brano migliaia di volte, e ogni volta in un modo completamente diverso.

Lee Konitz ha lasciato una mole di registrazioni impressionante, ha tenuto concerti di altissimo livello fino alla fine della vita, e ha lasciato un segno profondissimo e una impressione indelebile in chiunque abbia avuto modo di incontrarlo, di suonarci insieme o di ascoltarlo. La sua eredità musicale è viva: il suo stile unico ha influenzato legioni di musicisti in tutto il mondo; in Italia si possono citare almeno lo “storico” Cesare Marchini di Genova e il giovane Gabriele Colarossi di Roma come attenti seguaci del suo stile sassofonistico.

Giorgio Cùscito è pianista, sassofonista, arrangiatore e compositore di jazz (Roma, 1965). Già autore di «Archivio del Jazz» per Radiotre RAI.

(*) ripreso – con la foto –  da www.diatomea.net/

 

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