Leggo per la prima volta

di Mauro Antonio Miglieruolo

Leggo per la prima volta di un epiteto palesemente mafioso esplicitamente rivolto ai ben poco degni presunti rappresentanti del popolo italiano, quello di essere dei quaquaraquà (ricordate il film “Il giorno della civetta” con la sua classificazione dell’umanità in “uomini, mezzi uomini, ominichi e quaquaraqua”?). A tale proposito, vedi,

http://www.beppegrillo.it/2014/02/le_due_ucraine.html?s=n2014-02-28

che contiene un pezzo scritto da Massimo Fini a proposito dei fatti dell’Ucraina la lettura, un brano del quale ha destato in me qualche preoccupazione. Riporto il brano in questione.

Nessuno decide niente, noi siamo sudditi, questa è una situazione che si vede ovunque e in Italia lo vediamo bene, pur (?) essendo governati da dei quaquaraquà.

La preoccupazione non è dovuta all’epiteto in sé, oggi ne vengono adoperati sin troppi, uno in più uno in meno non fa impressione; tanto più che non si tratta del solito gratuito, l’offesa lanciata tanto per offendere, essendo opposto al termine di un ragionamento.

La preoccupazione è determinata piuttosto dall’imbarazzo di ritrovarmi contento di averlo letto, e di considerarlo ampiamente meritato, incurante della terminologia mafiosa su cui si fonda. Incurante dell’implicito vantaggio che la diffusione di quel termine, che richiama una gerarchia di valori, a quella luttuosa compagine si procura.

L’esasperazione è tanta che non si bada a altro che a rendere a questi nostri aguzzini, i politici, un poco del male che ogni giorno scaricano sopra di noi. Sia pure limitandosi all’esile soddisfazione di dir loro in faccia quello che pensiamo.

La ragione di questo simulacro di soddisfazione, del quale pure ci contentiamo, temo risieda nella convinzione che altro non sia possibile ottenere. Analoga convinzione conforta i quaquaraquà, ai quali diamo felicemente quel che si meritano, senza valutare altro che questa giusta attribuzione d’essere quello che sono: miseri quaquaraquà.

È questo un retro pensiero indotto. Indotto dalla sicumera, dall’arroganza e dalla sfacciataggine con cui costoro continuano a mentire e a sgovernare. Loro lo pensano e noi lo pensiamo perché ci facciamo contagiare dalla loro convinzione.

Se una cosa sanno fare costoro è il mestiere degli illusionisti, dei praticoni dell’inganno, sciamani dell’impostura e sacerdoti della menzogna. Producendo in noi un pensiero molesto, un pensiero tremendo.

Non dimentichiamo però quel che sono, cioè dei quaquaraquà! Venditori di fumo, dell’arrosto che noi cuociamo, ma che si mangiano tutto loro.

E continueranno a mangiarselo, alle nostre spalle, finché noi glielo permetteremo. Fino a quando non ci contenteremo più di definirli quaquaraquà (me ne hai date tante, ma te ne ho dette tante!) e li tratteremo con il disprezzo che meritano.

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