Leila Alaoui, una fotografa

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(a cura di Francesco Masala)

 

…“La mia è prima di tutto una missione sociale”, spiegava nel 2011, in un’intervista concessa alla rivista marocchina TelQuel. Le sue opere avevano fatto il giro del mondo: ha esposto a New York, Parigi, Buenos Aires. Nella sua ultima mostra, presso la Maison européenne de la Photographie della capitale francese, Leila aveva scelto di illuminare i tratti più profondi e nascosti del Marocco rurale. Raccontato attraverso immagini a grandezza naturale di uomini e donne in posa in costumi tradizionali. “Ho soggiornato in diverse comunità, utilizzando uno sguardo intimo al fine di rivelare la soggettività delle persone che ho fotografato”, spiegava l’artista nel testo redatto per l’esposizione.

 

Il Marocco negli sguardi dei suoi protagonisti

Ne è nato un archivio di tradizioni e di universi estetici, ancestrali, della nazione nordafricana. Recitato dagli stessi custodi di quel patrimonio e raccontato con passione e coraggio: “Avete visto il sorriso radioso che mostrava sempre quando veniva fotografata? Ecco, era questo il suo segreto. Era determinata a difendere la sua causa. Ed era in grado di scovare la bellezza in tutte le cose e in ogni persona. Ritrasmettendocela», , ha testimoniato al quotidiano Le Monde Fatym Layachi, autore franco-marocchino, suo amico d’infanzia.

 

Nel 2013, presso la Fondazione Oriente-Occidente di Rabat, aveva organizzato in collaborazione l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati un atelier con un gruppo di venti tra donne e giovani profughi. Ma dai personaggi che ritraeva, “Leila ha sempre mantenuto una distanza pudica”, ha ricordato al quotidiano francese la mamma, Christine. Ciò che la interessava, di quelle persone, “era la loro vera vita. La vedo ancora sorridere. Sento ancora la sua voce calda. Era tutto questo, Leila”.

da qui

 

QUI un bellissimo lavoro di Leila Alaoui, intitolato Crossings

 

Qui lo spot che viene censurato dalla tv marocchina:

Non riesco ancora a crederci.Non ci sono parole per esprimere il mio dolore. Non ci sono parole che possano consolare i tuoi genitori. Quando perdi un genitore diventi orfano, ma non c’è una parola che possa descrivere quello che succede quando perdi un figlio. Sono sconvolta, scioccata, paralizzata. Profondamente.
E non è per il fatto che tu fossi giovane, bella, talentuosa, perché siamo tutti uguali di fronte alle tragedie. Neanche per il fatto che tu fossi una fotografa impegnata, interessata all’umanità. O il fatto che avessimo la stessa età, lo stesso viso da bambina, lo stesso nome. Percorsi, lotte, progetti e valori che si somigliano. Potevo esserci io a Ouagadougou.
Non è perché ti conoscevo, ma solo perché è tremendo e terribilmente ingiusto. Perché è violento, surreale. Perché sentire le notizie in TV che contano i morti, anonime vittime degli attentati terroristici, dall’altra parte del mondo, non ha lo stesso impatto.
Perché il terrorismo sembra lontano, gli attentati generalmente colpiscono altrove. Ma non è così. Non si tratta più di notizie sconvolgenti che vediamo scorrere come si vede un film dell’orrore al cinema. Diventa reale, bussa alle nostre porte, colpisce i nostri cari. Non siamo più al sicuro.
La vita può fermarsi senza preavviso, come in un incidente d’auto, quando non sei affatto preparato, quando hai ancora tantissime cose da vivere. Lo so non serve a niente, ma non posso fare a meno di chiedermi se la sfortuna di esserti trovata proprio lì il giorno degli attentati si aggiunga alla sfortuna di essere stata soccorsa da un équipe determinata, ma che forse non possedeva i mezzi per rianimarti quando il tuo cuore ha ceduto.
La dura realtà ci riconduce alla nostra fragile condizione umana, non abbiamo più le stesse possibilità di sopravvivere in base al paese in cui ci troviamo, alla nazione in cui siamo nati. Siamo ben poca cosa. Il tributo nazionale e le testimonianze d’affetto da parte di centinaia di persone riempiono il cuore. Perché dobbiamo sempre aspettare che qualcuno muoia per riconoscere il suo valore? È questa la mia domanda.
Piango di fronte al nostro mondo che crea dei mostri pronti a uccidere degli innocenti per i loro ideali, per la loro follia, per le loro convinzioni, per il loro Dio. Dio è grande, è vero, e non tollera crimini del genere. Di sicuro anche lui piange, perché tutto questo viene commesso in suo nome. Non riesco a scrivere cose come “Sarai sempre qui con noi”, “Niente ti distruggerà”, perché la vita ti ha strappato via da noi. In un modo vergognoso. Mi viene da vomitare.
La mia unica consolazione è poter dire che, forse, questa tragedia risveglierà le nosre coscienze e ci aiuterà ad essere migliori, ogni giorno. Che ci sproni ad essere uniti contro le violenza, gli estremismi, il radicalismo, contro la regressione, contro l’intolleranza, contro l’ignoranza. Per fare in modo che l’oscurantismo faccia un passo indietro. E che la luce prenda il sopravvento. Che la vita trionfi.

 

Solo allora potremo smettere di piangere per te e per quanti sono stati ingiustamente uccisi al Bataclan, a Giacarta e altrove. Grazie Leila Alaoui per la tua semplicità, la tua generosità, la tua passione. Per il tuo sorriso raggiante. Questa è l’immagine che conserverò di te. (traduzione di Milena Sanfilippo)
Leïla Ghandi
redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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