L’emozione del navigare

di Sergio Mambrini

Anche secondo voi Giorgio era un po’ depresso?

Nella lettera che mi ha scritto prima di Natale, mi è sembrato disilluso e amareggiato. Mi ha fatto gli auguri con uno sguardo troppo teso al passato. Sembravano quasi un testamento non auguri di buon Natale. Per questo ho preso carta e penna (si fa per dire) e gli ho scritto i miei auguri per il nuovo anno.

La parola scritta avvicina, unisce, descrive, a volte fa sognare ed è sempre testimonianza di vita, di cultura, d’amore, di storia e di storie. Da quando è stata inventata, esprime il desiderio di “essere”, comunica il pensiero immateriale per renderlo fruibile a richiesta, anche a distanza di tempo e di spazio. Mi piace d’avere quest’opportunità, mi rilassa e mi fa riflettere. Gli ho scritto come fosse un fratello, non avrei saputo farlo in altro modo:

Caro Giorgio, del mio passato conosco tutto. Spesso riaffiora nella memoria, mi spinge avanti, ricco di gesti e di emozioni, sempre lucido e accattivante. Si fa vedere nelle sue diverse stagioni con una precisione disarmante. Lo conosco sempre meglio, ormai. Adesso, però, voglio parlarti del nostro presente, del quotidiano, qui, ora, adesso, perché è l’oggi che ci coglie molte volte di sorpresa, impreparati e lenti a capire.

In un certo senso, nasciamo tutti presbiti e per captare la realtà dobbiamo allontanare il capo o inforcare occhiali adatti. Anch’io uso occhiali speciali, ma i miei sono ancor più particolari: a volte mi sembra che inducano a leggere le parole non scritte, addirittura! Nel tempo questo dono si è rivelatomolto utile!

Effettivamente capita spesso di restare incantati di fronte agli avvenimenti “virtuali” che ci vengono rifilati, ma la verità “reale” è nascosta di proposito agli sguardi della mente con espedienti sofisticati. E’ buffo, credimi Giorgio, perché spesso siamo proprio noi stessi i censori più intolleranti dei nostri pensieri. Ci comportiamo come se avessimo un torcicollo che ci impedisce di girare il capo in tutte le direzioni. Per questo motivo non riusciamo ad apprezzare o cogliere ciò che ci sfiora di lato.

Però, se riusciamo a sbloccare quest’ostinata fissità, riusciamo a scorgere, appunto, ciò che normalmente non percepiamo. E’ questa flessibilità che ci consente di vedere le parole non scritte, occultate.

Forse sarebbe più giusto dire: “Parole scritte su un altro foglio”.

Sì, credo che sia tutto scritto nella trama reale della vita. Solo la distrazione ingenua e l’ostinata fissità dei nostri occhi ci nascondono quello che conosciamo ben bene, a tutti gli effetti.

La difficoltà, però, consiste nel trovare quelle pagine che allargano la nostra conoscenza e una volta recuperate saperle leggere comprendendone la lingua o il significato e trasportare, infine, il sapere acquisito nella nostra limitata esperienza di vita.

L’oggi, dicevamo.

La lotta quotidiana per dirigere la nostra esistenza nella direzione che più ci aggrada, percorso mai facile, contrastato sempre da avversità, difficoltà, imprevisti, ostacoli ed errori.

Quanta forza interiore, coraggio, responsabilità, lucidità e amore servono per vivere ogni giorno!

Purtroppo, a volte, non riusciamo a mettere insieme tutte queste qualità e sentiamo forte dentro di noi il bisogno di uno sguardo, di un gesto, forse di un aiuto, per non soccombere nell’incerta dimensione della sconfitta.

In vero, fratello, non c’è sconfitta.

Non esiste alcuna circostanza in cui non sia data l’opportunità dell’esperienza della vita.

Alterne vicende ci rallegrano mentre altre volte ci rattristano, in un continuo movimento, non solo emozionale, ma anche evolutivo. Poiché l’esperienza muove il pensiero e trasforma noi stessi incessantemente.

Alcuni non accettano questo moto continuo e rimuovono o evitano le esperienze, vietandosi modi di vita nuovi ed emozioni sconosciute nel passato. Atri combattono duramente come nemico qualsiasi cambiamento frapponendosi al destino, cercando di mutarlo, per poi scoprire di aver portato a compimento ancor più velocemente, per vie tortuose, la traccia prestabilita.

Appunto, riusciamo sempre a realizzare l’imprevisto e a fatica il prevedibile. Proprio per la nostra incapacità presbite di liberarci dai lacci, favoriamo la cattura e accorciamo la corda invisibile che ci sostiene.

In fondo serve più coraggio per scivolare leggeri, senza resistenze o ostacoli, nell’azione quotidiana che star fermi, inattivi, nella paura di vivere. E’ così con il vento nel mare, quando la vela sbatte gonfiandosi nel giusto senso per far planare il “surf ” nel suo delicato e imbarazzante equilibrio. Così è il nostro presente: fatto di strambate, di virate, di boline e lunghi traversi, secondo come tira il vento, per non farci travolgere dall’onda……e quando la raffica è favorevole, navighiamo con il vento in poppa.

E’ lì l’emozione del navigare. E’ lì l’emozione della vita.

Giorgio non mi ha ancora risposto. Forse è troppo solo e non trova motivo di replicare. Forse ha bisogno anche del vostro amichevole incoraggiamento. Chissà! Forse aspetta anche i vostri auguri di buon anno.

 

Redazione
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  • …Giorgio siamo noi tutti tutte… o …Giorgio è Giorgio…chi? (non vi stranite, sto fora come le tre (???) terazzze der Pincio…)

  • Strani bilanci che ci troviamo a fare a fine anno, come se finisse realmente qualcosa e non fossimo continuamente immersi in un flusso che non smette di scorrere.
    Il destino del mondo dipende da tante cose, anche dal nostro agire, ma la domanda resta sempre la stessa: come coordinare la forza dei subalterni per cambiare il declino di una civiltà che sembra inesorabilmente attratta dal baratro?
    L’evitamento della follia, l’entropia crescente che ci circonda è inesorabile?
    Le nuove tecnologie offrono possibilità che vengono spesso agite in modo approssimativo e senza un indirizzo che vada nella direzione di una diffusione reale del potere sociale; la speranza non è una cosa che ci possa venire offerta, ma una prospettiva da guadagnare e ricostruire con pazienza certosina.
    Nonostante tutto … sono ancora convinto che ce la faremo.

    • Una cosa noi non possiamo decidere. I tempi del cambiamento. Non almeno di un cambiamento che sia da noi riconosciuto come effettivamente tale, cioé radicale. Perché in realtà tutto scorre, tutto muta. Noi non ce ne accorgiamo, perché procediamo insieme al tempo, cioé insieme al cambiamento; e perché sono troppo impercettibili le modificazioni rispetto alla capacità ordinaria di vedere dei nostri occhi. Occhi resi lenti dalla troppa rapidità della vita. Ma se dopo quaranta anni torniamo in un qualsiasi luogo del passato, verificheremo questo fatto incontrovertibile: che la “dura” realtà è in effetti molto più morbida di quanto si creda. Le case, il paesaggio, le persone, il clima, nulla è più come prima. Le pietre stesse non lo sono. Hanno cambiato conformazione. La scienza ci insegna che non solom loro, ma le montagne medesime, col passare dei secoli, si sfalderanno.
      Non si sfalderà il capitalismo? Il sistema più assurdo e iniquo che gli uomini abbiano mai costruito (un sistema in cui vige la miseria, pur essendo il regno dell’abbondanza, PUR ESSENDOCI IL SUPERFLUO SUFFICIENTE A SODDISFARE L’AVIDITA’ DI TUTTI)? Un tale sistema, che distrugge il cibo per tenere alti i prezzi e produce affamati, come altro definirlo?
      C’è stato un passato senza capitalismo, ci sarà un futuro senza capitalismo. E’ certo. Di realizzare quest’assenza si occuperanno i “subalterni”, che lo faranno in parte sapendo, in parte non sapendo quello che fanno. Facendolo.
      Il problema sembrerebbe allora essere se questo fare diventerà evento visibile nei tempi brevi delle nostre vite (il tempo della mia ormai brevissimo). Di questo nessuno può dire nulla. Possiamo però essere sicuri che il nostro essere quotidiano, PER COME SIAMO, con i nostri momenti di demoralizzazione e i nostri entusiasmi, con le nostre iniziative e le nostre inattività, costruiscono quei lenti (fin troppo lenti per la nostra fretta) “cambiamenti” (che valgono quale accumulo delle energie che si scateneranno nei successivi rapidi e veri rivolgimenti), di cui poi un giorno ci renderemo conto. O meglio, dei quali ci renderemo conto che sono la fonte delle possibilità, prima negate, di intervenire sulla realtà e risolutamente costringerla a cambiare.
      Non la speranza deve essere l’ultima a morire, ma la visione storica di un passato che ha molto da dirci sul futuro.

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