Levantamiento in Guatemala: sarà la volta buona?

Dal luglio scorso in tutto il paese si susseguono le manifestazioni che chiedono le dimissioni del presidente Alejandro Giammattei e la convocazione di un’assemblea costituente popolare e plurinazionale.

di David Lifodi

                                            Foto: https://elperiodico.com.gt/

Il 60% dei guatemaltechi vive in povertà, e, nelle comunità indigene, la situazione è ancora peggiore, dilaga la denutrizione e il sistema sanitario è al collasso. Tuttavia, questi dati, forniti dalla Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal), non spiegano del tutto le mobilitazioni che, a partire dallo scorso luglio, hanno attraversato e continuano ad attraversare il paese.

Dietro alle proteste di piazza c’è un paese allo stremo che, lo scorso 16 agosto, non ha digerito l’ennesima provocazione del presidente Alejandro Giammattei, del quale, a gran voce, la maggioranza della popolazione chiede le dimissioni. Il presidente aveva infatti deciso di dichiarare lo stato d’assedio nel paese, sulla base della Ley de Orden Público risalente al 1965 e varata, allora, contro il cosiddetto “nemico interno” (gruppi guerriglieri, comunità maya, sindacalisti, studenti) all’epoca del conflitto armato.

Giammattei ha giustificato lo stato d’assedio nel contesto dell’aumento dei casi di contagio dovuti al Covid-19, dei quali peraltro è in larga parte responsabile: poco meno del 15% dei guatemaltechi ha ricevuto una dose di vaccino e solo il 2% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale. Grazie al vicepresidente Guillermo Castillo, l’approvazione della Ley de Orden Público è stata scongiurata, ma resta la pessima gestione della pandemia da parte del governo, a partire da un contratto milionario poi non andato in porto con i russi di Human Vaccine.

È in questo contesto che i movimenti sociali, a partire dal Comité de Desarrollo Campesino (Codeca), hanno organizzato cortei di protesta in tutto il paese per chiedere le dimissioni di Giammattei, al quale è imputato inoltre il fallimento del Plan Nacional de Vacunación. Il medico Adrián Chávez, del Bloque Organizado de Medicina Néstor Ortiz, ha spiegato che la saturazione degli ospedali dipende dal fallimento del sistema di tracciamento messo in pratica dal governo e dalla pervicacia con cui la politica ha anteposto i propri interessi al bene comune.

Tutto ciò non ha comunque impedito a Giammattei di proseguire nella sua attività di repressione.

L’Asociación de Periodistas de Guatemala (APG) ha denunciato il tentativo del governo di censurare i media che avevano espresso delle perplessità a proposito della Ley de Orden Público tramite l’approvazione di un decreto in cui la stampa veniva invitata ad “evitar publicaciones que puedan causar confusión o pánico”. Si tratta di un atto molto pericoloso perché, in pratica, è il governo in persona a decidere arbitrariamente cosa è possibile pubblicare o meno in un paese dove le aggressioni ai giornalisti rappresentano purtroppo una costante.

La corruzione dilagante ha rappresentato uno dei motivi che hanno spinto le comunità indigene, all’inizio di agosto, a decretare una settimana di Paro Plurinacional, a cui avevano aderito anche studenti, organizzazioni femministe, personale sanitario e, più in generale, un’ampia parte della società civile.

Nelle comunità maya il vaccino non è arrivato, il costo della vita è cresciuto a dismisura e si guarda con speranza, per quanto la realizzazione sia difficile, alla nascita di uno Stato plurinazionale.

Il 13 agosto scorso, le autorità indigene avevano dato un ultimatum al presidente Giammattei, chiedendone le dimissioni entro il 18 agosto e lo stesso avevano fatto con la procuratrice generale Consuelo Porras, nominata dal presidente a seguito della rimozione di Juan Francisco Sandoval, titolare della Procura speciale contro l’impunità (Feci). Quest’ultimo aveva condotto indagini scottanti sui reati di corruzione di cui si erano resi protagonisti uomini molto vicini al governo.

In un’intervista rilasciata a Giorgio Trucchi e pubblicata su Peacelink, Anabella Sibrián, direttrice di Protection International Mesoamerica, ha evidenziato che “quello che sta accadendo è piuttosto la risposta della popolazione a un accumulo di stanchezza, sfinimento, indignazione, in un contesto di profonda disuguaglianza che vive il paese. In Guatemala stiamo assistendo a una controffensiva del settore privato, in collusione con la politica e i corpi repressivi dello Stato, per prendere il controllo di tutte le istituzioni. L’hanno già fatto con il potere esecutivo e il legislativo e ora hanno lanciato l’attacco a quello giudiziario. L’allontanamento di (Juan Francisco) Sandoval da parte della procuratrice generale (Consuelo Porras), una funzionaria che ha ricevuto forti critiche sia per il suo operato che per i presunti legami con interessi criminali, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. La gente ha quindi detto basta”.

Tuttavia è ancora presto per capire se questa nuova ondata di mobilitazioni porterà i frutti sperati. Anche nel 2015 fu la piazza ad obbligare alle dimissioni il presidente Otto Pérez Molina, l’ex militare noto per il suo sinistro soprannome di “Mano Dura” e della vice Roxana Baldetti nell’ambito dello scandalo denominato “La Linea”, ma nelle urne ha continuato a perpetrarsi il successo della destra imprenditoriale, dovuto inoltre all’estrema frammentazione delle forze di sinistra.

Questa, forse, potrebbe essere la volta buona per dar vita ad una assemblea costituente popolare e plurinazionale ed emanciparsi davvero dallo strapotere delle elites bianche in un paese a larghissima maggioranza maya, ma in cui gli indigeni continuano ad occupare il gradino più basso della scala sociale, esclusi, emarginati e costretti a fare i conti con il razzismo quotidiano.

NOTA: è consigliata la lettura di due articoli di Giorgio Trucchi pubblicati su Peacelink:

Per un Guatemala senza corrotti e plurinazionale (I) 

La scommessa della rifondazione dello Stato dal basso

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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