Libertà condizionata, l’unica che s’insegna a scuola

di Pietro Ratto

caramba

carabinieri. Foto: john levanen 1987

Lo definiscono un corso di Educazione alla Legalità. E, da quanto mi raccontano i miei alunni, a scuola funziona più o meno così. Un carabiniere, tra il minaccioso e l’affabile, appena entra in classe scaraventa addosso ai ragazzi quintalate di foto di incidenti stradali da circo. Roba che nemmeno a mettersi lì con Photoshop riesci a rendere. Automobili fatte a pezzi, letteralmente distrutte, da non riuscire nemmeno a capire di cosa si tratti, esattamente. Poi tira in ballo la questione della responsabilità verso gli altri. E mentre alcuni sbigottiscono per la spettacolarità dell’immagine e altri si divertono a immaginare in quale modo riuscirebbero a distruggere così fantasiosamente l’auto di papà, inesorabile cala sul ben poco intimidito uditorio la solita frase: “La mia libertà finisce quando comincia quella degli altri”. Ora dico, ma com’è possibile? Come si può continuare ad assistere a simili sciocchezze? A prescindere dal fatto che i ragazzi, ormai, con tutto quello che vedono ogni giorno, osservando quelle immagini sono istintivamente più spinti a concentrarsi sull’effetto speciale (spesso piuttosto misero, rispetto a quelli che si sciroppano nei film di oggi o nei videogames), che a considerare i rischi che corre chi non rispetta le regole; lasciando anche da parte la questione dell’effettiva efficacia di un atteggiamento, per altro ben poco educativo, che si limiti a spaventare, come se la legge fosse da rispettare solo per le conseguenze spiacevoli di una sanzione o di un infortunio, come se non ci fossimo accorti del fatto che più insistiamo che il fumo uccide, più glielo diciamo, glielo scriviamo a caratteri cubitali sul pacchetto di sigarette, e più la gente fuma; a prescindere da tutto questo, dico, siamo proprio arrivati al punto che chiunque debba esser considerato adatto ad educare i giovani? Chiunque, piuttosto che un insegnante?

Perché mai un carabiniere dovrebbe venir ritenuto un buon educatore, un tipo da trascinare dentro una classe, solo per il fatto che il suo compito consiste nel controllare che la gente segua le regole? Solo per il fatto che ha a che fare quotidianamente con la legge? Come dice Thoreau, la legge non ha mai migliorato nessuno. Si limita ad esporre, in termini razionali, una regola da seguire, ma non possiede certo la capacità di educare le persone a farlo. E per dirla con Socrate, per addestrare i cavalli ci vuole o no un cavaliere (o come si chiama, non so: un domatore, un addestratore equestre? Insomma, uno che sa come comportarsi con questo tipo di animali)? Mica può farlo chiunque, no? E com’è, allora, che per educare i giovani riteniamo possa andar bene chiunque? Anzi, meglio: chiunque tranne un docente, visto che siamo nell’epoca in cui ai ragazzi e alle loro famiglie vien chiesto di valutare, di giudicare l’operato dei loro docenti. Un’epoca in cui l’educando, che come tale non dovrebbe ancora conoscere i rudimenti dell’educazione, è paradossalmente messo in condizioni di giudicare l’educatore. Un’epoca in cui i docenti italiani sono considerati la feccia della società.

Detto questo, la storia della libertà che finisce quando comincia quella del tuo vicino la considero una delle sciocchezze più insensate, pericolose e diseducative mai sentite, per quanto ormai affiori, radiosa e insistente, sulla bocca di tutti.

Perché la Libertà, miei cari, non finisce mai. Se no, che Libertà è? Che ce ne facciamo, altrimenti, di una libertà così? La mia Libertà non si esaurisce, non si infrange di fronte ai tuoi diritti. La mia libertà non può e non deve dipendere da una concessione altrui, dal favore di qualcuno che si creda in grado di poterne disporre, stabilendone in maniera più o meno dispotica chissà quali confini. Tutt’altro! La mia Libertà si rinvigorisce, si dilata a dismisura, si potenzia infinitamente non appena si affaccia alle esigenze, ai diritti degli altri. Non finisce mica. Anzi: si rafforza proprio lì. In cosa consiste, infatti, la Libertà, se non nel controllare impulsi e passioni e nel decidere, razionalmente, quale comportamento adottare di volta in volta? In cosa si traduce, se non nella facoltà di riflettere e, quindi, di scegliere deliberatamente, consapevolmente, di misurare le mie azioni, di tenere a bada il mio corpo, le mie parole, i miei sguardi, in nome di quello stesso rispetto che mi aspetto da te? Che cosa significa, se non l’essere in pugno a null’altro che a se stessi?

Allora, per favore, non crediamo più a chi pretende di educarci con la paura. Non dev’esser certo il terrore, né la soggezione nei confronti di una serie di comandamenti, il movente delle nostre azioni. In generale, non può essere un qualsiasi sentimento a permetterci di controllare i sentimenti. Piuttosto, impariamo ad essere liberi. Fortemente liberi, completamente liberi. Impariamo ad utilizzare la nostra infinita, illimitata Libertà per scegliere razionalmente di comportarci secondo regole evidenti a qualsiasi umana logica, per scegliere di rispettare semplicemente chi ci vive accanto. Impariamo ad usare bene questa nostra Libertà, mandando al diavolo quelli che ci vorrebbero giusti solo in nome di un’imposizione.

Dopotutto, chi cerca solo di spaventarci, chi ci insegna che la nostra Libertà abbia i metri contati, fa parte sempre del solito gruppetto. Appartiene a quella cricca di grigi, vili omettini che, ogni giorno, si sbattono per render sempre più grassi i loro burattinai.

Pietro Ratto

Tratto da BoscoCeduo.it

Pietro Ratto
Nato nel 1965, si è laureato in Filosofia ed Informatica nel 1990 con una tesi in Intelligenza Artificiale. Dal 1995 è iscritto all'Albo dei Giornalisti. Professore di Filosofia, Psicologia e Storia, ha vinto diversi Premi letterari di Narrativa e di Giornalismo. Collabora saltuariamente con il quotidiano La Stampa e gestisce i siti "BoscoCeduo" (www.boscoceduo.it) e "IN-CONTRO/STORIA" (www.incontrostoria.it).
Le sue pagine Facebook e Twitter intitolate "BoscoCeduo" sono quotidianamente frequentate da centinaia di docenti ed alunni italiani.

I suoi libri:
- P. Ratto, "Le pagine strappate", Elmi's World, 2014
- P. Ratto, "La Passeggiata al Tramonto. Vita e scritti di Immanuel Kant", Leucotea, 2014
- P. Ratto, "Il Gioco dell'Oca", Prospettiva editrice, 2015
- P. Ratto, "I Rothschild e gli altri", Arianna editrice, 2015

Pietro Ratto è anche musicista. E' stato infatti fondatore e leader del gruppo di rock progressivo ATON'S (vedi http://www.atons.it oppure, su Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Aton's), uno dei riferimenti più importanti del neo-progressive italiano a livello internazionale, dal 1977 al 1999, con una decina di album all'attivo.

Un commento

  • Daniele Barbieri

    Pietro Ratto, al suo esordio in bottega (BENVENUTO) è insegnante di Filosofia e Storia, giornalista e saggista. Ha scritto quattro libri, due già usciti («Le pagine strappate», edizioni Elmi’s World – saggio finalista al Premio Carver 2014 – e «La passeggiata al tramonto. Vita e scritti di Immanuel Kant», EBK Edizioni) e due che saranno pubblicati in primavera: «I Rothschild e gli altri» (Macro Edizioni) e «Il Gioco dell’Oca» (Prospettiva Editrice). Leitmotiv: trasgressione e laicità.
    Gestisce e dirige un sito di contro-storia (IN-CONTRO/STORIA) e una specie di blog – pieno zeppo di riflessioni e invettive su scuola, società e filosofia – intitolato BoscoCeduo.it. (su Facebook ha una pag piuttosto frequentata).
    Da anni scrive e combatte per la laicità, la parità dei diritti, l’informazione libera e trasparente, schierandosi contro ogni forma di pregiudizio e di chiusura.
    L’incontro con la “bottega” era quasi inevitabile… e infatti è avvenuto.

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