L’icona Gramsci

27 aprile 1937, morte di Antonio Gramsci. Morte corporale e inizio di globalizzazione del suo lascito intellettuale.

di Natalino Piras

Nico Orunesu, Torre-Monumento, tecnica mista, 2022

Gramsci aveva 46 anni alla data della sua morte. Era nato ad Ales, in Sardegna, il 22 gennaio 1891.

Essere sardo è un segno per Gramsci.

Quando ero bibliotecario, curatore per la parte in scrittura e delle didascalie di una mostra multimediale sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia, alla voce GRAMSCI, tra le altre cose ho evidenziato il suo pensare e essere nella Questione meridionale come Questione sarda.

«Tutto porta alla dimensione di sarditudine o di sardità che c’è nella figura intera di Gramsci. Sarditudine o sardità diventano il metodo per entrare nel discorso. Sia che lo si voglia intendere politicamente oppure antropologicamente o letterariamente o altro ancora. L’interesse sta lì, nel Gramsci sardo ovvero una testa ben fatta. Questo “sardo”e questa “testa ben fatta” sono l’attrazione per dire di una attualità di Gramsci che ci riguarda come sardi e come cittadini del mondo.

Dice Gramsci in un carteggio del 1926 con Emilio Lussu: “La quistione regionale sarda è legata indissolubilmente al regime borghese capitalistico che ha bisogno, per sussistere, non solo di sfruttare la classe degli operai industriali attraverso il lavoro salariato, ma anche di far pagare alle masse contadine del Mezzogiorno e delle Isole una taglia doganale e una taglia fiscale”.

Così invece nella “Questione Meridionale” iniziata a scrivere nel 1921: “Al di sopra del blocco agrario funziona nel Mezzogiorno un blocco intellettuale che praticamente ha servito finora a impedire che le screpolature del blocco agrario divenissero troppo pericolose e determinassero una frana. Esponenti di questo blocco industriale sono Giustino Fortunato e Benedetto Croce, i quali, perciò, possono essere giudicati come i reazionari più operosi della penisola”. Mette a pensare».

Gramsci è universale perché nel suo segno rende sodali noi qui, nel locale e nel globale, nel reale e nel virtuale. Ma soprattutto perché Gramsci crea communitas, come paese-mondo, una repubblica di uguali ciascuno con le proprie differenze. Il suo materialismo storico è fatto di utopia che recupera a una interpretazione contingente, privata dagli schemi ideologici, sia le reducciones dei gesuiti in America Latina, esperienza comunistica nel Seicento, lo stesso secolo di Spinoza, ebreo e ateo, che considerava Dio come immanente nello stato delle cose, Deus sive Natura. Sia, nel magistero di Marx che elabora la linea della sinistra hegeliana strutturante il “Manifesto del Partito Comunista”, edito nel 1848, autentico atto rivoluzionario. Per mettere radici, per impedire che la rivoluzione passi da giusta a ingiusta, la Rivoluzione ha bisogno di utopia, l’Utopia che Thomas Moore e Campanella porta, in un arco tessuto dallo Spirito che soffia dove vuole, a Sa Libra di Michelangelo Pira, per noi vero paese portatile.

È in questa Utopia costruente, fondante Bene per l’umanità che ha fatto esperienza dell’impossibilità dei proletari di tutto il mondo a fare fronte comune, che sta Gramsci. Noi con lui.

Il fascismo voleva che fosse messo in prigione, perseguitato, messo a morte come corpo e come pensatore che agisce nel mutamento della Storia e non nella sua conservazione. Mutazioni con al centro gli eguali affrancati dallo sfruttamento e dal dominio della guerra e del denaro.

Dice bene il poeta Pipinu Marotto: “E l’ana mortu sena pietade, sos aguzzinos de su capitale”.

Ma Gramsci era e resta “uomo di tenace concetto”. Leonardo Sciascia in suo magistrale libro, “Morte dell’inquisitore” lo affratella con l’eretico Diego La Matina che prima di essere impiccato e bruciato sul rogo riesce a uccidere, a colpi di muffole, le manette, il proprio aguzzino, l’ inquisitore De Cisneros. Così come secoli dopo il fascismo per Gramsci anche l’inquisitore De Cisneros aveva promulgato l’ordine che bisognava impedire di pensare al cervello di Diego La Matina.

Quando Gramsci fu portato al alla sepoltura al cimitero del Verano, nessuno, a parte un suo fratello e la cognata, seguiva la macchina con entro le sue spoglie mortali. Un’immagine di solitudine che però, come grano seminato nella lava (ancora Sciascia per il pensiero rivoluzionario di La Matina) riesce a germogliare, a fare primavera. Una volta, su FB, ho messo a paragone la sequenza del funerale di Gramsci con l’immagine di Sant’Efisio che il 1° maggio 1943, issato su una macchina passa tra le macerie di Cagliari bombardata. L’icona del Santo è sola ma è come se un’immensa folla, formantesi da e per ogni dove, lo seguisse, partecipe del suo vivificante martirio. Come segno di salvezza per uno e molti popoli.

Così è, oggi e a futura memoria, Antonio Gramsci, homine sardu, universale icona.

 

Natalino Piras, prima delle due lezioni seminariali su Gramsci all’Unitre di Mamoiada

Febbraio 2024

 

https://www.facebook.com/natalino.piras

Immagini: Nico Orunesu

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