L’imperialismo di Mister Ikea e la libertà di Tyler

di Saverio Pipitone (*)

Purificatore d’aria, terrario, miniorto, lampade avveniristiche e mobiletti modulari in legno riciclato. È la collezione Rumtid (spaziotempo) di Ikea, in lancio nel 2020 per ambienti ristretti, progettata dopo che cinque designer stettero per tre giorni nella capsula Mars Desert Research Station della NASA nel deserto statunitense dello Utah con la riproduzione delle condizioni abitative su Marte.

Ammobiliare altri pianeti era il sogno del fondatore Ingvar Kamprad, nato nel 1926 e deceduto nel 2018. In ufficio conservava una cartolina con un divano Ikea sul suolo lunare e il cosmonauta russo Aleksej Leonov gli donò nel 2004 un proprio dipinto con una filiale del mobilificio sulla Luna.

Con padre proprietario terriero di origine tedesca e madre svedese di famiglia di mercanti, da piccolo Ingvar commerciava fiammiferi a 5 corone, che acquistava a 1,5. Nel 1943, aiutato dai genitori, intraprese la distribuzione per corrispondenza di decorazioni natalizie, cartoleria ed oggettistica, registrando la ditta Ikea: acronimo delle iniziali del suo nome e cognome, della fattoria Elmtaryd e del villaggio Agunnaryd dove crebbe. Nello stesso periodo sostenne il movimento nazista in Svezia, ma in seguito dichiarò che «fu uno sbaglio di gioventù». Nel 1958 aprì il primo negozio di arredi nella cittadina svedese di Älmhult, oggi sede del museo aziendale e del quartiere generale con la statua di una brugola gigante all’ingresso.

Originariamente Ikea aveva la “é” accentata in acuto, i mobili si chiamavano Antoinette, Lido, Capri, Milano o Texas, i punti vendita erano rosso e bianco. Negli anni Settanta avvenne un profondo restyling voluto da Ingvar Kamprad che scrisse “Il testamento di un mobiliere” per indicarne le direttive: arredamento fai-da-te, tipicamente svedese, funzionale e di design, a basso prezzo, che esprima individualità, per una vita migliore per tutti.

Idee che all’epoca erano politicamente conformi al partito socialdemocratico con il premier Olof Palme al Governo della Svezia che, tramite il manifesto della “Famiglia del futuro”, promuoveva l’individualismo, senza legami sociali ed economici, svincolando la donna dall’uomo e i figli dai genitori, al fine di una felice esistenza, anche se adesso gran parte della popolazione vive sola, ci sono molte mamme single da inseminazione artificiale e gli anziani muoiono abbandonati.

Ikea procedette dunque all’eliminazione dell’accento alla francese, alla ricolorazione in giallo e blu delle filiali, alla designazione degli arredi con nominativi di laghi, fiumi e località scandinave. Pure per la Danimarca, sebbene non rientri geograficamente nella penisola nordica, vennero usati i nomi di alcune città, ma per oggetti calpestabili quali gli zerbini Köge e Sindal o il rivestimento di pavimenti Nivå; una tavoletta da water fu chiamata Öresund dal ponte che collega la Svezia alla costa danese.

Con tale superiorità e identità svedese, Ikea va alla conquista del mondo, omologa gusti e stili, ed ikeizza le case, dall’Europa all’America e dall’Africa all’Asia, sviluppando nel tempo un enorme giro di affari che nel 2018 ammonta in € 25,5 miliardi con profitti di € 1,4 miliardi. La base del successo, oltre all’induzione allo shopping, è risparmiare il più possibile sui costi, dagli approvvigionamenti alle tasse. Ad esempio, per ridurre il carico fiscale, sono effettuati degli scambi infragruppo di beni e servizi, che consentono legalmente di spostare voci di bilancio positive nei Paesi a tassazione agevolata o “paradisiaca”, evitando di pagare imposte fino a € 150 milioni annui.

Per custodire i guadagni e il patrimonio familiare (valutato in $ 50 miliardi) è stato edificato da Ingvar Kamprad, insieme all’avvocato Hans Skalin, un fortino societario inespugnabile. A monte c’è la Fondazione Interogo dei Kamprad, con sede nel Liechtenstein, che si pone a capo di due gruppi separati: Inter Ikea Holding BV nei Paesi Bassi per l’operatività industriale e commerciale; Interogo Holding AG in Svizzera per le attività speculative allo scopo di creare valore a lungo termine per assicurare solidità, indipendenza e longevità all’impero Ikea. Fra i diversificati investimenti, dall’immobiliare al finanziario, sono mantenute delle partecipazioni strategiche nelle aziende scandinave Intrac Group che produce cingolati per deforestazione e Lekolar che progetta sistemi educativi per habitat pedagogici nelle scuole primarie, così che ad Ikea non mancheranno mai le materie prime: legname e futuri avventori.

I megastore Ikea sono 422 con quasi 1 miliardo di visitatori all’anno e lo spazio espositivo, uguale in tutti i luoghi, è strutturato per massimizzare le vendite. Il consumatore, già all’entrata, è subito invogliato all’acquisto, imbattendosi nei “canestri” o “apri portafogli” con cestoni quadrati a rete che contengono prodotti attraenti a prezzi stracciati, e negli “interni” con stanze arredate a puntino per attirare le individualità personali, per poi proseguire nei “reparti” su ampie superfici con un’offerta generalista di divani, letti, armadi, scrivanie, tavoli e sedie. Le frecce a terra lo pilotano in un susseguirsi di rettilinei di 10-15 metri e curve alterne in opposte direzioni, con un tortuoso percorso dove lo sguardo è sempre rivolto in avanti e ad ogni giravolta è obbligato ad osservare l’intero assortimento, senza nemmeno vedere le scorciatoie verso l’uscita che lascia alle spalle. Equipaggiato di borsa gialla dai manici blu – concepita per muovere liberamente le mani – afferra durante il tragitto un’altra miriade di articoli mozzafiato ed è costretto a sostituire il colmo borsone con il carrello giungendo alle casse strapieno di scatole di merci.

L’anonimo protagonista del romanzo Fight Club, perseguitato dalla solitudine e consumista monodose, afferma: «Compri mobili. Dici a te stesso, questo è il divano della mia vita. […] Poi il giusto servizio di piatti. Poi il letto perfetto. Le tende. Il tappeto. Poi sei intrappolato nel tuo bel nido e le cose che una volta possedevi, ora possiedono te». Lui, in schizofrenia nelle sembianze di Tyler, con istinto primordiale si libera dalla possessione delle cose e a modo suo ritorna alle relazioni umane.

(*) pubblicato il 19/7/2019 nel Blog di Beppe Grillo

NELL’IMMAGINE il romanzo, citato qui sopra, “Fight Club” di Chuck Palahniuk dal quale David Fincher trasse il film omonimo.

 

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