L’importanza di dire No

Gianluca Cicinelli per Diogene


by Gualtiero https://www.flickr.com/photos/kimota/

Quando è stata l’ultima volta che avete detto no? Un vero no, non un post su facebook, un no che implicasse delle ricadute sulla vostra vita personale, lavorativa, familiare, sentimentale. Un no che spezza il quieto vivere e che non ci rende certo più tranquilli nella vita di tutti i giorni ma ci provoca problemi.

Perchè dire no provoca problemi. E’ questo quello che quasi nessuno accetta più. Ma continuando a lamentarsi. Fingendo ostinatamente che tanto non puoi fare niente, che è tutto uno schifo e così resterà perchè tu non conti niente. Ma, tutto sommato, pensi, meglio vivacchiare che avere problemi.

Quali sono questi problemi? Le conseguenze penali innanzitutto. Perchè il codice penale e la giustizia sociale sono separati alla nascita, è evidente, la prepotenza dei potenti è tutelata e la ribellione all’ingiustizia implacabilmente punita in un’aula di tribunale.

E allora? E allora dovresti pensare che se oggi non sei più obbligato a fare il militare, se puoi, forse ancora per poco, abortire, se ti ricoverano gratuitamente in un ospedale, se puoi impugnare legalmente un licenziamento e persino vincere talvolta … beh, se puoi ancora fare queste e altre cose è perchè molte persone in passato hanno accettato le conseguenze, anche penali, dell’aver detto no.

Li avete visti questi ragazzi e ragazze di Ultima Generazione, di Extinction Rebellion, i lavoratori della GKN, i pazzi come Mimmo Lucano, i volontari della solidarietà sulle navi umanitarie, li avete visti e lo sapete che è grazie a loro se questo Paese non è ancora precipitato nel buio totale dell’autoritarismo senza ritorno.

Lasciate stare le elezioni, parliamo di cose serie, della vita vera dove non c’è il Pd, i 5 cosi, la sinistra da radicale a radical chic, maestrini e e maestrine senza nemmeno la penna rossa che pontificano sui giornali su come si affronti il futuro senza cambiarlo di una virgola.

Parliamo della consapevolezza di un pianeta che sta morendo e senza nemmeno che ci divertiamo tutti fino all’ultimo giorno, perchè chi si diverte è soltanto l’1% dei mortali mentre l’altro 99% sopravvive soltanto e in alcune parti del mondo vive in condizioni tali che forse augurargli di morire almeno senza soffrire non è cattiveria.

La sedazione è la cifra del tempo attuale. Una società sedata in cui assumete volontariamente ansiolitici e tranquillanti per evitare di fare i conti con quello che non funziona. nella vita pubblica come in quella privata. Le dita, e le mani, degli ultimi attivisti rimasti indicano il pianeta e voi deplorate che hanno sporcato la tappezzeria.

E invece è proprio necessario sporcare la tappezzeria per non morire. Per non morire di sfruttamento, siccità, inondazioni, frane che inghiottono paesi interi. Se questa è la tappezzeria bisogna sputarci sopra, insozzarla, strapparla. Rischiando in prima persona, dicendo no a voce alta ogni volta che se ne presenta l’occasione.

C’è naturalmente chi non può dire no, perchè deve mangiare. Ma dire no è sia un privilegio di chi può che una scelta precisa di non uniformarsi al conformismo della sedazione, del pavimento pulito, andando incontro alle conseguenze. Ma sono molti, troppi, coloro che possono dire no e tacciono, nel migliore dei casi. Altri dicono sì e parlano di come sarebbe bello dire no.

Dipende da te. Da quel vizio antico della piccola borghesia italiana che preferisce scivolare lentamente nel fascismo per paura di perdere i suoi piccoli privilegi e proletarizzarsi piuttosto che rendersi conto della povertà economica, sociale e culturale in cui già vive.

La frattura tra i due mondi, quello dei privilegiati e degli sfruttati che difendono i privilegiati da una parte e quello di chi non intende restare a guardare inerme alla propria fine dall’altra, si sta dimostrando sempre più insanabile negli Usa del neoliberismo senza freni. A te la scelta. Mai come adesso ribellarsi è giusto.

articolo in origine pubblicato su https://diogeneonline.info/limportanza-di-dire-no/

 

ciuoti

Un commento

  • Mariano Rampini

    Anche io dissi no. Lo dissi però insieme a cento, mille, diecimila altre voci. Ed era un no bello forte. Un no che si sentiva da lontano e che faceva paura. Anche a chi avrebbe dovuto essere abituato a dire no. Eravamo in molti ad ascoltare e a ripetere quel no “alla scuola dei padroni”. C’erano davvero ragazzine quindicenni in piazza a dire no. Quelle stesse ragazzine che, oggi nonne, magari, vedono le loro nipoti in balia di un vento mefitico, sporco, puzzolente di idrocarburi e di menefreghismo. Dentro di loro, forse, quelle nonne piangono. Piangono come le madri di Plaza de Mayo a Buenos Aires. Quello è un dolore insanabile che neanche la giustizia – semmai ci sia un giudice a Berlino – può lenire. Quelle altre lacrime, invece, sono lacrime di disperazione, nascoste, addolcite con lo Xanax che diventa l’ultima risorsa per continuare, almeno dentro, a dire no.
    Dire no è difficile, significava – allora – rischiare le manganellate, i lacrimogeni, le pistolettate. E adesso diventa quasi impossibile dire no anche in un momento di festa. I rave non li ho mai capiti, sono cresciuto con un’altra musica. Ma, forse, sarebbe stato giusto scendere in piazza e mandare a palla la musica di un rave per far capire che quella non è musica. È un urlo. Perché un no ha forza se sono migliaia di bocche a urlarlo. E questo – ne sono francamente addolorato – pare non averlo capito nessuno di coloro che potrebbero, anzi dovrebbero essere di riferimento agli altri. Il no del 68, del 70/72, non lo capirono, lo sbeffeggiarono come un’intemperanza giovanile. Con i risultati che tutti abbiamo subito e conosciamo. Ora come giustamente osservi è tornato il momento di resuscitarlo, di tornare a dargli importanza ma dobbiamo anche far sì che chiunque dica no sappia di poterlo fare perché non è da solo.

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