Linciaggi, pallone, Italia

Sapone e corda. C’è un Lynch che pesa nella storia degli Stati Uniti ma non si tratta di David, il regista. Il linciaggio a lungo fu considerato dagli statunitensi una «istituzione semilegale» o forse un crimine nazionale come ricorda Patrizia Salvetti nel suo bel saggio «Corda e sapone», uscito da Donzelli nel 2003. «United States of Lyncherdom» definiva il suo Paese il sarcastico (ma purtroppo realista) Mark Twain. Si calcolano almeno 3220 linciaggi di neri e 723 di bianchi fra il 1880 e il 1930. Il libro della Salvetti però non indaga sui linciaggi contro «Jim, il corvo», il negraccio ladro, selvaggio e stupratore. Infatti il sotto-titolo spiega che qui si raccontano «storie di linciaggi degli italiani negli Stati Uniti» perché, a lungo i nostri connazionali sono stati considerati «animali» e/o «negri». Patrizia Salvetti racconta dettagliatamente linciaggi annunciati, persino qualcuno «falso», le impunità e poi i delitti evitati quando mutò la volontà politica. Le vittime italiane erano a volte innocenti, in certi casi colpevoli ma – con ogni evidenza – non è questo che qui conta visto che non si parla di processi ma di linciaggi. Il considerare gli italiani «negri» era ben radicato nell’immaginario di tanti statunitensi: non solo convivano con donne di colore dicevano i “nativi” ma i nostri emigrati – lo ricorda Salvetti – non si rendevano neppure conto di quanto fosse grave per un barbiere italiano fare, «con uguale disinvoltura», la barba «ai bianchi e ai negri». Quanto alla “bestialità” c’è una interessante annotazione del conte Gerolamo Moroni, che nel 1908, si occupò dei linciaggi per conto del consolato: «secondo me gli italiani sono desiderati ma non amati […] Desiderati dai padroni perché producono un lavoro maggiore e lavorano continuamente ma il padrone li ama come si può amare un bestia da soma». Interessante vero? Sembra una frase captata a Treviso o a Bergamo.

Al liceo Balotelli. Alcuni giornalisti – pochi, fra questi «Il fatto» del 6 dicembre –  hanno raccontato che il liceo Redi di Arezzo per un giorno è stato intitolato a Balotelli per favorire discussioni sul razzismo, la cosiddetta integrazione, l’italianità. Pareri diversi fra alunni e professori ma, a quanto pare, discussioni tranquille e l’annunciato (per Internet) sciopero degli studenti “anti-Balotelli” è fallito. Interessante. Nella stessa pagina de «Il fatto» Nando Dalla Chiesa racconta un’italiana che nuota controcorrente, l’avvocata genovese Alessandra Ballerini, il cui numero di telefono è scritto – lo racconta lei con un sorriso orgoglioso – sulle porte dei cessi di tutti centri che qualcuno si ostinava a chiamare (humor nero?) centri di «prima accoglienza» anche se erano palesemente galere.

Collegamenti. Non dovrebbe essere difficile capire quale sia il nesso fra i linciaggi di italiani avvenuti 80-100 anni fa e i cori anti Balotelli o i centri di “accoglienza” e/o cpt (ora ribattezzati Cie, con maggiore approssimarsi linguistico alla verità). O almeno dovrebbe essere evidente per chi legge questa rivista. Forse è meno ovvio un collegamento fra il razzismo aperto e il «Rapporto dell’associazione nazional-europea degli amministratori di immobili» del dicembre 2008 che rivela, con sospetto successo mediatico, come in Italia le liti fra condomini nate da proteste contro gli odori della «cucina etnica» siano salite al 27 per cento.

Uscito sulla rivista “Cem mondialità” a febbraio 2010

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