L’India, i contadini e noi

Alcune considerazioni di Giorgio Riolo su un soggetto sociale sempre decisivo su scala mondiale.

I.

L’India non è un semplice Stato-nazione. È un continente. Le dimensioni sono asiatiche, soprattutto per l’essere il secondo paese più popoloso (circa 1 miliardo e 400 milioni di abitanti). Circa il 60% della sua popolazione vive di agricoltura. È l’agricoltura tipica delle periferie del mondo.

Fino a tempi recenti la metà della popolazione mondiale viveva, e vive, della piccola agricoltura di sussistenza famigliare (agricoltura contadina). Anche se oggi è in atto la tendenza alla espulsione dalle campagne e la concomitante “bidonvillizzazione del mondo” (Samir Amin). Piccoli contadini e braccianti, moltissime le donne, vivono di questo.

Mentre nel mondo 6 lavoratori/lavoratrici su 10 è nel settore informale (lavoro nero, senza diritti e senza protezione), in India nel settore informale è il 70% della manodopera. Un paese che si considera una potenza economica e politica, ma che presenta le tipiche stimmate dell’ingiustizia e delle spaventose diseguaglianze. Con in sovrammercato il sempre presente sistema delle caste. Piaga storica.

Al governo è da sette anni Narendra Modi, uomo forte del partito nazionalista indù Baharatya Janata Party (Bjp). Arhundati Roy da sempre denomina questi settori indù semplicemente come “fascismo indù” e l’elenco è lungo per le malefatte, per i pogrom contro i mussulmani e per altre prodezze che la scrittrice e attivista indiana denuncia costantemente.

Sul piano geopolitico, l’India costituiva la “i” dei cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Gli Usa sono riusciti nell’opera destabilizzante al fine di rompere questo polo mondiale, nella guerra fredda in atto contro Cina e Russia. Brasile e India sono stati portati nella propria orbita. Con vari mezzi, leciti e soprattutto illeciti, come è abitudine degli Usa.

II.

Per la sopravvivenza dell’agricoltura indiana, dal 1964 vigeva un regime di sostegno dei contadini con vari mezzi e strumenti. Tuttavia, malgrado ciò, a causa dei gravi problemi di questa agricoltura negli ultimi 25 anni circa 400.000 mila contadini poveri si sono suicidati.

Nel settembre 2020, Modi ha introdotto tre leggi, le “leggi nere”, con cui si procedeva alla cancellazione di quel regime di sostegno e che, liberalizzando il mercato, secondo i dettami del neoliberismo, poneva i contadini alla mercé dei grandi gruppi dell’agroalimentare e in definitiva dell’agrobusiness.

Dal novembre 2020 centinaia di migliaia di contadini, braccianti, tribali (adivasi) si sono mobilitati. La lotta è stata pacifica a fronte della solita violenza della polizia indiana. Lo Skm, coalizione di circa 500 sindacati dei contadini indiani, ha coordinato la mobilitazione.

Provenienti soprattutto dagli stati del Nord, Punjab e Uttar Pradesh in testa, circa 250.000 contadini sono confluiti ai margini di New Delhi creando enormi accampamenti con cucine, vita in comune, biblioteche ecc. Il tutto è avvenuto nel mezzo della pandemia da Covid. Tra il freddo dell’inverno, il Covid, e il caldo torrido dell’estate 2021, sono morte circa 700 persone. I “nostri martiri” li hanno definiti i dirigenti del movimento. Modi, con il sostegno di molti media indiani, ha definito “terroristi” i partecipanti alla mobilitazione e si è rifiutato di incontrarli.

La tenacia e la resistenza dei contadini alla fine hanno prevalso. Il 19 novembre Modi è stato costretto a ritirare queste leggi. Tuttavia la mobilitazione continua fino a che questa cancellazione non venga sanzionata dal parlamento indiano. In realtà Modi era soprattutto preoccupato per l’ampio sostegno alla lotta da parte della popolazione contadina degli stati interessati (circa 250 milioni di persone) e per il calo nei sondaggi del suo partito e per la paura di perdere le prossime elezioni proprio in stati decisivi come il Punjab e lo Uttar Pradesh.

III.

I protagonisti della lotta, i dirigenti, i partiti che la sostengono, in prima fila i vari partiti comunisti indiani, la stessa Chiesa cattolica indiana, considerano questa grande vittoria non solo dei contadini indiani bensì del movimento contadino su scala mondiale (Via Campesina in primo luogo). Uno stimolo potente alla speranza e alle future lotte per la giustizia sociale, in India e nel mondo.

Due considerazioni importanti per concludere. L’atavico provincialismo italiano ha quasi ignorato questi avvenimenti, così decisivi per milioni e milioni di persone e per aree cruciali del pianeta. Presi come siamo dal miserabile dibattito pseudopolitico e dal piccolo cabotaggio nostrani.

Un’altra lezione da trarre interessa il nostro versante. Noi pensiamo alla centralità del lavoro salariato, di fabbrica e degli uffici, qui in Occidente. Giustamente. Ma uno sguardo più ampio e un orizzonte più largo dovrebbero farci cogliere come i movimenti contadini e in generale il soggetto sociale contadino (piccola agricoltura contadina e braccianti agricoli, moltissime donne) costituiscano una parte considerevole del lavoro e delle classi subalterne su scala mondiale. Una visione ingenua del progresso, l’industrialismo, l’eurocentrismo e l’occidentalocentrismo, anche a sinistra, prevedevano, tra Ottocento e Novecento, che questo soggetto sociale fosse inesorabilmente destinato a scomparire.

Un tempo dicevamo “Nord e Sud uniti nella lotta”. Oggi è Nord Globale e Sud Globale, “lavoro in pelle nera e lavoro in pelle bianca” ecc. E i contadini al centro delle questioni decisive e delle emergenze mondiali, anche a causa dei cambiamenti climatici (terra, acqua, cibo, sovranità alimentare, migranti, brevetti ecc.).

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